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RACCONTI

1

Adamo Bencivenga
L'erede
QUARTA PARTE






 


 

SUSAN E LA CODA DI OPERAI
 



La scena di Josè le tornò più volte alla mente di Susan. In effetti era così arduo lottare contro il destino che si sentì più volte vittima delle sue stesse ambizioni.
Nella profonda delusione Susan alternava momenti di melanconia ad esagerata euforia. La nostalgia, finora controllata, esplose come un uragano, sbaragliando regole e buone maniere, condizionamenti e paure.
Come ai vecchi tempi la mattina iniziò ad alzarsi prima del marito, ma solo per rimanere nella toilette più del lecito. Si truccava e struccava e cambiava lingerie e vestiti ad un ritmo incessante. Il suo modello di riferimento era lei stessa, quando, giovane ballerina nelle locande del porto, viaggiava attraverso i racconti di mare dei suoi tanti amanti.
Rovistava nei tanti bauli di vestiti che il marito le aveva procurato nei tanti viaggi a Siviglia, provando e riprovando gonne, scarpe, corpetti, foulard, guanti, cappelli, velette e ventagli adatti ad eleganti soirée e prime di teatro. Per tutta la Fonderia era possibile sentire durante il giorno musica ad alto volume di flamenco arabo e tango gitano, accompagnata dal ritmo dei suoi tacchi e dal suono graffiante della sua voce. La sua platea era il solo grande specchio attaccato alla parete della sua stanza da letto. Poi quando divenne stretto osò oltre.

Così vestita cominciò ad affacciarsi alla finestra aspettando l'arrivo degli operai. Immaginava quel grande piazzale come una sorta di parterre acclamante. Era bella Susan, col suo seno da spagnola meridionale e, per ironia della sorte, esageratamente materno. Alle volte lo ostentava nel classico gioco del vedo e non vedo altre lo ricopriva di fiori di velo lasciando all’immaginazione l’intero percorso.

Andò avanti per giorni e giorni, finché, non più contenta di quell’apparire a distanza, iniziò a scendere sul piazzale per vedere più da vicino la reazione degli operai. Seduta sul paracarro di cemento adiacente al posteggio dei pullman metteva in bella mostra le sue forme agghindate da pizzi e merletti. Bella Susan con quelle labbra rosso ciliegia e i tacchi da ballerina che batteva e ribatteva sul selciato per attirare l'attenzione, semmai ce ne fosse stato bisogno.

Ogni mattina la fila degli uomini s'allungava vertiginosamente, ma era una calca muta e spaurita che per obbedienza al padrone si fermava a qualche metro dal paradiso vellutato, ma comunque in dubbio, per far piacere al padrone, se guardare oppure voltare il viso dalla parte opposta. Ma si sa che la fame è più forte della passione e la paura più audace del coraggio e così, passata la fila, Susan si ritrovava sola a mostrare al vento e a quelle squallide radure desertiche e miseramente cespugliose la sua bellezza intatta.
 


*****
 


Dicevamo, era bella Susan, i suoi occhi grandi verdi e marroni, il suo corpo allungato, il viso scarno e olivastro e i capelli neri sciolti in balia del vento che le davano un’immagine di figura scontornata ai bordi, quasi irreale e imprendibile ai comuni mortali. Seppure erano passati degli anni si teneva ancora ancorata a quei primi mesi di vita dove il ricordo, ormai desiderio sfrenato, affondava nelle radici della terra, unica madre che Susan riconosceva come genitrice.
Di quel periodo tornavano intermittenti lampi di memorie, sbalzi di temperature, colori sbiaditi, odori spessi e indefiniti, forme evanescenti d’oggetti comuni e filastrocche che la mente ripassava involontariamente intonandole a lamenti e dissociandosi nei momenti più impensati. Parlavano di bettole, di vino, di donne e di amori impensabili che il proprio corpo iniziava ad avvertire sotto forma di un’anonima e fastidiosa sensazione fisica.

