SUSAN E LA CODA DI OPERAI
La scena di Josè le tornò più volte alla mente di Susan. In effetti era
così arduo lottare contro il destino che si sentì più volte vittima delle
sue stesse ambizioni.
Nella profonda delusione Susan alternava momenti di melanconia ad
esagerata euforia. La nostalgia, finora controllata, esplose come un
uragano, sbaragliando regole e buone maniere, condizionamenti e paure.
Come ai vecchi tempi la mattina iniziò ad alzarsi prima del marito, ma
solo per rimanere nella toilette più del lecito. Si truccava e struccava e
cambiava lingerie e vestiti ad un ritmo incessante. Il suo modello di
riferimento era lei stessa, quando, giovane ballerina nelle locande del
porto, viaggiava attraverso i racconti di mare dei suoi tanti amanti.
Rovistava nei tanti bauli di vestiti che il marito le aveva procurato nei
tanti viaggi a Siviglia, provando e riprovando gonne, scarpe, corpetti,
foulard, guanti, cappelli, velette e ventagli adatti ad eleganti soirée e
prime di teatro. Per tutta la Fonderia era possibile sentire durante il
giorno musica ad alto volume di flamenco arabo e tango gitano,
accompagnata dal ritmo dei suoi tacchi e dal suono graffiante della sua
voce. La sua platea era il solo grande specchio attaccato alla parete
della sua stanza da letto. Poi quando divenne stretto osò oltre.
Così vestita cominciò ad affacciarsi alla finestra aspettando l'arrivo
degli operai. Immaginava quel grande piazzale come una sorta di parterre
acclamante. Era bella Susan, col suo seno da spagnola meridionale e, per
ironia della sorte, esageratamente materno. Alle volte lo ostentava nel
classico gioco del vedo e non vedo altre lo ricopriva di fiori di velo
lasciando all’immaginazione l’intero percorso.
Andò avanti per giorni e giorni, finché, non più contenta di quell’apparire
a distanza, iniziò a scendere sul piazzale per vedere più da vicino la
reazione degli operai. Seduta sul paracarro di cemento adiacente al
posteggio dei pullman metteva in bella mostra le sue forme agghindate da
pizzi e merletti. Bella Susan con quelle labbra rosso ciliegia e i tacchi
da ballerina che batteva e ribatteva sul selciato per attirare
l'attenzione, semmai ce ne fosse stato bisogno.
Ogni mattina la fila degli uomini s'allungava vertiginosamente, ma era una
calca muta e spaurita che per obbedienza al padrone si fermava a qualche
metro dal paradiso vellutato, ma comunque in dubbio, per far piacere al
padrone, se guardare oppure voltare il viso dalla parte opposta. Ma si sa
che la fame è più forte della passione e la paura più audace del coraggio
e così, passata la fila, Susan si ritrovava sola a mostrare al vento e a
quelle squallide radure desertiche e miseramente cespugliose la sua
bellezza intatta.
*****
Dicevamo, era bella Susan, i suoi occhi grandi verdi e marroni, il suo
corpo allungato, il viso scarno e olivastro e i capelli neri sciolti in
balia del vento che le davano un’immagine di figura scontornata ai bordi,
quasi irreale e imprendibile ai comuni mortali. Seppure erano passati
degli anni si teneva ancora ancorata a quei primi mesi di vita dove il
ricordo, ormai desiderio sfrenato, affondava nelle radici della terra,
unica madre che Susan riconosceva come genitrice.
Di quel periodo tornavano intermittenti lampi di memorie, sbalzi di
temperature, colori sbiaditi, odori spessi e indefiniti, forme evanescenti
d’oggetti comuni e filastrocche che la mente ripassava involontariamente
intonandole a lamenti e dissociandosi nei momenti più impensati. Parlavano
di bettole, di vino, di donne e di amori impensabili che il proprio corpo
iniziava ad avvertire sotto forma di un’anonima e fastidiosa sensazione
fisica.
E davanti a quella platea di operai ignoranti Susan recitava la sua
filastrocca preferita che raccontava di una donna affascinante di nome
Valerian, dalla faccia tinta e la pelle morbida che gli uomini ubriachi in
preda agli istinti del piacere accarezzavano senza amore.
