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Adamo Bencivenga
Negli occhi di Silvia
...
.Per caso t’ho detto che ho passato due giorni, a casa
di Silvia nella sua villa sul mare, che sabato sera
siamo state ai Delfini, un ristorante di pesce con
le tovaglie salmone. Proprio la sera che eri a
Perugia, e per la pioggia non sei potuto tornare, ed
io l’ho chiamata per non covare la rabbia, di
sentirmi più sola in un giorno di festa.
Per
caso t’ho detto che mi sentivo a disagio, per non
averti inviato nemmeno un messaggio, come una bimba
che non avverte la mamma, quando nel parco va a
giocare distante, ma il pesce era buono e il
Vermentino frizzante, il cameriere servile che ci
raccontava storielle e gli occhi di Silvia più vispi
di sempre. So che non la sopporti perché è single e
bella, perché una volta per filo e per segno, ti ho
raccontato che s’è portata un ventenne, a casa di
notte e ci ha fatto l’amore, incontrato per caso in
una festa d’amici. Ma è la mia amica e la conosco
dal giorno, quando in fila alla posta mi ha chiesto
una penna, e dopo vent’anni ci chiamiamo ogni volta,
quando una delle due ha un problema e una noia, da
dividere in fretta e sentirci sicure.
Per
caso t’ho detto che eravamo noi sole, su una
terrazza spiovente a due passi dal mare, e per una
volta non ho pensato alla dieta, e dopo la frutta ho
preso anche il dolce, che ora mi pento per questi
due etti, ma ti giuro che è bello lasciarsi
sfiorare, dal sale e dal vento che sbandierava le
gonne, ci gonfiava i capelli della stessa lunghezza.
Per caso ti ho detto che s’è tinta i capelli, d’un
biondo preciso a quello che porto, e sembrava
davvero mia sorella gemella, e pensavo d’avere
ancora trent'anni, quanti all’incirca ne compie ora
Silvia, immaginandomi bella senza rughe di troppo,
di anni e di figli che ti solcano il viso.
Per caso t’ho detto che mi sentivo diversa, per un
attimo lungo mi son guardata le mani, e la fede
davvero stonava di troppo, come Luca e Francesca che
dormivano a casa, come tua madre che m’ha chiamata
tre volte, per dirmi dov’eri e che facevo per cena.
Ho mentito sai per non starle a spiegare, che tu eri
a Perugia sotto il diluvio, ed io con Silvia che mi
gustavo il sapore, d’un dentice fresco annaffiato di
vino. Ogni volta m’alzavo e correvo in bagno, per il
timore che Silvia mi potesse ascoltare, e davanti
allo specchio mi vedevo più bella, ripassavo le
labbra e facevo le smorfie, raccoglievo i capelli
per provare l’effetto, se davvero una donna è una
caccia e un bottino, quando cena da sola o con
l’amica del cuore, perché mai davvero m’era
successo, d’immaginarmi due occhi insolenti e
sfrontati, che s’adagiavano caldi sul mio bottone
slacciato, sulla forma del seno che spariva nel
buio.
Per caso ti ho detto che se fossi
tornato, sarei corsa a casa senza il minimo dubbio,
e avrei lasciato Silvia a cena da sola, a godersi la
vista delle barche e del mare. Ti pensavo sai e mi
sentivo più persa, come un cane da solo che
attraversa la strada, se solo m’avessi chiamata lì a
breve, il cellulare era acceso e a portata di mano,
t’avrei detto che stavo con Silvia, e tu di rimando
m’avresti protetta, con un guinzaglio dorato di
premure apprensive. Invece niente e Silvia rideva,
per un nonnulla e una battuta di troppo, di sue
feste passate ad abbordare il più bello. Invece
niente ed io ridevo, ricordando quei lenti con la
luce soffusa, molto prima che ti conoscessi, e
d’allora ti giuro mai mi era successo, di provare di
nuovo quel brivido intenso, che nasce e si nutre di
Vermentino e di mare.
Per caso t’ho detto che
al momento del conto, due signori eleganti con
giacca e cravatta, si sono posati come farfalle sui
fiori, al tavolo accanto a due passi dal nostro,
troppo vicino per non scambiare parole, troppo
distante per non sentirci da sole. Complice il vento
s’è rimesso a frusciare, come ad un click
impertinente ed allegro, ci scoperchiava le gonne e
ci mostrava le gambe, e ci accarezzava leggero come
un alito caldo, lungo le cosce, la pelle più bianca,
dove non serve inventarsi parole, dove non serve
dire o non dire, ma basta il vapore che tenta e che
sale, e si ferma deciso a due passi da dove, una
donna che è donna non può che sognare.