E davanti a quella platea di operai ignoranti Susan recitava la sua filastrocca preferita che raccontava di una donna affascinante di nome Valerian, dalla faccia tinta e la pelle morbida che gli uomini ubriachi in preda agli istinti del piacere accarezzavano senza amore.
E di lì a poco Valerian trasformò l’adolescenza in merce e la bellezza in mestiere accodandosi ai girovaghi degli zingari felici e diventando l’attrazione principale della fiera. Ed in mezzo ai fenomeni da baraccone, il lanciatore di coltelli, la donna cannone, Valerian piantava la sua tenda traballante ricevendo al caldo di due coperte impolverate i propri amanti. Intanto un ragazzino dalla voce stridula e vestito di stracci invitava insistentemente i passanti ancora incerti a fare il biglietto descrivendo per filo e per segno lo spettacolo oltre la tenda.

Il tintinnio dei suoi grandi cerchi d’oro divenne in poco tempo il richiamo degli uomini adulti del circondario che nelle sere di festa si spostavano di paese in paese seguendo la soddisfazione di chi aveva avuto la fortuna di incontrarla. E dopo miglia e miglia di sogni arrivavano stanchi e vogliosi attendendo scompostamente in fila il proprio turno.
Ascoltavano chiaramente i gemiti e i lamenti che la bella Valerian suscitava a pochi metri e impazienti cercavano una trasparenza o uno strappo della tenda che potesse alleviare l’attesa del proprio piacere. Parallelamente alla sua fama e al costo misero della prestazione la coda si allungò a dismisura fino a creare problemi di ordine pubblico e a rischiare per se stessa condanne di moralità. Ma le Autorità dei paesi in festa, dalla Gendarmeria alla Chiesa, non mossero un dito contro la bella Valerian.
Tutto il mondo è un paese e tutto i secoli hanno lo stesso tempo ripeteva qui Susan e in effetti anche a quel tempo le Autorità acconsentivano tacitamente allo sfogo dei propri cittadini benché non fosse troppo palese. Quindi le permisero di continuare la sua professione a patto che avvenisse nella riservatezza. Di fronte alla scelta di interrompere la professione o accorciare la fila, Valerian non ebbe dubbi e ridusse drasticamente i tempi dell’attesa elargendo collettivamente le proprie prestazioni di piacere. Il numero del gruppo dei fortunati era dettato dalla richiesta del momento, dallo sconto decisamente conveniente e comunque non oltre l’etica del mestiere e il buon fine della prestazione stessa.

La fama di Valerian valicò monti e colline e di paese in paese giunse alle orecchie di migliaia di uomini. La fiera si ingrandì a dismisura di bancarelle e carretti di zucchero a velo, di giostre di giochi e colori di luci, croccanti e nocciole e occhioni di bimbi, che guardavano in aria, rapiti dal vento, palloni e figure d’uccelli rapaci.
Cappelli che volavano e grida esultanti, e tutto era ormai pronto per dare il via agli artisti, al mangiatore di fiamme che accendeva le torce, al trampoliere già in piedi che aspettava lo sparo, al giocoliere seduto accanto ai birilli, alla donna cannone che saliva le scale, al lanciatore di lame che faceva la punta ai coltelli.
Intanto sulla piazza gremita la banda scaldava i fiati e coppie d’amanti si cercavano con gli occhi e si davano appuntamento dopo la festa, dietro la siepe lungo la strada, che portava sinuosa alle dune sabbiose. Le coppie sposate invece ballavano strette, brillantina e dopobarba, orecchini e messe in piega, lui muscoli e cravatta, alcol e nicotina, lei pelle vellutata e seno abbondante, lui sorridente e lei generosa, e del resto non capitava spesso, un marito che chiedeva e una moglie che si offriva.

E tra quei capannelli gli uomini autonomamente si organizzavano a gruppi e curiosi sbavavano e s’informavano su Valerian, sul peso, sugli anni e l’altezza, sulla bocca se grande o quanto fossero piccoli i seni, se fosse esperta davvero, e quanto lo fosse e fin dove fosse concesso, e per quanto tempo urlasse e per quanto zitta, se davanti o dietro, in piedi o distesa.

La filastrocca terminava con la descrizione precisa delle arti magiche e ammaliatrici della stupenda prostituta che in poco tempo lasciò le misere tende delle fiere per le ricche e comode case di città.

