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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
LO SCRITTORE DI ETICHETTE


 


 
 


“Si sa che la vita è un interminabile Sliding Doors. Helen prende il metrò, Helen perde il metrò…”
Questo pensava John Edward Lessing quella mattina durante il percorso sulla Bakerloo Line che lo portava ad un incontro con un nuovo cliente.
Alto e biondo, il suo aspetto non tradiva le sue origini scozzesi. Il suo trisavolo era stato comandante del Terzo Reggimento delle Guardie a piedi al servizio della Corona Britannica e suo nonno, affascinato dal mito degli Highlanders era diventato nel tempo, un autorevole membro delle Military Pipe Band. Lessing si era laureato in disegno grafico, presso la prestigiosa Università di Greenwich di Londra, all’età di venti anni ed era diventato nel tempo un discreto scrittore di etichette.

Conosceva quasi a memoria ogni normativa vigente e sapeva a perfezione ove collocare le informazioni di ogni singolo prodotto e la relativa grafica per rendere accattivante il prodotto. Gli ingredienti, i principi attivi, i componenti chimici, la data di scadenza, la quantità e la modalità di conservazione nonché i valori nutrizionali, erano il suo pane quotidiano e la sua arte.
Ma il suo sogno nel cassetto consisteva nello scrivere sull’etichetta, laddove ci fosse stato spazio, mini poesie dal sapore ecologico. In questo modo avrebbe invogliato la clientela a preferire le confezioni più grandi con un utile maggiore per l’azienda. Prevalentemente le aziende con le quali lavorava commercializzavano prodotti esclusivamente biologici e naturali e per questo motivo richiedevano dei modelli di etichette rigorosamente scritti a mano.
Nonostante la sua esperienza ventennale gli affari non andavano a gonfie vele. Aveva perfino provato ad espandere il suo raggio di interesse, dapprima scrivendo slogan per tifosi di squadre di calcio e successivamente, grazie ai suoi studi in lingue orientali, a scrivere menù per ristoranti thailandesi e cambogiani.

“Si sa che la vita è un interminabile Sliding Doors. Helen prende il metrò, Helen perde il metrò…”
Si ripeteva sottovoce salendo le scale della stazione di Charing Cross a Westminster. La leggera pioggerellina in superficie lo costrinse ad aprire il suo Fox nero.
Sotto gli occhiali scuri celava un’altra notte trascorsa quasi totalmente in bianco. Ormai succedeva da diversi mesi, cioè da quando sua moglie Sylvia gli aveva comunicato l’intenzione di separarsi. I ventidue anni di differenza erano sicuramente la causa maggiore dei loro continui diverbi, già altre volte erano stati sul punto di chiudere, ma questa volta era diverso. Tutto era nato da quando Sylvia aveva trovato un nuovo lavoro come interprete. I pensieri di Edward corsero senza freni immaginando scene di sesso e tradimenti e si bloccarono non appena vide il palazzo a vetri della “Pepinos de Andalucia”.

Salì le scale del palazzo con un certo affanno. John Edward Lessing non aveva mai preso un ascensore in vita sua. Accompagnato da una graziosa segretaria in tailleur giallo limone fece qualche minuto di anticamera in una sala luminosissima gustandosi i quadri astratti di Josè Manuel Merello.
Tra le belle donne dell’artista madrileno spiccava una targa dorata della “Pepinos de Andalucia”. L’azienda spagnola, radicata soprattutto nei mercati del mediterraneo, era una delle più grandi realtà europee, produttrice di gustosissimi cetriolini biologici sott’aceto non ancora commercializzati nel Regno Unito.

Davanti a quella targa Lessing rimase perplesso. Il lavoro era diminuito vertiginosamente, il mercato era praticamente fermo e con estremo rammarico era stato costretto a licenziare due dei quattro collaboratori.
Per questo motivo era rimasto molto sorpreso quando ricevette l’email di quell’offerta di lavoro. Dapprima addirittura aveva pensato ad uno scherzo di qualche amico burlone.

Comunque per lui, quel tipo di colloqui, erano quasi routine, salvo poi ricevere altrettanti dinieghi. Del resto il suo lavoro consisteva nel recepire le esigenze del cliente in termini di marketing e, lavorando sui risultati delle analisi scientifiche, preparare una serie di bozzetti per l’etichetta. Stop. La realizzazione grafica in serie e il processo di produzione dell’etichetta non lo riguardava affatto.

Dopo alcuni minuti fu introdotto nella stanza del Presidente.
Ana Susan González Martínez lo salutò con una stretta di mano molto calorosa tipicamente latina. Lui ammirò la sua minigonna bianca a pois neri, notando la grazia della scarpa che riprendeva in negativo il disegno della gonna.
La donna aveva superato da tempo la cinquantina. Per la verità ne aveva compiuti cinquantasette. John Edward si ricordò di aver letto la sua data di nascita sulla documentazione della società. Alla vista rimase molto sorpreso per quell’avvenenza. Le labbra grandi, gli zigomi pronunciati e la pelle leggermente ambrata caricavano di fascino il suo viso tipicamente andaluso. Con una leggera punta spagnoleggiante illustrò in inglese le strategie e le aspirazioni dell’azienda sul mercato di tutto il Regno Unito. Contavano nel breve giro di sei mesi di coprire tutta la rete commerciale della grande distribuzione.
Davanti a quel simile progetto Lessing celò a fatica un’impercettibile insicurezza anche se sapeva in cuor suo che quell’offerta era il giusto merito di un’onorata carriera.