E di lì a poco Valerian trasformò l’adolescenza in merce e la bellezza in
mestiere accodandosi ai girovaghi degli zingari felici e diventando
l’attrazione principale della fiera. Ed in mezzo ai fenomeni da baraccone,
il lanciatore di coltelli, la donna cannone, Valerian piantava la sua
tenda traballante ricevendo al caldo di due coperte impolverate i propri
amanti. Intanto un ragazzino dalla voce stridula e vestito di stracci
invitava insistentemente i passanti ancora incerti a fare il biglietto
descrivendo per filo e per segno lo spettacolo oltre la tenda.
Il tintinnio dei suoi grandi cerchi d’oro divenne in poco tempo il
richiamo degli uomini adulti del circondario che nelle sere di festa si
spostavano di paese in paese seguendo la soddisfazione di chi aveva avuto
la fortuna di incontrarla. E dopo miglia e miglia di sogni arrivavano
stanchi e vogliosi attendendo scompostamente in fila il proprio turno.
Ascoltavano chiaramente i gemiti e i lamenti che la bella Valerian
suscitava a pochi metri e impazienti cercavano una trasparenza o uno
strappo della tenda che potesse alleviare l’attesa del proprio piacere.
Parallelamente alla sua fama e al costo misero della prestazione la coda
si allungò a dismisura fino a creare problemi di ordine pubblico e a
rischiare per se stessa condanne di moralità. Ma le Autorità dei paesi in
festa, dalla Gendarmeria alla Chiesa, non mossero un dito contro la bella
Valerian.
Tutto il mondo è un paese e tutto i secoli hanno lo stesso tempo ripeteva
qui Susan e in effetti anche a quel tempo le Autorità acconsentivano
tacitamente allo sfogo dei propri cittadini benché non fosse troppo
palese. Quindi le permisero di continuare la sua professione a patto che
avvenisse nella riservatezza. Di fronte alla scelta di interrompere la
professione o accorciare la fila, Valerian non ebbe dubbi e ridusse
drasticamente i tempi dell’attesa elargendo collettivamente le proprie
prestazioni di piacere. Il numero del gruppo dei fortunati era dettato
dalla richiesta del momento, dallo sconto decisamente conveniente e
comunque non oltre l’etica del mestiere e il buon fine della prestazione
stessa.
La fama di Valerian valicò monti e colline e di paese in paese giunse alle
orecchie di migliaia di uomini. La fiera si ingrandì a dismisura di
bancarelle e carretti di zucchero a velo, di giostre di giochi e colori di
luci, croccanti e nocciole e occhioni di bimbi, che guardavano in aria,
rapiti dal vento, palloni e figure d’uccelli rapaci.
Cappelli che volavano e grida esultanti, e tutto era ormai pronto per dare
il via agli artisti, al mangiatore di fiamme che accendeva le torce, al
trampoliere già in piedi che aspettava lo sparo, al giocoliere seduto
accanto ai birilli, alla donna cannone che saliva le scale, al lanciatore
di lame che faceva la punta ai coltelli.
Intanto sulla piazza gremita la banda scaldava i fiati e coppie d’amanti
si cercavano con gli occhi e si davano appuntamento dopo la festa, dietro
la siepe lungo la strada, che portava sinuosa alle dune sabbiose. Le
coppie sposate invece ballavano strette, brillantina e dopobarba,
orecchini e messe in piega, lui muscoli e cravatta, alcol e nicotina, lei
pelle vellutata e seno abbondante, lui sorridente e lei generosa, e del
resto non capitava spesso, un marito che chiedeva e una moglie che si
offriva.
E tra quei capannelli gli uomini autonomamente si organizzavano a gruppi e
curiosi sbavavano e s’informavano su Valerian, sul peso, sugli anni e
l’altezza, sulla bocca se grande o quanto fossero piccoli i seni, se fosse
esperta davvero, e quanto lo fosse e fin dove fosse concesso, e per quanto
tempo urlasse e per quanto zitta, se davanti o dietro, in piedi o distesa.
La filastrocca terminava con la descrizione precisa delle arti magiche e
ammaliatrici della stupenda prostituta che in poco tempo lasciò le misere
tende delle fiere per le ricche e comode case di città.