La forza di riuscire a tutti i costi e soprattutto le facce scandalizzate della gente che rifiutavano sdegnate la filastrocca dissacrante erano gli stimoli che spingevano Susan, sin da piccola, a ripeterla a cantilena per ore ed ore tirando qua e là il fiato senza rispettare le pause.

Camilo dal suo canto viveva momenti di forte impaccio. Apparve fin troppo chiaro l’identificazione di sua moglie con la prostituta Valerian, la quale evidentemente viveva il comune sentire di ribellione e caparbietà, virtù o carenza che fino ad allora non le aveva mai fatto difetto.

Cercò di scrollarsi da quell’imbarazzo mettendo ad arte in giro la voce che sua moglie fosse affetta da forti turbe e d’accordo con il medico, il Dottor Ramos de la Vida, organizzò finte visite settimanali in modo da avvalorare la tesi della malattia.

Ma si sa che l’uomo al cospetto di cotanta bellezza anche di fronte ad una presunta malattia non frena il suo desiderio innato. E così nei giorni seguenti nessun operaio, giovane o vecchio, apprendista o senior, si assentò dal lavoro.

Camilo, uomo intelligente con lo spiccato fiuto degli affari s’accorse del fenomeno. La produzione segnò un notevole incremento senza ricorrere ad incentivi o a spese straordinarie, e tutto grazie alle esibizioni di sua moglie che imperterrita ogni mattina continuava la sua personale vendetta. Per un po’ di tempo, Camilo decise di non affacciarsi più alla finestra, rimanendo tranquillamente seduto nel suo studio a fare di conto e confidando sulla paura dei suoi operai di rischiare il posto di lavoro per una semplice donna. In fin dei conti, pensava, senza consumazione di sesso non crescevano corna e sberleffi, salvaguardando così morale e profitto.

Susan non intercettò mai quest’aspetto perverso del pensiero di suo marito e continuò ogni mattina, credendo di ferirlo, a rallentare la fila di quei piccoli uomini che indugiavano prima d'entrare.
Il teatro andò avanti per giorni fino a quando il più ribelle, un giovane appena diciottenne, in canottiera blu e muscoli d’acciaio, s'avvicinò fino a sentire il vapore del suo fiato e l'odore fresco del suo rossetto spagnolo al sapore di ciliegia. E con la fila ammutolita, varcò di pochi centimetri la linea immaginaria che lo separava dal licenziamento, poi ristette per interminabili secondi, preso dal dubbio e dai mugugni dei più anziani che lo consigliavano di non procedere, di non toccare quel tranello travestito da donna, ideato dal padrone per decurtare la misera paga e raddoppiare le ore di lavoro.
In un barlume di lucidità l'operaio riuscì a captare quelle voci dietro le spalle ed ebbe il tempo e la forza di ritrarre la mano anche se ineluttabilmente sfiorò la donna senza toccarla e sentì in quell’attimo tra le sue dita un calore che nessun inverno avrebbe mai potuto raffreddare. Rimase fisso ed immobile su quella preda, la quale senza dire e stando ferma lo istigava ad andare oltre le stoffe.

Ovviamente quella scena fece così tanto rumore che arrivò pochi minuti dopo nelle orecchie del padrone.
 


*****

CARLITO

 


Quel giovane si chiamava Carlos Josè Lambert, detto Carlito, un apprendista figlio di Marguerite, la donna più bella del paese di San Diego, la quale, nonostante gli anni e forse anche per la sua condizione di vedova bianca, rimaneva ancora oggi la donna più sensuale e appetibile di tutta la comunità.
Suo padre invece Pedro Josè Lambert consumava il suo destino seduto immobile sulla pietra dura al bordo della strada che portava in paese.
Tutti i paesani ricordavano le strane circostanze nelle quali fu concepito il giovane Carlito.