Nel bel mezzo della presentazione la signora González scostò leggermente la sedia di pelle allontanandosi dalla scrivania, avvicinò la penna, con il logo dell’azienda, alle labbra ed accavallò le gambe. John Edward notò il monile d’argento alla caviglia sopra la calza a rete.
Il colloquio fu molto cordiale e soprattutto raggiunsero immediatamente un accordo di massima sulla fase progettuale. Naturalmente il lato economico sarebbe stato trattato in separata sede.
“Signor Lessing, conosciamo la sua professionalità. Ho avuto modo di constatare personalmente l’accuratezza che impiega nel suo lavoro. Il suo nome ci è stato segnalato da una persona di sua conoscenza.”
Edward si informò chi fosse, pensò chi mai avesse fatto il suo nome, ma la signora eludendo la curiosità di Edward parlò del fiore all’occhiello dell’azienda.
“Signor Lessing, i nostri cetriolini sono trattati esclusivamente con tecniche biologiche, per cui vorremmo un’etichetta che faccia pensare immediatamente all’aspetto naturale e genuino del prodotto…” Disse la donna enfatizzando il concetto con un vistoso movimento delle mani.
“Capisco in questi casi le informazioni contenute sono davvero un dettaglio!”
“A noi interessa che il cliente tramite l’etichetta pensi immediatamente ad un preparato fatto in casa, tipo le conserve della nonna…”
“Comprendo l’esigenza. Cercherò di creare un’etichetta silenziosa…”
“Prego?” Anna Susan si tolse gli occhiali.
“Sì, esatto, silenziosa, ma chiaramente non muta. Attraverso la lettura deve trasmettere al cliente un senso di calma e benessere.”
“Sono d’accordo! Ma non trascuri il concetto della conserva della nonna…” Disse la donna adagiandosi sullo schienale.

Alla parola nonna Lessing automaticamente spostò la sua visuale su quelle gambe. Libera da pregiudizi, la signora González continuava a muoverle in armonia con il proprio ruolo e la propria età. John Edward in quel momento giurò senza ombra di dubbio di aver percepito nella penombra una variazione di colore, tra il verde bosco e il turchese brillante. Questo significava che in quell’ondeggiare di gambe e gonna il suo occhio aveva intravisto, in un infinitesimo secondo, il colore dello slip della signora González.

Da quel momento il suo disagio fu così evidente che rimase per alcuni minuti in silenzio preferendo volgere il proprio sguardo in direzione dell’ampia vetrata alle spalle della signora. Decise di non fare cenno al suo progetto circa le mini poesie, poi parlando del più e del meno ritrovò la calma necessaria.
Quando l’argomento fu esaurito la donna dapprima parlò delle bellezze di Londra, e della difficoltà di relazionarsi con i londinesi in genere. Poi gli chiese dove fosse ubicato esattamente il suo studio ammorbidendo la domanda con un ampio sorriso mediterraneo.
John Edward giudicò eccessiva quella curiosità, ma apprezzò non poco il rosso fiammante di quelle labbra.
Lei, dopo aver annotato l’indirizzo, lo congedò con una calorosa stretta di mano non prima di avergli consegnato una confezione gigante di cetriolini e un’enorme cartella plastificata nella quale vi erano raffigurati tutti i modelli dei contenitori di vetro, comprese le specifiche in termini di materiale, tipologie e misure.

*****


“Si sa che la vita è un interminabile Sliding Doors. Helen prende il metrò, Helen perde il metrò…”
Ecco questo era un grande giorno! Con la cartella sottobraccio John Edward sentiva dentro sé una nuova creatività, sentiva nelle profondità del suo estro un turbinio di idee e concetti. Fece addirittura un piccolo salto per evitare un bambino in monopattino. Tra le altre cose pensò di richiamare i due collaboratori licenziati e di comprare una strumentazione più all’avanguardia.
Per un momento gettò alle spalle i suoi problemi con Sylvia. Grazie alla “Pepinos de Andalucia” aveva la possibilità di riavviare alla grande i suoi affari e soprattutto di creare la sua prima etichetta silenziosa. Non sarebbe stata né quadrata e né rettangolare, pensava ad una forma tonda irregolare tipo nuvola con un piccolissimo bordo giallo opaco e un fondo verde autunno.
Le confezioni giganti da mezzo e da un chilo poi, gli avrebbero dato l’occasione inseguita da anni. Aveva nel suo cassetto del comodino una serie infinita di mini poesie ed aforismi ed ogni sera, prima di addormentarsi, ne aggiungeva altri. Se avesse avuto l’ok da parte della Presidente della “Pepinos de Andalucia” avrebbe iniziato con la sua preferita. A voce alta la ripassò a mente, immaginandola già scritta sull’etichetta in carattere brush script o meglio in edwardian script di gran lunga più accattivante:

Oltre la collina
la foglia vestita d'autunno
danza tra le sponde del cuore
e si lascia cadere
scarlatta e maliziosa
sopra la zolletta in amore.


Occorreva mettersi subito all’opera. Andò immediatamente nel suo studio, salutò la segretaria e Peter Grimm, il giovane grafico precario esperto di informatica.
Una volta nella sua stanza, abbassò le tende veneziane lasciando una leggera e gradevole penombra. Spostò la sua poltrona di pelle nera nel lato più buio della sala. Ripensò alla signora González, poi a sua moglie ed infine alle etichette. Rimase qualche secondo immobile nell’attesa che anche l’ultimo pensiero si diradasse nella profondità della sua anima.

Durante la settimana incontrò alcuni fornitori, Anthony Gennari, un grafico di provata esperienza, una consulente del Ministero dell’agricoltura, la dottoressa Franca Strindberg, la quale molto gentilmente gli illustrò le ultime normative della Comunità Europea in merito alla conservazione dei prodotti in vetro.
 