La forza di riuscire a tutti i costi e soprattutto le facce scandalizzate
della gente che rifiutavano sdegnate la filastrocca dissacrante erano gli
stimoli che spingevano Susan, sin da piccola, a ripeterla a cantilena per
ore ed ore tirando qua e là il fiato senza rispettare le pause.
Camilo dal suo canto viveva momenti di forte impaccio. Apparve fin troppo
chiaro l’identificazione di sua moglie con la prostituta Valerian, la
quale evidentemente viveva il comune sentire di ribellione e caparbietà,
virtù o carenza che fino ad allora non le aveva mai fatto difetto.
Cercò di scrollarsi da quell’imbarazzo mettendo ad arte in giro la voce
che sua moglie fosse affetta da forti turbe e d’accordo con il medico, il
Dottor Ramos de la Vida, organizzò finte visite settimanali in modo da
avvalorare la tesi della malattia.
Ma si sa che l’uomo al cospetto di cotanta bellezza anche di fronte ad una
presunta malattia non frena il suo desiderio innato. E così nei giorni
seguenti nessun operaio, giovane o vecchio, apprendista o senior, si
assentò dal lavoro.
Camilo, uomo intelligente con lo spiccato fiuto degli affari s’accorse del
fenomeno. La produzione segnò un notevole incremento senza ricorrere ad
incentivi o a spese straordinarie, e tutto grazie alle esibizioni di sua
moglie che imperterrita ogni mattina continuava la sua personale vendetta.
Per un po’ di tempo, Camilo decise di non affacciarsi più alla finestra,
rimanendo tranquillamente seduto nel suo studio a fare di conto e
confidando sulla paura dei suoi operai di rischiare il posto di lavoro per
una semplice donna. In fin dei conti, pensava, senza consumazione di sesso
non crescevano corna e sberleffi, salvaguardando così morale e profitto.
Susan non intercettò mai quest’aspetto perverso del pensiero di suo marito
e continuò ogni mattina, credendo di ferirlo, a rallentare la fila di quei
piccoli uomini che indugiavano prima d'entrare.
Il teatro andò avanti per giorni fino a quando il più ribelle, un giovane
appena diciottenne, in canottiera blu e muscoli d’acciaio, s'avvicinò fino
a sentire il vapore del suo fiato e l'odore fresco del suo rossetto
spagnolo al sapore di ciliegia. E con la fila ammutolita, varcò di pochi
centimetri la linea immaginaria che lo separava dal licenziamento, poi
ristette per interminabili secondi, preso dal dubbio e dai mugugni dei più
anziani che lo consigliavano di non procedere, di non toccare quel
tranello travestito da donna, ideato dal padrone per decurtare la misera
paga e raddoppiare le ore di lavoro.
In un barlume di lucidità l'operaio riuscì a captare quelle voci dietro le
spalle ed ebbe il tempo e la forza di ritrarre la mano anche se
ineluttabilmente sfiorò la donna senza toccarla e sentì in quell’attimo
tra le sue dita un calore che nessun inverno avrebbe mai potuto
raffreddare. Rimase fisso ed immobile su quella preda, la quale senza dire
e stando ferma lo istigava ad andare oltre le stoffe.
Ovviamente quella scena fece così tanto rumore che arrivò pochi minuti
dopo nelle orecchie del padrone.
*****
CARLITO
Quel giovane si chiamava Carlos Josè Lambert, detto Carlito, un
apprendista figlio di Marguerite, la donna più bella del paese di San
Diego, la quale, nonostante gli anni e forse anche per la sua condizione
di vedova bianca, rimaneva ancora oggi la donna più sensuale e appetibile
di tutta la comunità.
Suo padre invece Pedro Josè Lambert consumava il suo destino seduto
immobile sulla pietra dura al bordo della strada che portava in paese.
Tutti i paesani ricordavano le strane circostanze nelle quali fu concepito
il giovane Carlito.
Lui, coraggioso e incosciente, aveva valicato la linea del licenziamento,
e nessuno mai avrebbe avuto da ridire o addirittura opporsi se fosse stato
allontanato dalle Fonderie, ma Camilo non prese alcun provvedimento nei
suoi confronti, prima di tutto perché era il figlio di Marguerite e di
Josè Lambert, l’uomo che il destino aveva sbattuto sulla pietra dura e
soprattutto perché aveva ammirato l’audacia e la forza del giovane, che
nonostante tutto, pur travalicando il confine lecito, lo aveva impietrito
a pochi millimetri dalla presa.