Lui, coraggioso e incosciente, aveva valicato la linea del licenziamento, e nessuno mai avrebbe avuto da ridire o addirittura opporsi se fosse stato allontanato dalle Fonderie, ma Camilo non prese alcun provvedimento nei suoi confronti, prima di tutto perché era il figlio di Marguerite e di Josè Lambert, l’uomo che il destino aveva sbattuto sulla pietra dura e soprattutto perché aveva ammirato l’audacia e la forza del giovane, che nonostante tutto, pur travalicando il confine lecito, lo aveva impietrito a pochi millimetri dalla presa.
Purtroppo la scena ebbe un seguito ed andò avanti nei giorni successivi fino a quando una sera Camilo decise di mettere fine a quello squallido spettacolo. Del resto la sua proverbiale lungimiranza gli suggerì di andare oltre e di sicuro quell’episodio aveva aperto nella sua mente altri scenari.




*****
 


Quella sera a cena Camilo rivolse la parola a sua moglie cercando pazientemente di raggiungere quel posto della mente dove lei trovava rifugio e benessere.
La intercetto chissà dove e con dovuto tatto s’informò in generale sullo stato di salute e in particolare sul suo sedere oggetto nei giorni precedenti delle esagerate attenzioni del suo frustino.
Durante il pomeriggio aveva annotato su un foglietto i temi in sospeso. C’era il problema dell’erede, dei loro rapporti intimi incompleti, e poi ancora di riportare la bella Susan tra i vivi e soprattutto di tenerla con sé, mai avrebbe potuto accettare il destino di suo padre, lasciato solo con sei figli.
Per l’occasione aveva indossato un elegante vestito scuro e il cravattino nero da torero. Il rubino, grande come una noce, al mignolo sinistro rifletteva la luce calda del candelabro antico.
Fece una lunga premessa raccontando nei dettagli le vicissitudini della sua famiglia, le sue ricerche affannose per ritrovare sua madre e, per la prima volta in assoluto, l’episodio di Henriette, ma rimase reticente su quello di Jasmine.

Poi il discorso si spostò su José Lambert e il suo infausto destino che lo relegava da anni su una pietra dura. Qui vide una luce negli occhi di sua moglie. Ma ad arte passò oltre parlando della Fonderia, dei futuri investimenti e del grande progetto della colata permanente, con la possibilità di riutilizzare la forma per creare il pezzo per un elevato numero di cicli produttivi.

Paragonò le anime della produzione, all’anima della donna. Così come il metallo liquido entra nei fori della fusione per compatibilità così lui aveva il diritto di facilitare che l’anima fisica di sua moglie fosse colmata da elementi più compatibili che raggiungessero gli alti obbiettivi della riproduzione.
L’aveva presa un po’ alla larga ma il senso venne a galla quando Camilo accennò all’erede, ai loro tentativi falliti, all’audacia di quel giovane operaio ponendo immancabilmente l’accento sulla riservatezza di tutta la questione. Ormai aveva raggiunto l’età della pensione e da lì a pochi anni si sarebbe creato il problema del sostituto. Per quanto lo riguardava, insieme a Susan, si vedeva già disteso su qualche spiaggia esotica sulla quale trascorrere la maggior parte dell’anno.

La bella e malinconica Susan rimase muta per tutto il tempo, nei momenti di lucidità annuì sorridendo, capì le ragioni di Camilo, ma non capì altro. Camilo più esplicitamente insistette sulla necessità dell’erede e i loro tentativi vani di averlo. Pronunciò per tre volte la parola Tesoro e per due Amore, ma il suo argomentare caldo e persuasivo girò intorno alle parole compatibilità e riproduzione. Velatamente accennò alla possibilità di adottare, ritenuta soluzione improbabile per via della sua età avanzata, oppure di concepire un figlio con un’altra donna, preferibilmente una prostituta, semmai ci fosse riuscito. Ma anche questa soluzione venne scartata in quanto sarebbe stato evidente ai più che Susan non fosse la madre del piccolo bastardo per cui avrebbe risolto il problema dell’erede, ma non quello delle dicerie. Il silenzio successivo fu molto esplicativo.