*****


Il lunedì seguente John Edward, seduto alla sua scrivania, guardava oltre la vetrata la tipica uggiosa giornata londinese scrollandosi lo strascico di un fastidioso alterco. Sua moglie Sylvia aveva da poco lasciato lo studio. Edward si stava chiedendo per quanto tempo ancora sarebbe durato quel rapporto. In effetti avevano due caratteri agli antipodi. Lei ancora giovane e bella aveva un’indole esuberate e piena di vitalità. Lui invece, di una costanza disarmante, non riusciva più a seguirla. Quel lavoro come interprete era stata la classica goccia, i suoi atteggiamenti erano diventati più ribelli e strafottenti. Ormai era certo che lo tradisse e che l’amante c’entrasse in qualche modo con il suo nuovo lavoro. Di fatto la separazione non era ancora avvenuta. Lei era in cerca di un monolocale confortevole, ma i prezzi delle case di Londra rendevano tutto più complicato.
Quel lunedì avevano discusso molto per problemi economici, lei pretendeva un contributo più sostanzioso da parte del marito, del resto il nuovo lavoro non andava a gonfie vele per imprecisate ragioni che Sylvia non aveva voluto svelare. Comunicò ufficialmente al marito che, nonostante fossero passati solo tre mesi, stava decidendo di licenziarsi.
Edward trasalì con un certa piacevole soddisfazione constatando quanto fosse affascinante sua moglie. Aveva un fisico da modella ed un viso da copertina di Vogue.
“Anche arrabbiata è bellissima!” Pensò, cercando, con la sua solita flemma, un atteggiamento più accomodante del solito. Sylvia, di rimando, alzò la voce. Quel tipo di atteggiamento paternalistico la irritava ancora di più. Se ne andò sbattendo la porta e dimenticando sulla poltrona di ecopelle il suo cappellino color malva.
Rimasto solo, un ghigno di velata tristezza lo lasciò del tutto indifferente. Quella sera era il giorno settimanale delle loro uscite indipendenti.

Stava rileggendo il testo: “Oltre la collina la foglia vestita d’azzurro…” quando una telefonata insolita lo fece sussultare. Ana Susan González Martínez, la Presidente della “Pepinos de Andalucia” preannunciava a breve una sua visita.
“Mio caro Signor Lessing una commissione di lavoro mi ha portata qui nell’East End. Le confesso che sono curiosissima di vedere le sue etichette…”
Edward rimase alquanto sorpreso da quella informalità, ma suo malgrado dovette dare il suo consenso.
Lei fu sbrigativa.
“Ok, ci vediamo tra circa dieci minuti nel suo studio.”

John Edward giurò che non fossero passati quattro minuti quando sentì il campanello. La segretaria non fece in tempo ad avvertirlo. L’esuberanza di Ana Susan con il suo profumo Plum, riempì in un attimo tutti i vuoti della stanza. La bella spagnola era nel pieno della sua migliore stravaganza, portava una gonna rossa corta a pieghe, decisamente non adatta alla sua età ed un cappello a falde larghe il cui diametro superava di gran lunga il metro. La camicetta trasparente e decisamente scollata, la calza nera, le scarpe alte e il rossetto molto pronunciato completavano quella figura a dir poco eccessiva.

Salutò John Edward con fare sbrigativo ed immediatamente si diresse senza il minimo permesso verso una delle due poltrone di fronte alla scrivania. Appena seduta si tolse le scarpe.
“Mio caro Lessing, i tacchi sono una bellissima invenzione e una piacevole tortura, specialmente per donne non troppo alte come me, ma purtroppo non posso non tenere conto del parere dei miei piedi…”
Così dicendo iniziò a massaggiarli così accuratamente che ad Edward ricordò una massaggiatrice cinese incontrata in gioventù in un centro estetico a Soho.
Lei continuò a parlare, ma lui, come era accaduto la scorsa volta, si soffermò sull’orlo della gonna che superava ampiamente l’altezza del comune senso del pudore. Imbarazzato voltò lo sguardo in direzione della finestra, poi chiamò al telefono la sua segretaria e per ultimo ordinò a Peter di procurargli qualche bozzetto delle “Pepinos de Andalucia”.
“Signora González spero che le etichette siano di suo gradimento. La prego le consideri ancora un work & progress.” Così dicendo ad una ad una mostrò la sua opera accompagnandola con specifiche tecniche e considerazioni artistiche, tenendo ben nascoste al momento le altre etichette con le mini poesie.

Ana Susan lasciò stare per un attimo i suoi piedi ed esplose in un fragoroso battimani sperticandosi in complimenti a dir poco entusiasti.
“Mio caro Edward lei è a dir poco un genio! Altro che sapori della nonna, qui andiamo abbastanza oltre, le confesso di avere l’acquolina in bocca.”
Lui rimase letteralmente esterrefatto, mai nella sua carriera gli era capitato un elogio così evidente. Anzi, per attenuare quel panegirico, le disse che aveva fatto del proprio meglio e come ogni artista non era affatto entusiasta del suo lavoro. Ma la signora, fissando quella specie di nuvole evanescenti, allo stesso tempo ferme e solide nel messaggio, sembrava non ascoltarlo.
Seduta sulla poltrona riprese con cura il suo massaggio, evidenziando quasi interamente la bellezza delle sue gambe. Anche questa volta John Edward giurò di aver intravisto una variazione di colore tendente al rosso che identificò con un paio di slip.