Negli
occhi di Silvia ho visto la classe, di uno dei due
che ci offriva da bere, era buon vino, ma aveva poca
importanza, di fronte ad una barba grigia e matura,
e l’altro più giovane rimasto in dispare, con due
laghi profondi al posto degli occhi. Negli occhi di
Silvia si sono seduti, il più anziano ci ha detto
garbato il suo nome, ci ha chiesto ridendo se
fossimo gemelle, e quale buon vento e quale destino
avrebbe dovuto rendere grazie, e quanto tempo per
caso era lunga una notte. L’altro più timido parlava
di meno, guardava Silvia e sbirciava i suoi fianchi,
le fissava le spalle nude e scoperte, che uno
scialle per dire non copriva di niente. Siamo
stati mezz’ora a parlare di nulla, o meglio di arte,
sapere e lavoro, di un loro progetto per la
costruzione di un ponte, e poi di case, di arredi ed
interni, e negli occhi di Silvia ho sentito un
invito, era chiaro preciso e non potevo sbagliare,
un giro di walzer sopra i tasti di un piano, che un
destino beffardo cominciava a suonare. Lui rideva e
non aveva premura, aspettava galante e mi faceva la
corte, e mi dava del lei come giusto che fosse, e
diceva signora come se mi donasse una rosa, che a
quell’ora in quel posto sarebbe stata un incanto, un
prodigio ed un gesto per sentirmi importante.
Per caso t’ho detto che c’era la luna, e negli
occhi di Silvia rischiarava il mio viso, e le mie
labbra di nuovo apprezzate dal gusto, d’una voglia
annuita, sottintesa e decisa. Lui attento versava
altro vino e mi guardava come se adorasse un
santino, ma non mi ha fatto promesse, non era quella
la chiave, né come un principe azzurro mi ha detto
ti amo, come se sapesse che non era quella
l’essenza, la strada più adatta per inoltrarsi
deciso, nel passaggio segreto che portava al tesoro.
M’ha detto soltanto che ero bella davvero, che i
miei capelli erano fili di spighe di grano, ed avevo
un viso adatto a quell’ora, adatto ad un sogno da
non lasciarsi scappare, incontrato per caso dopo una
cena di pesce, in un ristorante all’aperto tutto
rosa salmone, contro un vento più maschio che
continuava a soffiare.
Per caso t’ho detto
che quel piano beffardo, ha iniziato a suonare
Champagne di Di Capri, e per caso t’ho detto che non
c’è stato bisogno, che lui rifacesse un’altra volta
l’invito, che vedesse per finta nel mio profilo
aggraziato, una donna famosa, attrice o modella, ed
io rapita mi son lasciata guidare, dalle fitte
parole calde e cortesi, dalle mani decise sopra i
miei fianchi, a tratti carezze leggere del vento, a
tratti una morsa di ferro e di ghiaccio.
Per
caso t’ho detto che negli occhi di Silvia, ho visto
di colpo un bacio sfiorato, ho visto una bocca che
si schiudeva nell’altra, e poi una mano sicura e
nodosa, che arrivava fin dove le era concesso, dalle
parti del cuore che poi erano gambe, stoffa
impalpabile di un velo di pizzo. E danzava la gonna,
ma non era più il vento, e saliva la voglia
d’abbandonarmi all’istinto, d’un uomo sicuro
d’arrivare alla meta, e sentire quei brividi che
sono più di un assenso, dove ogni donna non sente
ragioni, non pensa alla fede, a Luca e Francesca, e
non torna mai indietro se mai lo volesse.
Per
caso t’ho detto che negli occhi di Silvia, vedevo
una donna che mi somigliava perfetta, che abbozzava
due passi con la scusa del ballo, e cantava
Champagne come se lo stesso gustando, e tutto
intorno girava, girava più forte, e perfino ha
tentato d’agitare le ali, per trovarsi laddove non
esiste ragione, nulla ha più senso se non quella dei
sensi. E per caso ti ho detto che se in quel preciso
momento, per amore o per gioco lui avesse voluto
rapirmi, sarebbe bastato un alito e un fiato, per
trascinarmi incosciente lungo il volere, di un lembo
di sabbia dietro una barca, di un filo di luce in un
cono di luna. Se per caso davvero avesse provato ad
alzarmi, guidata nel buio di un’emozione più forte,
m’avrebbe portata dentro una mano, e avrebbe sentito
una donna che pesa, quanto una piuma che danza nel
vento.
Non so se lo abbia fatto, se m’abbia
rapita davvero, baciato il cuore, il collo e i
capelli, oppure il seno che ammiccava insolente,
oppure le cosce come sponde di fiume, non so se ci
siano state davvero le barche, o un cono di luna e
le sue parole più calde, ma ti giuro, ti prego, non
farmi altre domande, perché Silvia m’ha visto e m’ha
strizzato i suoi occhi, due palpebre strette
bluastre d’amore, che si chiudevano amiche in segno
d’assenso, che si serravano in fretta ai baci
dell’altro, ed io da quel momento non ho visto più
niente...
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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