Alla fine Susan realizzò quello che suo marito aveva detto senza dire e i suoi occhi s’illuminarono squarciando a cielo azzurro quel velo di mesi. A Camilo fu sufficiente quel segnale. Offrì dell’altro vino alla bella moglie. Quando fu evidente che Susan in qualche modo era tornata tra i vivi, Camilo s’informò quanto l’intraprendenza di Carlito fosse stata gradita. Susan per delicatezza non rispose, ma Camilo notò un impercettibile movimento del suo seno.
Quella fu la conferma e allora si lasciò andare a considerazioni sulla natura, sulla fertilità e il ciclo femminile.
Convennero che la pratica a cui si sarebbe sottoposta Susan sarebbe stata unica e non ripetibile e finalizzata al solo proposito.
Ed inoltre condivisero la necessità di non ritornare più sull’argomento e di porre fine ai loro incontri serali iniziando da quella sera stessa. Ed in effetti la cena non ebbe un seguito. Tutti e due si ritirarono nelle rispettive camere. Lui a leggere il suo libro, “Le Gesta d’Orlando e Angelica”, lei a riflettere su quell’opportunità.
Erano ormai settimane che dormivano separati. Susan passava le sue notti nella camera degli ospiti. A suo parere quella stanza le dava un sapore di precarietà, di viaggi e valigie aperte.

Ma quella sera, quando si coricò nel suo letto, non fece altro che riflettere su quella opportunità. Forse l’essere madre non era il massimo delle sue aspirazioni e di sicuro non avrebbe appagato la sua anima girovaga, ma, nonostante tutto, il destino le stava offrendo, anche se in subordine, un viaggio per una nuova meta.
Decise di accettare e in cuor suo ringraziò suo marito. Del resto Camilo avrebbe potuto scegliere per lei invece le aveva dato carta bianca chiedendo addirittura il suo parere. Tra tutti gli operai Carlito era più di quanto si potesse aspettare, forse era troppo giovane, ma sicuramente non segnato dalla fatica della Fonderia. Passarono nella sua mente le forme definite dei muscoli e la carnagione scura, gli occhi neri, le mani grandi e un nonsoché di familiare. Adorava quella sfrontatezza quel ghigno di strafottenza tipico dei giovani e ne dedusse che la natura, ma soprattutto Josè e Marguerite, nonostante la sventura e le circostanze avverse, avevano fatto davvero un ottimo lavoro.

A quel punto non perse tempo. Consultò il calendario e contò i giorni. Era esattamente a metà del ciclo! Con immenso piacere scrisse immediatamente un brevissimo biglietto a Carlito avvertendolo che la mattina seguente non sarebbe scesa all’arrivo dei pullman, ma se lui avesse voluto, di nascosto dai suoi compagni, poteva percorrere il recinto fino alla grande quercia, da lì svoltare e prendere il viale alberato lasciando alla sua sinistra la fontana delle rane. “Acqua in bocca!” Scrisse per tre volte. Sull’altra metà del foglio disegnò alla buona una specie di mappa con l’indicazione della casa di legno.
Naturalmente per salvare la faccia di Camilo si guardò bene di rivelare l’accordo e il bene placido di suo marito.
Inoltre Camilo per evidenti motivi di gelosia si era raccomandato che per nessuna ragione doveva essere messo a conoscenza dell’ora e del luogo dell’incontro e cosa ancora più importante, in caso di assenza ingiustificata da parte del giovane, non avrebbe preso alcun provvedimento disciplinare nei suoi confronti.



*****

L’AMORE

 


Il giorno dopo Carlito, appena sceso dal pullman, si ritrovò come per incanto la lettera in tasca. La sua prima reazione fu di completo stupore seguita poi da un velo di paura, ma alla fine trionfò l’orgoglio e la vanità maschile. Per timore che lo sconsigliassero non disse nulla ai suoi colleghi e dopo circa un mezz’ora dal suono della campanella di inizio lavoro non gli rimase che fingere un malessere, togliersi la tuta da lavoro, uscire dalla Fonderia e, con il biglietto ben stretto nella mano, seguire passo dopo passo il recinto fino alla grande quercia.
La sorte volle che, proprio in quel momento, affacciato alla finestra del suo ufficio, Camilo inquadrò con il suo binocolo di radica gialla la sagoma del ragazzo. Immediatamente lo riconobbe, ma non si scompose a parte quell’impercettibile ghigno che gli mosse leggermente il baffo destro.