Si trattenne ancora per circa quindici minuti alternando le lodi alle etichette al buon gusto dell’arredo dello studio, poi dopo una panoramica della stanza comprese le stampe delle danzatrici di Renoir e il cappellino verde malva adagiato su una poltrona cambiò umore repentinamente. Con un gesto automatico, prese il cappellino e lo indossò.
“Edward che dice? Come mi trova con questo cappello?”
Fece una giravolta e cercò di guardarsi attraverso il riflesso della finestra.
Poi rise, poi tornò seria, poi rise di nuovo.
“Sa, c’è chi il color malva lo trova davvero affascinante?”
Poi alzò leggermente la gonna e senza alcun imbarazzo poggiò il tacco sulla fioriera dorata. Come una perfetta ballerina di cabaret poggiò entrambi le mani sul ginocchio della gamba rialzata. L’atteggiamento degli occhi e delle labbra era decisamente ammiccante. Tolse e rimise più volte il cappello sempre fissando negli occhi il suo unico spettatore.
Edward Lessing la guardava sbigottito. Quasi rabbrividì per tutta quella oscena disinvoltura, ma allo stesso tempo era affascinato da quella sensualità devastante.
“Questo cappellino mi fa più giovane vero? Quanti anni mi darebbe Edward? Una trentina vero?”

Poi senza aspettare risposta rimise il cappello sulla poltrona e pregando Edward di rimanere seduto decise di togliere il disturbo. Guadagnò l’uscita senza tanti convenevoli. Un attimo dopo si bloccò sulla soglia della porta. Un pensiero improvviso la fece sorridere imponendo ad Edward, senza replica di sorta, un ordine secco che consisteva in un invito a cena per la sera stessa.
“Signor Edward, l’aspetto questa sera a Covent Garden . Ho già prenotato un tavolo da Ivy, e non accetto scuse.”
Lui rimase letteralmente sopraffatto da tanta vivacità e da quella informalità così distante dall’etichetta anglosassone. Ripensandoci qualche ora dopo gli venne il dubbio che quell’invito fosse stato deciso all’instante. Nonostante fosse il giorno della sua uscita settimanale decise comunque di andare all’appuntamento con Ana Susan. A malincuore avrebbe rinunciato all’incontro con Mary White Hot, la bellissima spogliarellista di origini afro-cubane, conosciuta qualche mese prima in un dancing della City. Tra loro si era stabilita una certa sintonia che andava oltre il giusto compenso. Generalmente cenavano al Millennium in Gloucester Road e poi trascorrevano il fine serata nell’appartamento di Mary al Virginia Hotel.
Edward scacciò quel pensiero fermamente determinato ad andare a scoprire le carte di Ana Susan. Qualcosa di lei non lo convinceva affatto. Troppo repentino il suo cambio d’umore, troppo estemporaneo il suo invito, per non parlare poi di quell’esuberanza che perfino agli occhi dell’ingenuo Edward appariva falsamente costruita. Comunque “The Ivy” era uno dei più esclusivi ristoranti di Londra, di frequente si potevano incontrare vip da Elton John a Tom Cruise. Immediatamente pensò di riproporre il suo classico vecchio tight grigio antracite e il papillon nero a pois bianchi.
Si affacciò alla finestra per una boccata d’aria, dai vetri intravide Ana Susan sbracciarsi sul bordo della strada per richiamare l’attenzione del suo autista mezzo addormentato.
 

*****


Edward Lessing entrò nel ristorante cinque minuti prima del previsto. Sin dal suo ingresso notò un clima raffinato ed elegante, ma allo stesso tempo per nulla snob. Una hostess bionda con un sorriso smagliante ritirò soprabito e cappello. Notò la tonalità piuttosto vivace del rossetto e la malizia del merletto grigio perla sotto la camicetta beige. Un maitre di colore alto all’incirca un metro e novanta lo accompagnò nel locale bar e lo invitò a degustare un aperitivo a base di Martini e succo di arancia.
Nell’attesa della signora, John Edward sgranocchiò solo una mandorla salata e un rustico mignon con capperi ed alice.

Ana Susan non si fece attendere. Il suo fu un ingresso trionfale. Tutti gli avventori maschi si voltarono nella sua direzione abbassando notevolmente il tono della voce. Quando John Edward la vide pensò al paradiso o qualcosa di simile in una visione comunque sfumata ed onirica. Nonostante la sua età era decisamente in forma, sfoggiava per l’occasione un vestito longuette di seta nero con dei richiami lilla e viola sulle spalle e al giro vita. Aveva raccolto i capelli con uno chignon argentato tempestato di brillantini. Lo spacco laterale del vestito di sapore andaluso lasciava scoperta parte della gamba fasciata da una velatissima calza nera.

Ana Susan era piuttosto su di giri, si scusò per il poco tempo e la modalità di invito abbastanza perentorio. Ma John Edward pensava ad altro, si stava chiedendo se quella calza, messa così in evidenza dallo spacco, fosse un meraviglioso collant o terminasse agganciata ad un altrettanto meraviglioso reggicalze. Visti i suoi gusti in termini di lingerie, ovviamente optava per la seconda ipotesi.
Il maitre interruppe i suoi pensieri piuttosto piccanti e, non perdendo di vista il decolté abbondante della signora, augurò loro un’ottima permanenza nel locale, così dicendo fece strada verso l’unico tavolo ancora vuoto. Ana Susan guardò più volte l’uomo di colore. “Ora capisce Lessing, perché Ivy è il mio ristorante preferito.” Sorrise per la battuta cercando complicità negli occhi di Edward, il quale, intento a consultare la lista dei vini, considerò la frase di dubbio gusto.

