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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Nina, suo figlio e Natale


 


 
 


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.Certo sarà questo viale in dicembre, coperto di foglie che fa galleggiare, la vista che ad onde fa la cresta e la coda e lenta poi smuore all’orizzonte velato, di ricordi sbiaditi di un Natale lontano, di una strada lì in fondo dove curvano i rovi, dove i cani a quest’ora ci fanno l’amore, oltre il cancello in ferro battuto, oltre quel pozzo dove l’acqua ristagna, tra i colori del rosso venati di giallo, tra le onde di luce sfumate d’arancio, d’una nicchia di sole che esile filtra, e timida scalda le foglie marcite, e scolora le case, le imposte accostate, le grondaie e gli scoli arrugginiti dall’acqua, ed a fasci s’espande rasoterra ed a delta, ed a segni riluce la pietra sconnessa, dei coppi rossicci e le tegole d’oro, le traverse di legno a pochi metri da casa, dove passano lenti i merci e i locali, dove scorrono in fretta i tigli insecchiti, ed arrancano i fiati di pioppi in salita, nel riverbero muto di un barbaglio riflesso, che a piccoli coni scolora i pertugi, le crepe che l’acqua regala al sereno, e poi risale sui tronchi di resina e miele, poi scende e risplende i manti di foglie, le tele di lino stese sui fili, i tanti dolori asciugati dal tempo, e prende la forma di profili d’amanti, poi passa e rimane e fa mulinello, e fuori la pioggia vela la malva, che il vento poi asciuga e passa di fretta, e lascia i sapori dei comignoli accesi, tra i contadini nei campi e le signore per bene, che arrossiscono a un niente e per un niente si danno, nei letti puliti che sanno di fresco, tra i filari di uva e le pergole nane, dei rossi francesi già pronti a dicembre, perché è tramontana che gelida spira, come quando bambina Nina giocava, come quando sua madre aveva altro da fare, e si insinua fitta dentro i portoni, e scorre ringhiere e sale le scale, le pareti scrostate e le scritte più oscene, tra le porte socchiuse nei mattini di festa, con la musica alta ed un vociare di bimbi, e i capelli lavati asciugati nell’orto, i capelli schiariti con la chiara dell’uovo, di partite alla radio e il circo in piazza, d’infiorate e ginestre alla festa del santo, d’amori appartati poco fuori al paese, perché è vento che in grembo porta tutti i tramonti, e soffia sui pioppi attirati dall’acqua, sul fiume che increspa la palude di costa, di nuvole basse che si squarciano a pioggia, e pulisce le strade e i luoghi segreti, dove un tempo si andava a fare l’amore, con due tette ormai smunte che non davano latte e calavano molli come pere stracotte, le stesse dove “Nina ci andava a volare”, dove Nina un tempo si faceva asciugare, le lacrime secche da un libeccio vischioso, sotto un cespuglio di mirto fiorito, dentro un recinto d’ombra e frescura, e lei dura e testarda s’ostinava a soffiare, dentro le mani strette in un pugno, quel filo sottile d’erba gramigna, ed usciva tagliente uno stridulo fischio, un triste richiamo per il suo cane Sabino, che di pecore mai aveva visto l’odore, ma era un pastore di razza Maremma, più o meno all’incirca degli stessi suoi anni, perché Nina era nata sotto i tetti di neve, e Sabino a novembre come il vino novello, perché Nina era nata fragile e secca, con una voglia di more che s’arrossava di notte, che per gioco scopriva e si lasciava baciare, all’altezza dei seni rimasti piccoli e acerbi, simili a gemme di un ramo di pesco, di meli e di peri e del mandorlo nano, che ora nel tempo si confondono al resto, alla luce che sfuma di un Aprile lontano, alle chiazze di ombra che s’aggrumano incerte, alle macchie di muffa che colmano l’aria, d’umido odore, di sale rappreso, di terra e di funghi, di fumi e di case, di legna seccata d’acero e pino, che sbocca dai tetti spruzzati di neve, ed a volte ripiega e sbuffa vampate, d’odore di pane, d’orzo e di latte, dentro le case preparate a vigilia, e annerisce i muri come malli di noci, e a fili poi sfuma ed a nubi s’addensa, come un camino quando il vento poi gira, nella casa di Nina che ora è più grande, sgrana fagioli come un antico rosario, e prepara la cena con fritto italiano, perché stasera è vigilia con amici e parenti, perché da tre anni è madre e sposa, ha preso il diploma di taglio e cucito, e fa le trecce alla lana, le frange alla pelle, e cuce le gonne per belle signore, e stringe quell’ago tra le labbra carnose, d’estate all’aperto, d’inverno in veranda, e come un tempo lava i capelli, li asciuga e li spiccia come i pensieri, e come tutte le sere alle sette precise, pensa a Sabino svanito nel nulla, e lei lo vede sul fiume, sulle sponde che sguazza, e sembra che giochi e sembra contento, come dentro una stanza al piano di sopra, suo figlio nel letto si gira e si desta, ha gli occhi lucidi per via della febbre, la fronte che scotta, le guance arrossate, un bicchiere per l’acqua, una luce soffusa, sul suo viso un sorriso lentamente si schiude, e lui sente rumori materni di latte, come fossero culle a forma di seno, e sente le voci distanti dal basso, di suo padre che ride, di sua sorella che gioca, di suo zio che grida dei numeri a caso, poi terno e quaterna, fragori d’auguri, di bicchieri di vetro e carta stagnola, di un Babbo Natale che ora bussa alla porta e consegna regali coperti di neve, perché ora sarà che il bimbo si alza, col suo pigiama a righe, bianco e celeste, il berretto di lana e scalzo cammina, tonfi di passi che scendono piano, ma nessuno lo sente perché la musica è alta, qualcuno che balla, qualcun altro che ascolta, un coro di bimbi, una cometa e una slitta, un cartone in tv che conosce a memoria, quando in punta di piedi apre la porta, della sala da pranzo e si lascia rapire, dalla festa chiassosa, dalle luci e i colori, dagli odori di buono, di famiglia e cucina, di panettoni farciti, di castagne sul fuoco, da bicchieri e stoviglie colorate di rosso, da carta regalo d’oro e d’argento, dall’albero alto fino al soffitto, dalla legna che arde dentro il camino, dai festoni che corrono lungo il soffitto, da Nina che sorride ed allarga le braccia, lo prende in braccio e gli accarezza la fronte, e in un bacio sussurra: “Buon Natale Tesoro.”

 

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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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