Carlito, in preda ad un affanno che quasi gli immobilizzava le gambe, passò lungo il recinto fino alla grande quercia, poi svoltò e prese il viale alberato lasciando alla sua sinistra la fontana delle rane. Proseguì per un centinaio di metri finché non scorse da lontano il grande cancello di ferro. Di lì percorse il viottolo di terra e rovi sulla sua sinistra fino a quando una casetta di legno colpì la sua attenzione. Si fermò un attimo. Il timore di un tranello e i fantasmi del licenziamento avvamparono la sua mente. La porta era socchiusa, sarebbe bastato sospingerla con un soffio di fiato, ma nei suoi occhi si materializzò la figura austera del padrone. Esitò ancora. Si raccomandò a Sant’Isidoro di Siviglia, poi a Gesù e Maria, si fece il segno della croce ed alla fine entrò.

Nella piccola casetta nessuna ombra del padrone, nessun tranello oscuro, ma solo la meravigliosa Susan in attesa. Non c’era tempo per i saluti, men che meno per le parole. Lei era già distesa sul piccolo lettino e Carlito non credeva ai suoi occhi. Riprese esattamente dove era rimasto, ossia dai due centimetri dal velluto di lei. Susan lo invitò a non perdere tempo pregandolo d'andare oltre, di esplorare le sue parti del corpo che ancora nascoste chiedevano d'essere riportate all'obbedienza e che un uomo come suo marito non era in grado di domare.
Ovviamente questo non lo disse, anche se le avrebbe procurato una peccaminosa eccitazione. Per ora lo osservava eccitandosi con le sensazioni di quell’attesa, completamente perse nel talamo coniugale. Vide chiaramente i calli sulle sue grandi mani dove si districava netta la linea dell’amore, seguì con le dita i segni della fatica e le rughe del piacere. Lui, davanti a quello spettacolo, si liberò ben presto delle catene della diffidenza e con uno mossa da vero maschio si tolse la maglia da lavoro gettandola senza vedere sulla legna accatastata.
Susan sentì chiaramente l’odore forte dell’uomo, dell’eccitazione, dei muscoli e del sudore. Carlito era già sopra di lei, Susan chiuse gli occhi e intraprese mentalmente quel viaggio d’albe e tramonti, di tende berbere e lande sabbiose attraverso la passione e il desiderio di scoprire nuovi posti subendone inevitabilmente quel fascino che suo marito caparbiamente aveva interrotto per anni.

Viaggiò per lune e giorni, percorse gli itinerari bui del piacere, quartieri malfamati e viali alberati, ricordò nitidamente tutti i nomi degli uomini che aveva avuto prima di conoscere suo marito, li pronunciò ad alta voce, li contò ad uno ad uno, li distinse nitidamente dalle labbra e dal colore della pelle. Sentì l’odore caldo dei letti disfatti e il sapore dei baci rimasto indelebile sul suo seno accogliente. Ricordò anche Camilo, ricordò quella notte dell’unica volta insieme ormai persa nei meandri grigi della memoria.

L’istinto poi prese il sopravvento e quei nomi divennero gemiti ed i gemiti parole, e le parole cadenze e incitamenti. Afferrò le mani dell’amante accarezzandosi prima il seno e poi scivolando nel piacere più intenso. Strinse le gambe, poi le spalancò al piacere e lui capì. Allora le mani di lui divennero autonome, maschie e tenaglie e morse di ferro. Ad ogni carezza più esperte, ad ogni stretta più convinte del proprio potere. S’infilavano e si muovevano, poi s’arrestavano nei pertugi di carne, nelle crepe del desiderio per poi ricominciare come soldati durante un saccheggio, come predoni nelle razzie.