Il menù fu molto vario, passarono da un piatto europeo a base di totani e granseole annaffiate da un gradevole aceto balsamico, ad un letto di riso orientale guarnito da un trionfo di verdure e legumi. Il vino squisito scelto da Edward era uno Chardonnay trentino dal carattere allegro e leggermente fruttato.

Durante la cena lui trovò finalmente l’atmosfera giusta per mettere al corrente la signora del suo progetto circa le mini poesie sulle etichette, ribadendo il suo concetto: “In questo modo invoglieremo i clienti a preferire le confezioni più grandi incrementando così il business. Per non parlare poi dei mini racconti a puntate, in quel caso il cliente oltre a preferire le confezioni grandi comprerebbe in una sola volta tutta la serie.”
La signora Gonzales rimase a dir poco perplessa. Vista l’enfasi del suo interlocutore, si sentì in dovere di non obiettare, promettendogli di approfondire l’argomento nelle giuste sedi. Fece qualche domanda a caso ed immancabilmente l’argomento si esaurì con un pleonastico: “E’ un’idea molto, ma molto accattivante, la prego Edward, mi faccia avere dei prototipi e poi con i miei collaboratori valuteremo gli altri aspetti.”

A proposito di collaboratori, Ana Susan lo mise al corrente che l’Amministratore Unico dell’azienda rispondeva al nome di Rafael Gonzalo Raban, praticamente suo marito.
Edward rimase sorpreso, visto lo spirito libero della signora, non aveva mai pensato che quella donna potesse essere legata sentimentalmente e men che meno sposata.
“Rafael dirige insieme a me l’azienda ed insieme abbiamo deciso questa scommessa. Sappiamo bene tutti e due che ottenere quote di mercato in questo paese è un’impresa a dir poco ardua!”
John Edward con un leggero velo di amarezza dedusse che essendo attivo sul progetto, il marito fosse attualmente a Londra.
“Mio caro Edward, nel campo strettamente lavorativo Rafael non mi lascerebbe mai sola!”
Lui notò un filo di sarcasmo misto ad amarezza.
“Questo tavolo era prenotato da giorni, dovevamo festeggiare il nostro ventesimo anniversario, ma come gli accade da un po’ di tempo, purtroppo ha avuto un impegno improrogabile…”
Nell’imbarazzo Edward disse: “Ne sono davvero desolato…!”
Poi riprendendosi aggiunse: “Rinunciare all’ottava meraviglia del mondo mi fa immaginare quanto gravoso possa essere l’impegno di suo marito.”
“Tranquillo signor Lessing, lei ignora la natura degli impegni improrogabili di mio marito…” Non proseguì la fase.

Anche occhi poco esperti a questo punto avrebbero potuto notare la leggera e mal celata soddisfazione di John Edward dietro il suo enigmatico sorriso, ma Ana Susan era di ottimo umore, e nessuno e niente quella sera avrebbe potuto quanto meno scalfirlo.
Passarono a discorsi più frivoli.
“Sa che l’ultima volta che ho cenato qui, proprio seduto in quel tavolo vicino alla finestra c’era David Beckham con sua moglie? Lui è molto affabile, ma lei…” Edward trovava il sorriso di Ana Susan decisamente accattivante, ma l’accenno di prima sulla presenza del marito in città l’aveva letteralmente spiazzato. Del resto non si era fatto alcun film sul dopo cena, per cui si convinse che, comunque fosse andata, non sarebbe rimasto deluso.
“Lei è sposato vero Edward?”
La domanda fu pronunciata a bruciapelo. Edward non capì quel ghigno quasi di sfida e lei non gli diede il tempo di rispondere o quanto meno di indagare.”
“… E ora dov’è?”
“Oggi è la serata delle nostre uscite indipendenti…” Disse, ma Ana con i suoi pensieri era già altrove.

Finito di gradire un ottimo dessert ai frutti di bosco accompagnato da un passito siciliano d’annata si alzò dirigendosi spedito verso la cassa, ma fu bloccato da una voce piuttosto ferma con un tono di velata sufficienza.
“Edward, mio marito non tollererebbe che un nostro… mio invitato pagasse il conto… La prego, è già tutto a posto!”
Alle pacate rimostranze di Mister Lessing, Ana Susan rispose con una semplicità disarmante.
“Allora, visto che lei a tutti gli effetti è un nostro collaboratore, la consideri una cena aziendale offerta niente meno che dalla presidente della società!”
Così dicendo, con la stessa velocità del pomeriggio, con la quale si era accomiatata, si alzò dal tavolo, prese la borsa e invitando John Edward a seguirla si avviò verso il guardaroba.

 