Purtroppo la scena ebbe un seguito ed andò avanti nei giorni successivi
fino a quando una sera Camilo decise di mettere fine a quello squallido
spettacolo. Del resto la sua proverbiale lungimiranza gli suggerì di
andare oltre e di sicuro quell’episodio aveva aperto nella sua mente altri
scenari.
*****
Quella sera a cena Camilo rivolse la parola a sua moglie cercando
pazientemente di raggiungere quel posto della mente dove lei trovava
rifugio e benessere.
La intercetto chissà dove e con dovuto tatto s’informò in generale sullo
stato di salute e in particolare sul suo sedere oggetto nei giorni
precedenti delle esagerate attenzioni del suo frustino.
Durante il pomeriggio aveva annotato su un foglietto i temi in sospeso.
C’era il problema dell’erede, dei loro rapporti intimi incompleti, e poi
ancora di riportare la bella Susan tra i vivi e soprattutto di tenerla con
sé, mai avrebbe potuto accettare il destino di suo padre, lasciato solo
con sei figli.
Per l’occasione aveva indossato un elegante vestito scuro e il cravattino
nero da torero. Il rubino, grande come una noce, al mignolo sinistro
rifletteva la luce calda del candelabro antico.
Fece una lunga premessa raccontando nei dettagli le vicissitudini della
sua famiglia, le sue ricerche affannose per ritrovare sua madre e, per la
prima volta in assoluto, l’episodio di Henriette, ma rimase reticente su
quello di Jasmine.
Poi il discorso si spostò su José Lambert e il suo infausto destino che lo
relegava da anni su una pietra dura. Qui vide una luce negli occhi di sua
moglie. Ma ad arte passò oltre parlando della Fonderia, dei futuri
investimenti e del grande progetto della colata permanente, con la
possibilità di riutilizzare la forma per creare il pezzo per un elevato
numero di cicli produttivi.
Paragonò le anime della produzione, all’anima della donna. Così come il
metallo liquido entra nei fori della fusione per compatibilità così lui
aveva il diritto di facilitare che l’anima fisica di sua moglie fosse
colmata da elementi più compatibili che raggiungessero gli alti obbiettivi
della riproduzione.
L’aveva presa un po’ alla larga ma il senso venne a galla quando Camilo
accennò all’erede, ai loro tentativi falliti, all’audacia di quel giovane
operaio ponendo immancabilmente l’accento sulla riservatezza di tutta la
questione. Ormai aveva raggiunto l’età della pensione e da lì a pochi anni
si sarebbe creato il problema del sostituto. Per quanto lo riguardava,
insieme a Susan, si vedeva già disteso su qualche spiaggia esotica sulla
quale trascorrere la maggior parte dell’anno.
La bella e malinconica Susan rimase muta per tutto il tempo, nei momenti
di lucidità annuì sorridendo, capì le ragioni di Camilo, ma non capì
altro. Camilo più esplicitamente insistette sulla necessità dell’erede e i
loro tentativi vani di averlo. Pronunciò per tre volte la parola Tesoro e
per due Amore, ma il suo argomentare caldo e persuasivo girò intorno alle
parole compatibilità e riproduzione. Velatamente accennò alla possibilità
di adottare, ritenuta soluzione improbabile per via della sua età
avanzata, oppure di concepire un figlio con un’altra donna,
preferibilmente una prostituta, semmai ci fosse riuscito. Ma anche questa
soluzione venne scartata in quanto sarebbe stato evidente ai più che Susan
non fosse la madre del piccolo bastardo per cui avrebbe risolto il
problema dell’erede, ma non quello delle dicerie. Il silenzio successivo
fu molto esplicativo.
Alla fine Susan realizzò quello che suo marito aveva detto senza dire e i
suoi occhi s’illuminarono squarciando a cielo azzurro quel velo di mesi. A
Camilo fu sufficiente quel segnale. Offrì dell’altro vino alla bella
moglie. Quando fu evidente che Susan in qualche modo era tornata tra i
vivi, Camilo s’informò quanto l’intraprendenza di Carlito fosse stata
gradita. Susan per delicatezza non rispose, ma Camilo notò un
impercettibile movimento del suo seno.