La bella Susan assaporava i momenti magici dell’antica trasgressione e con gli occhi sbarrati tentava di fissare quella scena e quella pelle nella sua memoria, desiderando che tutto ciò fosse stato per sempre o al limite un ricordo netto da sfruttare nelle notti insonni e d'astinenza. Stordita da quel vigore si lasciò andare completamente e nel suo desiderio infinito sopraggiunsero altri uomini, altri soldati, barbari e zingari, i quali, obbedienti a quei seni, s’accalcarono su quel letto reclamando un dito, la bocca, un'unghia, un bacio. Erano lupi affamati che facevano incetta di carne, branchi di uomini assetati di linfa d’ogni albero, di nettare d’ogni fiore, e lei concime d’ogni campo sfamava la sua brama nutrendo il mondo intero. E come in un rosario continua a urlare quei nomi, a chiamarli, ad invitarli nella sua folta peluria, a farsi lotteria, ambo e terno, premio e bottino finché l’urlo di Carlito non la fece planare di nuovo su quel letto.

Gli gridò di non cedere, in quella circostanza ogni secondo valeva un’eternità, rabbrividì all’idea e si avvinghiò a lui per farlo resistere e le parve di essere in mezzo al mare, ma non una barca, non una vela ma addirittura un’onda, un flutto sbattuto in un crescendo impetuoso. E lei divenne un oceano che si rotolava come acqua densa oleosa, che si squarciava alla forza, si schiudeva alla natura. Lui sprofondò in quegli abissi immergendosi in quell’ignoto senza più fondo. Si rese conto che mai avrebbe potuto colmare un’esistenza, il vuoto di lunghi anni, l’intimo desiderio generato dalla sua sorte.
Lei aperta come un fiore al sole lo invitò di nuovo e chissà perché in quei momenti le vennero in mente alcuni passi alla rinfusa dell’amante di Lady Chatterley: “L’uomo la prese nelle braccia e di colpo lei si fece piccina e cominciò a sciogliersi provando un’incredibile sensazione di pace. E mentre si scioglieva divenne infinitamente desiderabile. Nelle vene dell’uomo il sangue parve infiammarsi e lei sentì le sue mani lievi come un cigno sfiorare i suoi fianchi e poi le natiche morbide e calde avvicinandosi sempre più al punto più sensibile e vivo di lei. Poi la prese e per un momento rimase fermo dentro di lei, turgido e palpitante, poi quando prese a muoversi si destarono in lei strani fremiti nuovi che la percorrevano come un’increspatura sull’acqua…

Gli si avvinghiò appassionatamente e Connie sentì il suo germoglio palpitare in lei e sempre più veemente gonfiarsi finché non colmò la sua coscienza e poi riprese il movimento che in realtà erano veri e propri vortici, via via più profondi, di sensazioni che turbinavano sempre più a fondo in tutti i suoi tessuti… e ondulavano, ondulavano come lingue sovrapposte di fiamme leggere raggiungendo apici di splendore. Sentì il suo pene ergersi con muta stupefacente forza e autorevolezza e gli si abbandonò. Cedette con un brivido che somigliava alla morte. Gli si offerse tutta, lei urlò e l’uomo la udì sotto di sé con una sorta di terrore mentre il suo seme vitale sprizzò dentro di lei come metallo fuso.”

Non durò molto, forse qualche minuto, ma a Susan parve un tempo infinito, in cuor suo avrebbe scommesso almeno un’ora. Ovviamente non aveva preso alcuna precauzione, ma tacque la circostanza. Trattenne quel piacere alzando le gambe e coricandosi sulla parte destra in modo da decidere il sesso. Poi contò i giorni per tre volte fino ad avere di nuovo la certezza che quella sera sarebbe stata effettivamente luna nera.
Così fu.

Fuori la luce intensa abbagliava la campagna intorno. Accennò due passi poi si fermò aspettando che il suo bell’amante scomparisse alla sua vista.
Per la prima volta dopo tanti anni si sentì libera e leggera.

Il giorno dopo tornò da sola nella casa del giardiniere e, come da tradizione della sua gente, bruciò le lenzuola e i suoi vestiti. Ne fece un gran falò.
Ora non le rimaneva che aspettare nove mesi.