*****


Fuori una pioggerellina rada velò la stola e il graziosissimo cappuccio di pelliccia nera. Mister Lessing si scusò per aver lasciato il suo Fox nero in ufficio. Ana Susan rise su quell’eccesso di convenevoli ormai, secondo lei, dopo quella cena, piuttosto fuori luogo.
“Mio caro Edward, la cena è stata ottima, la conversazione piacevole, per cui credo sia arrivato il momento di lasciare da parte certe formalità.”
Lui mortificato non rispose.
A pochi metri di distanza un gatto nero attraversò il marciapiede.
“Che dice sarà il caso di cambiare strada?”
Così dicendo gli chiese il braccio maledicendo scherzosamente i tacchi alti. Poi risero vedendo un ubriaco in tuba e frac attraversare a fatica e piuttosto barcollante la strada.
Dopo qualche secondo gli confidò che per ragioni di discrezione aveva concesso la serata libera al suo autista. Accompagnò la confidenza con una risata fragorosa e lui ringraziò lo Chardonnay trentino e il passito siciliano, quando l’imprevedibile signora, sempre sopra le righe di una maliziosa euforia, disse:
“Edward lei si starà chiedendo dove la stia portando… Non si preoccupi, ho già cenato per cui non la mangerò, ma, la prego, non sia impaziente di sapere, vedrà non rimarrà per nulla al mondo deluso…”
Lui non fu capace di non notare il tono confidenziale e ammiccante di quella frase.
Arrivati all’altezza della Oxford Street presero al volo un taxi direzione Westminster.
Durante la corsa lei giocò ancora su quell’ambiguità.
“Lo so, lei si sarà già fatto parecchie illusioni, ma mi creda non stiamo dirigendoci in nessun albergo a cinque stelle e neppure a quattro… Escluda anche locali da dopo cena o dancing vari. Odio ballare e soprattutto odio avere troppa gente intorno a me..!”
“Madame, così mi incuriosisce…”
“Ecco bene un pizzico di curiosità mette sale alla serata!”
Così dicendo nell’oscurità del taxi accavallò di nuovo le gambe. Negli occhi di lui si impresse uno spettacolo a dir poco straordinario. Per un attimo apprezzò di gusto quella sensazione di stupore, la stessa di quando a Natale suo padre lo portava al circo.
Qui però non c’erano gli elefanti, i clown o gli acrobati, ma uno sfarfallio avorio, bianco e una punta di nero di fiocchi, merletti e stringhe che accompagnavano lungo la gamba la raffinatezza della calza nera. John Edward giurò di non aver mai visto tanta sensualità concentrata in una sola donna, lodando a più riprese quel fascino mediterraneo così distante dal Regno Unito e soprattutto dalle sue gentili abitanti.

Ana Susan naturalmente dimostrò di conoscere molto bene i modi e i tempi della seduzione per cui in quel breve frangente non disse una parola lasciando alle sue gambe il centro del palcoscenico. Poi da attrice navigata coprì quella ricchezza, fingendo di non essersi accorta in tempo e scusandosi per quell’increscioso inconveniente.
Il fascino di Ana Susan era a dir poco straripante e lui, nonostante si rendesse conto di essere al centro di una commedia da gioco delle parti, ne era letteralmente soggiogato.

A fine corsa riconobbe immediatamente l’ingresso di servizio della Pepinos de Andalucia, pagò il taxi mentre la signora rovistava freneticamente dentro la borsa in cerca della chiave.
“Edward, ora posso svelarle il segreto, proprio oggi mi hanno consegnato in azienda due nuovi modelli di contenitori. Faccia conto, sono simili a mini decanter molto graziosi con chiusura a tappo di sughero. Mi farebbe molto piacere mostrarglieli…”
Edward apprezzò quel pretesto molto più originale di una collezione di farfalle, poi risero, sapendo entrambi che il motivo era da ricercare altrove anche se la forma a decanter fece subito balenare alla mente di lui l’idea di aggiungere almeno due righe alla sua mini poesia preferita:

Oltre la collina
la foglia vestita d'autunno
tra gli aceri rossastri
danza tra i fili di luce
e ondeggiando tremula
si lascia cadere
scarlatta e maliziosa
sopra la zolletta in amore.

 

*****


Mentre salivano i gradini di una angusta scala a chiocciola di servizio Ana Susan fece luce con il suo accendino. “Edward ovviamente non possiamo accendere la luce. Mio marito Rafael potrebbe tornare da un momento all’altro ed il nostro appartamento dista solo due isolati da qui.”
“Quindi si insospettirebbe se vedesse la luce accesa, immagino...”
Più che una deduzione era un modo per indagare, ma Ana Susan sospirò un semplice: “Già.”
Di rimando Edward fece uscire la sua vena ironica: “Non avevo mai pensato che vedere due mini decanter per cetriolini andalusi potesse essere così trasgressivo…”
Accompagnò la frase con un lungo respiro, ma naturalmente la causa non erano le scale e nemmeno la frase poco spiritosa, bensì quello splendore che gradino dopo gradino lo precedeva a pochi centimetri dal suo naso.
“Diciamo che una sua visita a quest’ora, qui, non sarebbe gradita.” Chiosò in fine Ana Susan, tanto per ribadire il concetto della segretezza di quella situazione.

Terminate le scale si voltò di scatto…
“Ti prego non mi prendere per pazza!” Disse come se fosse la coda di un pensiero più lungo senza accorgersi di essere passata al tu senza tanta formalità. E lui passò immediatamente ai dati di fatto. Con l’aiuto di una colonna in stile finto neoclassico, le prese le braccia tenendola ferma, poi la strinse, baciò il suo collo centimetro per centimetro per poi affondare dentro quelle labbra carnose in attesa. Era il primo bacio… Poi ne seguirono altri scanditi da fiati caldi e piccoli morsi in successione, finché lei disse:
“Edward, non siamo qui per questo!”
Lui cercò di trattenerla, lei di farsi trattenere, ma dopo qualche attimo erano già comodamente seduti sul divano bianco di pelle della stanza del Presidente.
“Ci vorrebbe qualcosa di forte ora, purtroppo qui non ho nulla, se vogliamo un drink bisogna almeno fare un piano di scale nella stanza della segretaria.”
Ma Edward era già altrove, la sua mano si fece a dir poco impaziente e non resistette alla tentazione di risalire quelle gambe oltre quel circo di fiocchi e merletti constando con soddisfazione che anche la sua partner era già oltre, nonostante le parole.