Quella fu la conferma e allora si lasciò andare a considerazioni sulla
natura, sulla fertilità e il ciclo femminile.
Convennero che la pratica a cui si sarebbe sottoposta Susan sarebbe stata
unica e non ripetibile e finalizzata al solo proposito.
Ed inoltre condivisero la necessità di non ritornare più sull’argomento e
di porre fine ai loro incontri serali iniziando da quella sera stessa. Ed
in effetti la cena non ebbe un seguito. Tutti e due si ritirarono nelle
rispettive camere. Lui a leggere il suo libro, “Le Gesta d’Orlando e
Angelica”, lei a riflettere su quell’opportunità.
Erano ormai settimane che dormivano separati. Susan passava le sue notti
nella camera degli ospiti. A suo parere quella stanza le dava un sapore di
precarietà, di viaggi e valigie aperte.
Ma quella sera, quando si coricò nel suo letto, non fece altro che
riflettere su quella opportunità. Forse l’essere madre non era il massimo
delle sue aspirazioni e di sicuro non avrebbe appagato la sua anima
girovaga, ma, nonostante tutto, il destino le stava offrendo, anche se in
subordine, un viaggio per una nuova meta.
Decise di accettare e in cuor suo ringraziò suo marito. Del resto Camilo
avrebbe potuto scegliere per lei invece le aveva dato carta bianca
chiedendo addirittura il suo parere. Tra tutti gli operai Carlito era più
di quanto si potesse aspettare, forse era troppo giovane, ma sicuramente
non segnato dalla fatica della Fonderia. Passarono nella sua mente le
forme definite dei muscoli e la carnagione scura, gli occhi neri, le mani
grandi e un nonsoché di familiare. Adorava quella sfrontatezza quel ghigno
di strafottenza tipico dei giovani e ne dedusse che la natura, ma
soprattutto Josè e Marguerite, nonostante la sventura e le circostanze
avverse, avevano fatto davvero un ottimo lavoro.
A quel punto non perse tempo. Consultò il calendario e contò i giorni. Era
esattamente a metà del ciclo! Con immenso piacere scrisse immediatamente
un brevissimo biglietto a Carlito avvertendolo che la mattina seguente non
sarebbe scesa all’arrivo dei pullman, ma se lui avesse voluto, di nascosto
dai suoi compagni, poteva percorrere il recinto fino alla grande quercia,
da lì svoltare e prendere il viale alberato lasciando alla sua sinistra la
fontana delle rane. “Acqua in bocca!” Scrisse per tre volte. Sull’altra
metà del foglio disegnò alla buona una specie di mappa con l’indicazione
della casa di legno.
Naturalmente per salvare la faccia di Camilo si guardò bene di rivelare
l’accordo e il bene placido di suo marito.
Inoltre Camilo per evidenti motivi di gelosia si era raccomandato che per
nessuna ragione doveva essere messo a conoscenza dell’ora e del luogo
dell’incontro e cosa ancora più importante, in caso di assenza
ingiustificata da parte del giovane, non avrebbe preso alcun provvedimento
disciplinare nei suoi confronti.
*****
L’AMORE
Il giorno dopo Carlito, appena sceso dal pullman, si ritrovò come per
incanto la lettera in tasca. La sua prima reazione fu di completo stupore
seguita poi da un velo di paura, ma alla fine trionfò l’orgoglio e la
vanità maschile. Per timore che lo sconsigliassero non disse nulla ai suoi
colleghi e dopo circa un mezz’ora dal suono della campanella di inizio
lavoro non gli rimase che fingere un malessere, togliersi la tuta da
lavoro, uscire dalla Fonderia e, con il biglietto ben stretto nella mano,
seguire passo dopo passo il recinto fino alla grande quercia.
La sorte volle che, proprio in quel momento, affacciato alla finestra del
suo ufficio, Camilo inquadrò con il suo binocolo di radica gialla la
sagoma del ragazzo. Immediatamente lo riconobbe, ma non si scompose a
parte quell’impercettibile ghigno che gli mosse leggermente il baffo
destro.