*****

LA DISGRAZIA
 



Passarono alcuni mesi, gli affari alle Fonderie andavano a gonfie vele, arrivarono commesse da paesi stranieri.
Camilo si affacciò sul grande piazzale, il suo sguardò s’incupì guardando oltre il cancello. Purtroppo Carlito in circostanze misteriose, mentre procedeva a piedi per la strada verso San Diego, davanti alla pietra dura sulla quale era seduto Josè, fu aggredito a morte da un gruppo di malviventi forse slavi, forse zingari. Come ogni pomeriggio al ritorno della corriera era sceso nei pressi del ponte ed era andato a far visita a suo padre.
Le autorità del luogo interrogarono tutta la popolazione, ma nessuno aveva assistito alla scena, solo Josè Lambert, risbattuto dal destino sulla pietra dura, avrebbe potuto essere utile alle indagini, ma davanti al magistrato fece scena muta.
Alcuni però notarono che da quell’evento l’espressione di Josè era mutata leggermente, la direzione del suo sguardo ora virava decisamente verso San Diego. Qualcuno la interpretò come l’inizio di un lento risveglio.

Camilo per dovere, cortesia e soprattutto perché le circostanze lo imponevano andò a far visita a sua madre. Marguerite disperata concesse solo qualche minuto al suo ex amante. In effetti non c’era nulla da dire e le parole di Camilo apparvero immediatamente formali e prive di anima.

Nell’occasione il padrone delle Fonderie ricordò i vecchi tempi e quel famoso incontro nella penombra di quel segreto. E purtroppo per lui non si fermò lì. Ricordò a Marguerite ciò che successe immediatamente nei giorni successivi e cioè la casa di legno costruita attorno a Josè e quella famosa visita. Viste inoltre le dicerie in paese riguardanti il suo rapporto con il Sindaco Leon Perralta fu inevitabile per lui chiedere se quella fu l’occasione durante la quale nacque Carlito.

Sorprendentemente Marguerite lo fissò dritto negli occhi, non avendo gradito l’accenno al suo rapporto con Leon non proferì parola alcuna.
Camilo si chiuse in un silenzio angosciante, salutò con un inchino la donna e sulle scale rimise il suo tanto amato cappello. Pensò di nuovo a quell’incontro, alla disponibilità di Marguerite, al periodo più breve del solito della gestazione, alla circostanza curiosa di Josè, alla sua testardaggine di rimanere lì seduto, senza più fare ritorno a casa.
Pensò a tutto questo, ma qualcosa lo convinse che quel giorno nello stesso momento aveva acquisito e perso un figlio.

Tornò alle Fonderie affranto, ma si ravvivò immediatamente quando la sera stessa Susan gli comunicò il grande evento. Era finalmente incinta e lui, nel giro di qualche ora, di nuovo padre!

Passò la notte insonne, ma la causa non era la contentezza, ma solo un dubbio atroce. Gli vennero in sogno mostri informi e animali preistorici ma soprattutto la parola incesto. In preda alla confusione totale si recò immediatamente dal Dottor Ramos de la Vida e alle sette in punto bussò alla porta della sua casa.

Lui espresse i suoi dubbi e il luminare sorrise benevolmente, rassicurandolo. Nessun problema di compatibilità di sangue. Si alzò gli diede una pacca sulle spalle e gli sussurrò che oltre ad esserne padre ufficiale alla nascita del bambino sarebbe diventato anche nonno.




*****

EPILOGO

 


Passò altro tempo, all’incirca otto mesi, Camilo guardò l’ora, si stava rilassando all’ombra dell’ibisco rosso fiorito. Le macchine erano a pieno ritmo. Al primo piano la levatrice e il Dottor Ramos de la Vida assistevano al parto.
Dopo alcuni secondi sentì chiaramente i primi vagiti. Il Dottor Ramos si affacciò alla finestra e benché non ce ne fosse stato bisogno, gli confermò il lieto evento. Era nato un bel maschio di quattro chili e mezzo.
Camilo perse il suo sguardo nel vuoto. La piazza assolata era deserta, il vento caldo del Sud asciugava il suo sudore, ora poteva rilassarsi.
Masticò una foglia di tabacco, poi ringraziò il Cielo. Il destino era stato davvero benevolo. Nessuno mai avrebbe potuto rivendicare bizzarre paternità.
Da quell'istante poteva considerarsi padre e le Fonderie avevano finalmente il nuovo erede: Bernard-Camilo Saviola Duarte, figlio di Camilo, sangue del suo sangue!

 




FINE

 

 












 
 
 



Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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Photo KokChin


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