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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
L'attrice


 


 
 


Cammina cammina sotto il sole d’Aprile, cammina ed ancheggia insicura sui tacchi, ha le gambe dritte ambrate di un niente, un velo di calza di mezza stagione, con la riga che corre e la fa più signora, un cofanetto di dolci da scartare in disparte, e gustarne i sapori, le gioie, i piaceri, l’amaretto piccante, il mandarino dolciastro. Perché lei cammina a piccoli passi, in un tailleur color panna che le strozza la vita, e la fascia e l’avvolge in un incanto di fianchi, la forma perfetta di un’anfora antica, con i guanti di raso, una veletta di rete, una faccia da bimba nonostante il rossetto, spalmato a secchiate di fretta in penombra, al riflesso del vetro di un diretto da Mestre.

Cammina cammina tra i palazzi umbertini, uno spacchetto alla gonna per muoversi meglio, sotto i portici freschi di Piazza Vittorio, dove il vento s’insinua e fa mulinello, e porta cartacce oliate di pizza, foglie marcite dalle piogge di marzo, tra bancarelle di merce scadenti e cinesi, ed odori di spezie, arabe e indiane, che gonfiano l’aria di sapori piccanti, di cumino e cannella, di coriandolo e pepe, che prendono al naso e la fanno tossire. Perché lei cammina e trascina a fatica, una valigia di trucchi e un borsone di pelle, pesante per quanto contenga stipati, scarpe e vestiti per quindici giorni, comunque leggeri d’estate alle porte, cambi di stoffe di lino e cotone, comunque eleganti per ogni evenienza, per quanto di meglio poi possa accadere, una cena, un salotto, una colazione all’aperto, un invito importante nei palazzi romani.

Cammina cammina e si sente straniera, più dell’indiano che le offre a buon prezzo, stoffe orientali che spaccia per sete, e lei che si ferma e lei che riparte, poi schietta sorride e si lascia seguire, e rilegge un biglietto e poi cerca con gli occhi, un numero civico tra le insegne cinesi, una targa con scritto Madame Paradiso, ma l’indiano è distante e lei s’avvicina, ad una portiera che sa tutto di tutto, che si pulisce le mani sulla vestaglia da poco, ed ammicca un sorriso e la squadra con gli occhi, la vede bambina ingenua e pura, e come una maga sa già il suo futuro, e piena di pena la chiama signora, perché ha già capito dove è diretta, e le dice che quello non è lo stabile giusto, e il palazzo che cerca è al di là della piazza, un condominio di lusso con i fiori e le piante, con le scale di marmo e un lampadario di gocce, un ascensore moderno e il custode in livrea.

Cammina cammina lei ha il viso segnato, da una notte di treno sveglia in cuccetta, a scacciare le mosche e qualche mano di troppo, e le ansie aggrumate attorno ai timori, di cosa ha lasciato, di cosa ha già perso, di cosa l’aspetta stasera e domani, perché è il primo lavoro e non vuole far tardi, perché il suo futuro passa per Roma, per questo cammina e si sente importante, per questo cammina e sogna sui tacchi, una scala che scende sui petali rossi, uno scroscio d’applausi in una parata di stelle, anche se ora come esordiente, s’accontenterebbe soltanto di quattro battute, purché le si veda almeno la faccia, e qualcuno da Mestre possa pensare, che lei è una diva, che lei ce l’ha fatta.

Cammina cammina dentro una città troppo grande, per i suoi diciott’anni compiuti da poco, vissuti finora tra ponti e tra calli, a recitare allo specchio “perché sei Romeo?”, a sognare un incontro con la fortuna di fianco, il didietro orgoglioso, giovane e tondo, e due tette davanti da mostrare a richiesta, al primo che primo l’avrebbe apprezzate, al secondo che dopo le proponga la parte, anche se sa che a volte non basta, ed un terzo o un quarto sarà quello giusto. Perché lei cammina e stringe il biglietto, scritto di fretta da una signora elegante, con un vestito di seta ed un seno importante, con un rossetto da sogno rosso velluto, incontrata per caso in Piazza San Marco, per questo cammina e risente la voce, “Mi chiami madame, Madame Paradiso”, e poi quelle frasi in francese accennato, tra tintinnii dei suoi ori e gli occhi marcati.

Cammina cammina e ha fatto salti di gioia, quando la donna le ha detto chi fosse, una che se ne intende di bellezza e ragazze, in cerca di volti per interpretare la parte, di una giovane donna che viene da Mestre, che poi non è una parte e non serve la scuola, ma un fisico adatto di carne e di tette, anche se poi non si sente un’esperta, ed un lieve tremore le blocca le gambe, proprio nell’attimo mentre varca la soglia, ed un uomo in divisa l’accoglie e s’inchina, poi chiede il suo nome e le bacia la mano, ma è solo un momento, una noia da poco, perché ora cammina fiera e superba, e l’emozione che sente è solo fastidio, di sudore che cola, di trucco che stinge, di profumo di viola che a sciame l’avvolge, e sa di Parigi, di sfarzo e d’alberghi, di sfilate di moda, di femmina bella.

E cammina cammina in nome dell’Arte, sui tappeti che rossi attutiscono in parte, il rumore dei tacchi che la fanno più bella, che alti, che a spillo la fanno già diva, sulle lastre di marmo come luci di scena, perché quello che conta è diventare famosa, apprezzata da tutti per un’ora o una parte, perché quello che conta è essere a Roma, una città che t’accoglie e ti culla nel ventre, chiunque tu sia, per cosa tu faccia, per sentirti una stella che brilla di notte, per sentirsi di giorno un sole che scalda, perché lei cammina da attrice perfetta, perché ora entra nella casa in penombra, con le pareti di stoffa e i divani in attesa, e sa che quel film è un dubbio e una scusa, senza gli attori e le luci di scena, senza una trama, un copione e un regista, e Romeo allo specchio è soltanto un cliente.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Adam Rowell

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