Carlito, in preda ad un affanno che quasi gli immobilizzava le gambe,
passò lungo il recinto fino alla grande quercia, poi svoltò e prese il
viale alberato lasciando alla sua sinistra la fontana delle rane. Proseguì
per un centinaio di metri finché non scorse da lontano il grande cancello
di ferro. Di lì percorse il viottolo di terra e rovi sulla sua sinistra
fino a quando una casetta di legno colpì la sua attenzione. Si fermò un
attimo. Il timore di un tranello e i fantasmi del licenziamento
avvamparono la sua mente. La porta era socchiusa, sarebbe bastato
sospingerla con un soffio di fiato, ma nei suoi occhi si materializzò la
figura austera del padrone. Esitò ancora. Si raccomandò a Sant’Isidoro di
Siviglia, poi a Gesù e Maria, si fece il segno della croce ed alla fine
entrò.
Nella piccola casetta nessuna ombra del padrone, nessun tranello oscuro,
ma solo la meravigliosa Susan in attesa. Non c’era tempo per i saluti, men
che meno per le parole. Lei era già distesa sul piccolo lettino e Carlito
non credeva ai suoi occhi. Riprese esattamente dove era rimasto, ossia dai
due centimetri dal velluto di lei. Susan lo invitò a non perdere tempo
pregandolo d'andare oltre, di esplorare le sue parti del corpo che ancora
nascoste chiedevano d'essere riportate all'obbedienza e che un uomo come
suo marito non era in grado di domare.
Ovviamente questo non lo disse, anche se le avrebbe procurato una
peccaminosa eccitazione. Per ora lo osservava eccitandosi con le
sensazioni di quell’attesa, completamente perse nel talamo coniugale. Vide
chiaramente i calli sulle sue grandi mani dove si districava netta la
linea dell’amore, seguì con le dita i segni della fatica e le rughe del
piacere. Lui, davanti a quello spettacolo, si liberò ben presto delle
catene della diffidenza e con uno mossa da vero maschio si tolse la maglia
da lavoro gettandola senza vedere sulla legna accatastata.
Susan sentì chiaramente l’odore forte dell’uomo, dell’eccitazione, dei
muscoli e del sudore. Carlito era già sopra di lei, Susan chiuse gli occhi
e intraprese mentalmente quel viaggio d’albe e tramonti, di tende berbere
e lande sabbiose attraverso la passione e il desiderio di scoprire nuovi
posti subendone inevitabilmente quel fascino che suo marito caparbiamente
aveva interrotto per anni.
Viaggiò per lune e giorni, percorse gli itinerari bui del piacere,
quartieri malfamati e viali alberati, ricordò nitidamente tutti i nomi
degli uomini che aveva avuto prima di conoscere suo marito, li pronunciò
ad alta voce, li contò ad uno ad uno, li distinse nitidamente dalle labbra
e dal colore della pelle. Sentì l’odore caldo dei letti disfatti e il
sapore dei baci rimasto indelebile sul suo seno accogliente. Ricordò anche
Camilo, ricordò quella notte dell’unica volta insieme ormai persa nei
meandri grigi della memoria.
L’istinto poi prese il sopravvento e quei nomi divennero gemiti ed i
gemiti parole, e le parole cadenze e incitamenti. Afferrò le mani
dell’amante accarezzandosi prima il seno e poi scivolando nel piacere più
intenso. Strinse le gambe, poi le spalancò al piacere e lui capì. Allora
le mani di lui divennero autonome, maschie e tenaglie e morse di ferro. Ad
ogni carezza più esperte, ad ogni stretta più convinte del proprio potere.
S’infilavano e si muovevano, poi s’arrestavano nei pertugi di carne, nelle
crepe del desiderio per poi ricominciare come soldati durante un
saccheggio, come predoni nelle razzie.
