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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
MARGOT


 



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.Era bella Margot, intelligente e audace, era femmina vera con i colletti di pizzo e cappelli di piume di notte e di giorno, abitava a Pigalle, sul Boulevard de Clichy dove i tigli d’estate si schiudono in fiore e danno un sapore denso e dolciastro che nell’aria si espande ed impregna le stoffe, l’allegria di quei gesti, i modi gentili, l’antica bellezza su quel viso trentenne, perché era bella Margot, nei suoi vestiti attillati, quando alla luce del sole già alto, passeggiava sul viale con le sue amiche di sempre, al Jardin de Tuileries vestita di rosa, con i suoi grandi cappelli, larghi di paglia, col suo pastore scozzese color coloniale, col suo ombrellino alla moda ornato di fiocchi e chiacchierava di niente, di pettegolezzi e di voci, dei primi tailleur con le gonne più strette, degli impegni di sera e gli inviti di notte, in locali di lusso o case patrizie, la scelta dell’abito, l’acconciatura più giusta, le scarpe col tacco, il colore ed il trucco.

Era bella Margot, Margot L’Etoile, perché brillava di luce, propria accecante, quando usciva coperta di perle e camelie, di rose e diamanti, di regali costosi, quando in carrozza attraversava Parigi, con i suoi guanti lucidi e neri, lunghi di raso, quando fumava con i suoi bocchini di paglia, aveva sempre ai piedi stivaletti in vitello, nonché scrittori, poeti ed artisti, uomini di governo, musicisti e pittori, di nobile censo o arricchiti signori, che facevano a gara, facevano a turno, per la bella Margot, cortigiana e regale, per quello splendore che non frequentava le regge, nobili corti o palazzi reali, ma solo salotti borghesi e mondani, d’avanguardie e di moda, di tendenza e cultura, per essere al centro d’ogni attenzione, per essere bella, fascinosa e di classe. Frequentava la crema di quel fine Ottocento, mettendosi in mostra compreso lo scollo, maestra ed artista del vedo e non vedo, d’abbassare lo sguardo e ricevere corte, proprio quando la preda era a portata di mano.

Era bella Margot, per alcuni solo arrivista, o come a quel tempo s’appellava una donna, per altri signora e moglie di notte, perfetta borghese dalla nobile arte, dai modi gentili, alle volte forzati, altre sinceri un po’ sopra le righe, per via delle origini che tradivano i modi, per via della scuola sui marciapiedi di Orly, che le aveva insegnato a sbarcare il lunario, mettendo da parte l’arte di vita, che un giorno o domani sarebbe servita, non credendo che il futuro fosse tanto vicino, quando in un’alba di fine novembre, prese un treno qualunque direzione Parigi ed alla Gare de Lyon si mise seduta ad aspettare il destino o la prossima fuga.

Perché era bella Margot, capelli rossi ed occhi normanni, cambiava spesso accompagnatore ed amante, non certo marito perché mai s’era offerta, ma andava in cerca di quelli di altre, per evitare fastidi, noie ed intralci, perché l’amore quello vero era solo d’impaccio, ai rapporti sociali, al candore del viso, anche se a volte purtroppo accadeva, anche se a volte non era previsto, cadere in amore, scivolare per caso, per via di una buccia, per via di quei tacchi, per via di una notte indolente e funesta, passata nel letto fino al chiarore dell’alba.

Era bella Margot, più nobile delle nobili, più alla moda d’ogni moda del tempo, libera di vestire, libera d’amare, sì esatto cortigiana, l'unica forma di indipendenza concessa, a chi non aveva collocazione sociale, a chi aveva preso un treno qualunque, e ne aveva fatta di strada sgomitando decisa, di mani e di bocca, per arrivare fin dove, in quel mondo borghese chiuso e laccato, primi vagiti di commercio e di industrie, nel fosco fin del secolo andante. Per lei non c’erano altri gradini sociali, quando giù in strada sui marciapiedi di fango, invidiava coetanee con la riga alla calza, che entravano eleganti nelle case serrate e si davano belle profumate e per soldi mentre lei sulle strade senza lampioni raccoglieva gli avanzi delle notti più fredde. Poi conobbe un sarto che le donò un vestito, in cambio di niente perché aveva altri gusti, ma s’aprì il suo destino, s’aprirono porte, cancelli e portali di ville e di chiese.

Lei era Margot, Signora delle camelie, mantenuta di tutti, concubina per ore, nulla più a che spartire con quelle di strada, calze a rete e stivali e cosce all’aperto, incontrate di notte nei crocicchi di nebbia, che vedevano carni sgraziate a buon prezzo. Nulla a che vedere con le modelle lascive che si davano nude nelle fredde mansarde, costrette all’amore con la scusa dell’arte. Nulla a che vedere con le ballerine a tariffa quando dopo il cancan ferme sul palco, invece di rose aspettavano un prezzo, come l’asta del pesce al mercato a buonora.

Lei era la cortigiana che offriva parole, e pizzi e merletti e la gioia di stare, a braccetto nel parco con l’ombrellino da sole e guanti e cappelli e lo smalto alle unghie, ripassato tre volte dall’alba al tramonto. Lei era Margot, Margot L’Etoile, con la maestria innata di deliziare un incontro, lo spirito adatto per presenziare una sera, pennellata di femmina, ritocco di classe, tratto d’artista per palati più fini, per ogni parete di lussuosi locali, per ogni tela di pittori all’aperto, lei era Margot, la bella Margot, l’elegante e l’austera, che con un cenno di mano cambiava una sera, offrendo le grazie del suo seno elegante, già pieno e rigonfio di denaro contante, già sodo e fiorente per quel piacere evidente, quando mani vogliose sotto le gonne disegnavano la forma dei suoi fianchi abbondanti e lei rideva di bocca e di cuore, di fresco rossetto spalmato con cura, e si sentiva bella, regina e importante, oggetto di brama per un velo di calza, unica luna per tutta l’attesa, dentro quella carrozza con quattro cavalli che a notte inoltrata scivolava nel buio, sull’asfalto bagnato di fine Ottocento, lungo i viali di tigli che si schiudono in fiore, verso la casa del fortunato di turno.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo   Heiner Seemann


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