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Adamo Bencivenga
Richiesta d’emergenza
Probabilmente quella mattina
uscì da casa molto presto, come al solito lasciò accesa
la luce del soggiorno, pensò all’incertezza, a come
fosse vago l’andare incontro a quel giorno, affidarsi ad
un destino, senza conoscere l’epilogo o quanto meno una
traccia, nel momento che un probabilmente uscì dalla sua
bocca.
Probabilmente notò un alone scuro sulla
manica della giacca, decise che la sera stessa l’avrebbe
portata in tintoria, ora non aveva tempo, si cambiò al
volo ed uscì di corsa, nel giardino distrattamente
salutò la giovane rumena intenta a spazzare le foglie
sul vialetto. Sì forse pensò a quanto fosse bella, a
quanto quel viso tondo le ricordasse una vecchia canzone
e quel seno prosperoso una sua recente conquista.
Probabilmente salì in macchina e controllò il
livello della benzina, la spia della riserva non gli
dava alternative, a mente ripassò la stazione più
vicina, lungo il tratto della consolare poco fuori Roma.
Aveva piovuto tutta la notte, tuoni, lampi e rovesci, ma
ora il cielo terso gli metteva buonumore.
Probabilmente si guardò allo specchio con aria
soddisfatta, fece una faccia da attore navigato
ringraziando la buona sorte per il bel tempo ed altro
ancora, per aver convinto a pieno, sua moglie un giorno
prima, a partire per il mare ed anticipare la vacanza,
evitando d’inventare l’ennesima bugia. Ora lei lo
credeva immerso in ufficio nel lavoro, ora lei distesa
in spiaggia, aveva altro a cui pensare.
Probabilmente accese la radio su una stazione che non
conosceva, ma dava musica leggera quella buona, anni
sessanta, e decise di cantare pur non sapendo le parole,
rischiando per due volte di non centrare l’uscita
giusta, che da una laterale lo immetteva sulla Cassia,
tra file di pini storti che ombreggiavano la strada. Il
paesaggio era tranquillo, poche macchine sulla corsia
sinistra, mai una volta usò i fari per chiedere il
sorpasso.
Probabilmente pensò a lei, la sua
amante, in vacanza in riva al lago, con il marito e con
i figli, le nuore e il cane lupo, sei giorni che non la
sentiva, tranne quel messaggio, “Vieni è un’emergenza,
ti aspetto dove sai.“
Probabilmente sì sentì
agitato per l’incontro e per il resto, una strana smania
dentro, mai avvertita prima, anche se come ogni anno,
l’estate era sempre dura, ma tra un’ora o poco meno
l’avrebbe di nuovo vista, l’avrebbe riabbracciata se
tutto fosse andato liscio.
Probabilmente il
viaggio non fu breve, per via di un incidente,
all’altezza dell’incrocio con la provinciale, una
macchina di traverso ed un camion fuori strada, forse
una svista o uno stop non rispettato, ma non c’erano
feriti, proseguì più lentamente, mandò un messaggio per
avvisarla del ritardo, per sentirsi più tranquillo,
semmai l’avesse letto, anche se attese invano la
conferma di ritorno.
Probabilmente arrivò
mezz’ora dopo, ma rimase fuori dal paese, rimase a bordo
lago come aveva fatto altre volte, perché non era il
caso, perché suo marito conosceva a memoria la sua
targa, il tipo e il colore, ed anche la sua faccia per
un incontro non voluto, circa due mesi prima in un
centro commerciale, quando tra l’imbarazzo si presentò
come un collega, facendo poi scena muta non avendo altre
scuse.
Probabilmente ormai era tardi, le dieci
già passate, aspettò in un punto dove il lago fa la
rada, dove la ghiaia fitta affonda dentro l’acqua, ed un
piccolo chioschetto immerso sotto i pini, vende coregone
e tinche ed alborelle, ed altro pesce di frittura tra le
foglie di limone.