La bella Susan assaporava i momenti magici dell’antica trasgressione e con
gli occhi sbarrati tentava di fissare quella scena e quella pelle nella
sua memoria, desiderando che tutto ciò fosse stato per sempre o al limite
un ricordo netto da sfruttare nelle notti insonni e d'astinenza. Stordita
da quel vigore si lasciò andare completamente e nel suo desiderio infinito
sopraggiunsero altri uomini, altri soldati, barbari e zingari, i quali,
obbedienti a quei seni, s’accalcarono su quel letto reclamando un dito, la
bocca, un'unghia, un bacio. Erano lupi affamati che facevano incetta di
carne, branchi di uomini assetati di linfa d’ogni albero, di nettare
d’ogni fiore, e lei concime d’ogni campo sfamava la sua brama nutrendo il
mondo intero. E come in un rosario continua a urlare quei nomi, a
chiamarli, ad invitarli nella sua folta peluria, a farsi lotteria, ambo e
terno, premio e bottino finché l’urlo di Carlito non la fece planare di
nuovo su quel letto.
Gli gridò di non cedere, in quella circostanza ogni secondo valeva
un’eternità, rabbrividì all’idea e si avvinghiò a lui per farlo resistere
e le parve di essere in mezzo al mare, ma non una barca, non una vela ma
addirittura un’onda, un flutto sbattuto in un crescendo impetuoso. E lei
divenne un oceano che si rotolava come acqua densa oleosa, che si
squarciava alla forza, si schiudeva alla natura. Lui sprofondò in quegli
abissi immergendosi in quell’ignoto senza più fondo. Si rese conto che mai
avrebbe potuto colmare un’esistenza, il vuoto di lunghi anni, l’intimo
desiderio generato dalla sua sorte.
Lei aperta come un fiore al sole lo invitò di nuovo e chissà perché in
quei momenti le vennero in mente alcuni passi alla rinfusa dell’amante di
Lady Chatterley: “L’uomo la prese nelle braccia e di colpo lei si fece
piccina e cominciò a sciogliersi provando un’incredibile sensazione di
pace. E mentre si scioglieva divenne infinitamente desiderabile. Nelle
vene dell’uomo il sangue parve infiammarsi e lei sentì le sue mani lievi
come un cigno sfiorare i suoi fianchi e poi le natiche morbide e calde
avvicinandosi sempre più al punto più sensibile e vivo di lei. Poi la
prese e per un momento rimase fermo dentro di lei, turgido e palpitante,
poi quando prese a muoversi si destarono in lei strani fremiti nuovi che
la percorrevano come un’increspatura sull’acqua…
Gli si avvinghiò appassionatamente e Connie sentì il suo germoglio
palpitare in lei e sempre più veemente gonfiarsi finché non colmò la sua
coscienza e poi riprese il movimento che in realtà erano veri e propri
vortici, via via più profondi, di sensazioni che turbinavano sempre più a
fondo in tutti i suoi tessuti… e ondulavano, ondulavano come lingue
sovrapposte di fiamme leggere raggiungendo apici di splendore. Sentì il
suo pene ergersi con muta stupefacente forza e autorevolezza e gli si
abbandonò. Cedette con un brivido che somigliava alla morte. Gli si
offerse tutta, lei urlò e l’uomo la udì sotto di sé con una sorta di
terrore mentre il suo seme vitale sprizzò dentro di lei come metallo
fuso.”
Non durò molto, forse qualche minuto, ma a Susan parve un tempo infinito,
in cuor suo avrebbe scommesso almeno un’ora. Ovviamente non aveva preso
alcuna precauzione, ma tacque la circostanza. Trattenne quel piacere
alzando le gambe e coricandosi sulla parte destra in modo da decidere il
sesso. Poi contò i giorni per tre volte fino ad avere di nuovo la certezza
che quella sera sarebbe stata effettivamente luna nera.
Così fu.
Fuori la luce intensa abbagliava la campagna intorno. Accennò due passi
poi si fermò aspettando che il suo bell’amante scomparisse alla sua vista.
Per la prima volta dopo tanti anni si sentì libera e leggera.
Il giorno dopo tornò da sola nella casa del giardiniere e, come da
tradizione della sua gente, bruciò le lenzuola e i suoi vestiti. Ne fece
un gran falò.
Ora non le rimaneva che aspettare nove mesi.
*****
LA DISGRAZIA
Passarono alcuni mesi, gli affari alle Fonderie andavano a gonfie vele,
arrivarono commesse da paesi stranieri.