E in effetti Ana Susan lo lasciò fare non ponendo più alcuna resistenza, adorava quella mano che come un gatto sornione si era guadagnata un posto in prima fila. Si baciarono ancora ed il gusto del passito esaltò la passionalità di quelle lingue bollenti ostinate a saziarsi in fretta.

Poi lei, come se stesse seguendo un copione, si divincolò nuovamente e ancheggiando da attrice consumata attraversò maestosamente la sala. Poi si appoggiò alla scrivania senza mai distogliere lo sguardo dal suo amante. Lui rimase sul divano a guardarla, lei puntò i tacchi sul pavimento mentre le sue mani percorsero in lungo ed in largo quel paradiso, esplorando e seguendo le forme armoniose del suo corpo. Poi si voltò dandogli le spalle e giocando con le ombre della stanza in controluce si mostrò in un magico vedo e non vedo aiutata dalla stoffa leggera e dallo spacco sensuale del vestito.
Contenta dell’effetto si appoggiò di nuovo alla scrivania e d’incanto i loro sguardi si incrociarono fondendosi e penetrandosi in un vero e proprio atto d’amore.
Spalancò le palpebre e socchiuse la bocca, i suoi gemiti divennero parole calde, le sue movenze un richiamo esplicito. Con un colpo di teatro trattenne un attimo il respiro, lanciò con la mano accenni di baci carichi di rossetto e fece scivolare con una studiata lentezza il vestito lungo il corpo.
Simile ad un’onda di luce le pieghe della stoffa si adagiarono ad una ad una sulla moquette disegnando una soffice nuvola. John Edward estasiato giurò in quel preciso istante di non aver mai visto nulla di simile.

Passò qualche minuto, giusto il tempo per far ricredere Edward circa la sua data di nascita, addirittura in un barlume di ragione lui si ripromise di verificare meglio sui documenti dell’azienda. A quel punto lei lo invitò ad alzarsi, prima con un cenno della mano, poi più apertamente schiudendo leggermente le sue intimità. Lui resistette ancora qualche secondo, poi ebbe uno slancio insolito, deciso ad avere la meglio su quell’anima bollente ora docile, ora ribelle.

Ana Susan era decisamente una donna fuori dall’ordinario e fuori dall’ordinario lo scrittore di etichette si sentì risucchiato nel vortice dei sensi, dove nessuna ragione avrebbe avuto più ragione. Pensò alle sue etichette, nulla in quel momento valeva minimamente la gioia di quelle carni, la voglia di quella passione.
Si avvicinò, la baciò mordendole le labbra, la baciò gustando la freschezza del suo seno, poi le rivolse parole d’amore e sesso, audaci e delicate, insinuanti e trasgressive nel perfetto equilibrio tra passione e desiderio. La sua mano destra lottò per alcuni secondi, poi trionfante ebbe la meglio sugli ostinati bottoni dei suoi pantaloni. Con l’altra s’intrufolò tra lo sfarfallio dei merletti, sete e fiocchi del reggicalze per poi scostare da vincitore la leggera nuvola dello slip di seta. In un attimo affogò in quel mare di femminilità. Gli parve di sentire addirittura nel rimbombo dell’apnea le risate di un clown in lontananza.
Lei chiuse gli occhi e lo accolse come una conchiglia il suo mare.