Probabilmente aspettò, forse
una decina di minuti, poi la vide in fondo al viale con
la sua andatura lenta, furtiva e circospetta per un
incontro clandestino, ma bella da morire, rossetto
acceso ed un cappello, ma bella come il sole nonostante
i suoi anni, cinquanta esattamente quel tredici
d‘agosto. Portava una gonna bianca ed una maglia a fiori
stretta, quanto basta perché lui spiccasse da solo il
primo volo, e poi planasse in picchiata sempre dentro
quel suo sogno, sopra quella quarta, sopra quella
voglia, che mai una volta non si fosse poi concessa,
sempre pronta ad ospitarlo come un bimbo nella culla.
Probabilmente si salutarono con un bacio sulle
guance, raccontandosi più o meno quei giorni di
distacco, ma non c’era poi da dire se non “Ti voglio” e
“Mi sei mancata” e guardarsi dentro gli occhi a debita
distanza, davanti a quel chiosco che vendeva coregone,
tra frasche di limoni e ragazzini con la palla.
Probabilmente lei si guardò attorno ed era evidente
l’imbarazzo, finché gli disse di spostarsi almeno
qualche metro, coperti da una siepe e tre pini in fila
indiana, che formavano una tana per baci e tenerezze, e
mani, fiati e labbra e seni in abbondanza, al riparo
d‘altri sguardi, di nuore o di mariti.
Probabilmente lui obbedì per stare più tranquilli con il
lago a due passi e la smania dentro il cuore, al punto
che un bacio si trasformò in altri ancora, poi lei
strinse gli occhi e lui quella quarta.
Probabilmente lei gli confidò che la sera prima, per
dovere coniugale era andata a letto molto presto, ed era
stata una tortura anche fingere l’orgasmo, pensando ai
suoi baci, alle mani e tutto il resto, che ora con
ardore stringeva e poi baciava, che ora da esperta in un
attimo lo accolse, nonostante il chiosco e i ragazzi con
la palla, nonostante quello spazio scomodo ed aspro.
Probabilmente lui non disse niente, perché non era
il momento e perché sotto quella gonna c’era solo pelle
nuda, che fremeva sotto i colpi, alle parole ed ai
dettagli, tipo il nome del marito sussurrato
all’orecchio, tipo ciò che aveva fatto e cosa aveva
detto, e come ora si eccitava a quella voce calda, che
ripeteva esattamente le identiche parole, alle frasi
dette mezze per finirle poi da sola, per accoglierlo lì
dove, suo marito il giorno prima, aveva fatto del suo
meglio, prolungando quell’attesa.
Probabilmente
un invito con gli occhi e con le mani, probabilmente un
bacio intenso che fece tutto il resto, e senza rendersi
più conto sentì un caldo dentro, sentì un fuoco vivo tra
le gambe ed il cervello.
Probabilmente non durò a
lungo, per il tempo e per la voglia, ma furono attimi
d’amore percepiti ad uno ad uno, poi grida soffocate,
sussulti e pelle d’oca, sapori buoni sulle labbra, di
sesso e di sudore. Poi furono silenzi di lago e di
gabbiani, di dita intrecciate: “Peccato devo andare.”
Probabilmente lui guardò il lago e tirò su la
lampo, sorrise alla sua donna, l’amava veramente, lei
prese dalla borsa un paio di mutande, un tocco di
rossetto ed una goccia di profumo. S’era fatto proprio
tardi almeno per il tempo, per fare un po’ di spesa al
mercato sotto casa, per poi passare dalla vicina ed
avere una scusa in caso che qualcuno notasse quel
ritardo.
Probabilmente lei scese dalla macchina e
si rimise il cappello, diede un tono alle sue labbra
dentro lo specchietto, lui le guardò le gambe in ordine
e perfette, e nessuno mai veramente avrebbe insinuato,
che avessero ospitato un uomo in pieno giorno, con il
chiosco e con la palla e che non fossero servite per
andare al mercato.
Probabilmente passò qualche
secondo, gli accarezzò il viso con un velo di tristezza,
poi lo baciò sulla guancia attraverso il finestrino,
dicendogli “Amore, ci rivedremo a Roma” ringraziandolo
più volte per quella visita veloce, per avere
soddisfatto la sua richiesta d’emergenza.
Probabilmente….
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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