Camilo si affacciò sul grande piazzale, il suo sguardò s’incupì guardando
oltre il cancello. Purtroppo Carlito in circostanze misteriose, mentre
procedeva a piedi per la strada verso San Diego, davanti alla pietra dura
sulla quale era seduto Josè, fu aggredito a morte da un gruppo di
malviventi forse slavi, forse zingari. Come ogni pomeriggio al ritorno
della corriera era sceso nei pressi del ponte ed era andato a far visita a
suo padre.
Le autorità del luogo interrogarono tutta la popolazione, ma nessuno aveva
assistito alla scena, solo Josè Lambert, risbattuto dal destino sulla
pietra dura, avrebbe potuto essere utile alle indagini, ma davanti al
magistrato fece scena muta.
Alcuni però notarono che da quell’evento l’espressione di Josè era mutata
leggermente, la direzione del suo sguardo ora virava decisamente verso San
Diego. Qualcuno la interpretò come l’inizio di un lento risveglio.
Camilo per dovere, cortesia e soprattutto perché le circostanze lo
imponevano andò a far visita a sua madre. Marguerite disperata concesse
solo qualche minuto al suo ex amante. In effetti non c’era nulla da dire e
le parole di Camilo apparvero immediatamente formali e prive di anima.
Nell’occasione il padrone delle Fonderie ricordò i vecchi tempi e quel
famoso incontro nella penombra di quel segreto. E purtroppo per lui non si
fermò lì. Ricordò a Marguerite ciò che successe immediatamente nei giorni
successivi e cioè la casa di legno costruita attorno a Josè e quella
famosa visita. Viste inoltre le dicerie in paese riguardanti il suo
rapporto con il Sindaco Leon Perralta fu inevitabile per lui chiedere se
quella fu l’occasione durante la quale nacque Carlito.
Sorprendentemente Marguerite lo fissò dritto negli occhi, non avendo
gradito l’accenno al suo rapporto con Leon non proferì parola alcuna.
Camilo si chiuse in un silenzio angosciante, salutò con un inchino la
donna e sulle scale rimise il suo tanto amato cappello. Pensò di nuovo a
quell’incontro, alla disponibilità di Marguerite, al periodo più breve del
solito della gestazione, alla circostanza curiosa di Josè, alla sua
testardaggine di rimanere lì seduto, senza più fare ritorno a casa.
Pensò a tutto questo, ma qualcosa lo convinse che quel giorno nello stesso
momento aveva acquisito e perso un figlio.
Tornò alle Fonderie affranto, ma si ravvivò immediatamente quando la sera
stessa Susan gli comunicò il grande evento. Era finalmente incinta e lui,
nel giro di qualche ora, di nuovo padre!
Passò la notte insonne, ma la causa non era la contentezza, ma solo un
dubbio atroce. Gli vennero in sogno mostri informi e animali preistorici
ma soprattutto la parola incesto. In preda alla confusione totale si recò
immediatamente dal Dottor Ramos de la Vida e alle sette in punto bussò
alla porta della sua casa.
Lui espresse i suoi dubbi e il luminare sorrise benevolmente,
rassicurandolo. Nessun problema di compatibilità di sangue. Si alzò gli
diede una pacca sulle spalle e gli sussurrò che oltre ad esserne padre
ufficiale alla nascita del bambino sarebbe diventato anche nonno.
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EPILOGO
Passò altro tempo, all’incirca otto mesi, Camilo guardò l’ora, si stava
rilassando all’ombra dell’ibisco rosso fiorito. Le macchine erano a pieno
ritmo. Al primo piano la levatrice e il Dottor Ramos de la Vida
assistevano al parto.
Dopo alcuni secondi sentì chiaramente i primi vagiti. Il Dottor Ramos si
affacciò alla finestra e benché non ce ne fosse stato bisogno, gli
confermò il lieto evento. Era nato un bel maschio di quattro chili e
mezzo.
Camilo perse il suo sguardo nel vuoto. La piazza assolata era deserta, il
vento caldo del Sud asciugava il suo sudore, ora poteva rilassarsi.
Masticò una foglia di tabacco, poi ringraziò il Cielo. Il destino era
stato davvero benevolo. Nessuno mai avrebbe potuto rivendicare bizzarre
paternità.
Da quell'istante poteva considerarsi padre e le Fonderie avevano
finalmente il nuovo erede: Bernard-Camilo Saviola Duarte, figlio di Camilo,
sangue del suo sangue!
FINE