John Edward Lessing ebbe il tempo di assaporare quel tepore quando lei, in un attimo di lucidità, lo fermò pregandolo di non continuare.
“No Edward, smettiamola, considera tutto ciò un assaggio. Per il pasto completo aspettiamo la prossima volta.”
Lui sbigottito rimase immobile e decisamente maschio. Lei in affanno riprese:
“Tieni sempre conto che una donna non si dà al primo uomo conosciuto così per caso senza una ragione plausibile. Consideralo un regalo, ma visto che sono onesta e diretta ti dico anche che tutto ciò ha il sapore acido della vendetta. La senti vero?”
Lui non capì, ormai completamente stordito dal desiderio, non riusciva a mettere insieme il senso di quelle parole. Rispose come qualsiasi maschio avrebbe fatto in quel frangente:
“Io sento in questo momento una meravigliosa femmina e penso che debba lasciarsi andare, indipendentemente dalla causa.”
“Anch’io ti sento, ma non andare oltre, ti prego! Lascia che mantenga fermi i miei propositi…”
Edward sinceramente con tutta la buona volontà non riusciva a dare un senso a quei propositi. Era lì, sentiva sulla sua pelle affiorare i brividi del piacere. Sarebbe bastato un niente, un leggerissimo ed impercettibile movimento, solo qualche secondo ed un enorme e grasso urlo l’avrebbe liberata da ogni malessere interiore.
Ana Susan invece rimase ferma nei suoi propositi, si divincolò da quella stretta e riprese: “Mio marito mi tradisce, mio caro Edward, questo è tutto!”
“Questo me lo avevi già accennato al ristorante.”
“Sì esatto, ho cercato di fartelo capire, ma non volevo andare oltre... Tu capisci vero cosa significa entrare in una stanza di questo ufficio e trovare tuo marito avvinghiato alle cosce di una donna? Sai cosa significa non dire nulla e spiarli fino al compimento del loro piacere?”
Così dicendo coprì le sue bellezze e si accomodò sulla sua poltrona presidenziale lasciando Edward mezzo nudo e ancora ostentatamente maschio.
“Ora sai la ragione del mio comportamento e come avrai capito, passo le mie giornate accontentandomi di piccole attenzioni da parte di chiunque sia, qualche sguardo, qualche complimento.”
Si accese una sigaretta e poi riprese.
“Con te sono andata oltre, sin da quanto ti ho ricevuto qui la prima volta ho pensato che saresti stato l’uomo ideale per la mia amara vendetta. Per alcuni fatti tu eri davvero l’uomo giusto.”
Edward pensò quali fossero quei fatti.
Lei riprese: “Posso immaginare come ti senta ora. Usato vero?”
“Beh sì, ma spero che a qualcosa sia servito.”
Poi vestendosi riprese:
“Solo una domanda, perdonami, ma oggi quando sei entrata nel mio studio, avevi già intenzione di invitarmi questa sera?”
Ana Susan ci pensò un attimo, poi emise un secco e chiarificatore:
“No.”
Lui rimase a fissarla.
“L’avevo immaginato… Le mie etichette sono state sempre una scusa vero?”
“Beh sai che non ero venuta per quello. Le tue etichette sono meravigliose, ma non ti ho cercato per quelle. Sinceramente non avevo ancora ben chiaro cosa volessi fare, ma qualcosa mi ha fatto cambiare idea. Ed allora lì tra le altre stravaganze ho pensato di fare l’amore con te, lì nel tuo ufficio, oppure proporti di farlo a casa tua, nel tuo letto. Ma non sapevo come avresti potuto reagire, anzi mi avresti preso sicuramente per pazza, per cui ho pensato che una cena e un dopo cena avrebbero finalizzato maggiormente il mio scopo.”
“E la scena del cappello?”
“Ora posso confessartelo, se tu avessi avuto la reazione sperata… non ci sarebbe stato bisogno dell’invito a cena… Con quel cappello sarebbe stata consumata a pieno la mia vendetta.”
“Quando hai colto tuo marito in flagrante, lei portava un cappello simile, vero?”
“Eh già…”
“Mi chiedo perché stasera tu non abbia portato a termine la tua vendetta.”
“E chi ti dice che io non sia soddisfatta. Alle volte si confonde erroneamente l’amor proprio con il piacere fisico.”
Un attimo di silenzio e poi riprese:
“… ho ancora quella scena davanti ai miei occhi. Mio marito e l’altra che si lasciano andare. Lui animato da una passione mai vista e lei bella, giovane e affascinante con un vestitino bianco leggero e un cappello color malva. Edward, ha trent’anni capisci? Cosa credi che gli possa offrire io rispetto a lei? Forse qualche dolore, qualche malanno e poi? Ecco davvero credi che stasera avessi bisogno di godere? Tu mi hai riempito di attenzioni e ti ringrazio. Ma non stavi per penetrare il mio sesso, ma la mia autostima. Tranquillo, per quanto mi riguarda, tutto ciò che è accaduto è stato più che sufficiente!

John Edward non replicò e non chiese ulteriori spiegazioni, anche se la successiva domanda gli rimase strozzata in gola.
“Perché proprio io?”
Già, perché proprio lui? In fin dei conti la bella signora avrebbe avuto altre mille occasioni per i suoi scopi di vendetta nei confronti del marito o per saziare la sua autostima. La risposta rimase sospesa in quella penombra. Ma era fin troppo evidente la situazione e ringraziò il caso per quella scelta, del resto sin dall’inizio della serata non si era illuso e tutto ciò che era avvenuto lo considerava un meraviglioso regalo.
Suo malgrado chiuse questo pensiero con una parentesi prettamente maschile e senza più dire una parola finì di rivestirsi.
“Perché proprio io?”
Dentro sé sapeva che quella domanda era del tutto inutile agli occhi di Ana e per non fare la figura dell’idiota rimase muto.
Cosa avrebbe dovuto sapere di più?

Ana Susan rimase immobile su quella scrivania. Poi con un filo di voce disse:
“Edward se vuole andare, faccia pure. La mia casa è vuota ed io preferisco passare la notte qui.” Ecco ora aveva nuovamente ristabilito le formali distanze e sicuramente ucciso ogni speranza di un pur remoto seguito a quella serata.

Lessing la fissò, sentì lievitare un senso di pena e di amarezza, ma non si sentì minimamente coinvolto. Non gli rimase altro tempo che augurarle la buonanotte, scendere le scale ed accostare delicatamente il portone.

Decise di fare due passi a piedi. Incollò pensieri ed immagini sia del primo che del secondo incontro con Ana. Lei lo aveva contattato su segnalazione di qualcuno. Le etichette erano soltanto un pretesto e fin dall’inizio l’intenzione era stata quella di sedurlo, animata da una profonda vendetta e da un bisogno incontenibile di autostima. Sin qui tutto normale, ma la sua domanda rimaneva ancora senza risposta: “Perché proprio io?” Uno scrittore di etichette.
Non riusciva davvero a dare un senso a questa storia.

Prese un taxi al volo, per distrarsi pensò alla bella Mary White Hot. Guardò l’ora, ancora non era passata la mezzanotte, si chiese se avesse fatto ancora in tempo. Prese il telefono, fece il numero, ma squillò a vuoto. Forse stava dormendo, oppure lavorando, oppure lo stava sognando… Sorrise per quella bizzarra illusione.
Guardò fuori dal finestrino, una leggera pioggerellina bagnava a velo l’asfalto. Cercò di distrarsi pensando alla zolletta in amore della sua poesia, ma chissà perché gli continuava a venire in mente quella scena nel suo studio, quando Ana si era esibita in quella penosa scena con il capellino di Sylvia color malva.
Chiuse il pensiero lì e non andò oltre, quindi senza domandarsi se quel cappello color malva fosse solo dello stesso colore o fosse addirittura lo stesso che Ana Susan aveva visto in testa all'amante di suo marito...

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Il racconto è frutto di fantasia.
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