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Adamo Bencivenga
& Amanda Neri
SU QUESTA TERRAZZA
È sempre buio da quando non ci sei più. È sempre notte, notte fonda e
fredda, che mi culla col tuo profumo, come galleggiassi nel tuo alone.
Appoggiato alla ringhiera osservo stracci e cenci, di nuvole insanguinate
disperse alla deriva, d’un cielo che minaccia con i fulmini e i tuoni,
d’un vento che accartoccia i panni ad asciugare. Come al solito una
sigaretta, che pende storta dalle labbra, come al solito mi prometto che
smetto di fumare, ora, su questa terrazza, per dare un verso ai miei
pensieri, per dare un senso a questa notte, che altrimenti passerebbe
anonima ed uguale, alle altre tra le antenne, tra le gatte in amore. Mi
ostino a pensarti, e come il fumo non riesco a smettere, anche se giuro e
mi prometto di non pensarti più da tempo, ma tu sai che non è vero, ma io
so che mi prendo in giro. Eppure sarebbe facile, come dire una scemenza,
come dire che mi illudo, che domani faccio a pezzi, carta, stagnola e
tabacco, sbriciolando dentro il pugno questo inutile veleno. Ecco, tu sei
proprio quel veleno, un canto ossessivo che risuona alla memoria, mentre
flebili domani avanzano incerti, cercando di riempire la voragine che
sento, il vuoto pieno e colmo della tua assenza.
Urlo che ti odio, odio questo urlare, ma è solo un ribellarmi, uno sfiato
d’aria e rabbia, uno sbocco di parole, che grido per liberarmi dal tuo
assillo soffocante. Non voglio sapere se esisti, sei stai bene o se stai
male, non voglio sapere se tu vivi e perché ancora non rientri. Da sopra
questa terrazza vedo la tua finestra. Dentro è tutto buio, pesto
appiccicoso, tale e quale a questa notte, squarciata all’orizzonte da rami
lilla e viola. Vorrei urlarti che sto bene, che posso fare senza, ma tu
sai che non è vero, io so che mi sto ingannando. Dio sai quanto sei
importante. Sei l’aria che respiro, sei il vento che ora bacio, le labbra
che ricordo calde ed accoglienti, mentre scorro i tuoi capelli sotto il
mio palmo, e ti vedo in penombra tra le lenzuola gocciolanti, nel letto
che gronda amore, intriso di sudore, in un crescendo di calore che ci lega
e poi ci fonde, nell’anima e nel sesso, in una cosa sola. Ma io so che non
ci sei. Non ci sei più da mesi, anche se nella mia mente ci passeggi e ti
ristori, ti riposi e poi riprendi, per lande, lidi e praterie dove non
sono stato mai. Cerco di ribellarmi, ancora una volta, non accetto che sei
dentro, che sei fuori in ogni volto, che mi costringi a pensarti, come se
le mie giornate non avessero un senso, come se le mie nottate fossero solo
questa terrazza e tutto quello che poi faccio sia merda e sia niente.
Come una regina cammini nella mia notte, bella veramente non lo sei stata
mai, ma rendersene conto non è certo una gioia, e tanto meno un conforto,
men che mai una cura, men che mai un motivo per rientrare dentro casa e
lasciare questa notte in balia del temporale. Così io passo le mie nottate
a cercarti tra le tue finestre, sperando che a breve tu possa rientrare,
foss'anche fino a domani, foss’anche l’alba incerta dopo una notte
interamente passata a sperare. Dio, i tuoi occhi, due pozzanghere fonde e
nere, che da sempre scavano la mia pelle come fango e come melma, fino
all’anima mia tutta, un manto di foglie secche che calpesti in autunno,
anche se ora è solo inverno, di un giorno che non riesco a ricordare, come
se una data giusta avesse ancora importanza e sapere precisamente il
giorno lenirebbe il mio dolore.
Nebbia e luna ed ancora nebbia si fondono fredde nell'abbraccio, di una
notte senza stelle, d’un buio pesto pesto, che mi fa paura, panico e
spavento, anche se mi sto forzando, perché ne sia convinto, che nulla
possa nuocermi, che tu possa farmi male, aspettando a breve l‘alba o
quando il giorno è in pieno sole che scaccerà quei fantasmi che si
diradano alla luce come nebbia sopra il fiume. Cerco la forza nel mio
sangue, cerco il giorno in questa notte, la luce delle tue finestre per
non cedere alla tentazione, di chiamarti e di sentirti, per ricordarmi
quanto calda sia la tua voce, anche se dovrò cercarla nei meandri del tuo
timbro, perché ne ho certezza, perché sarebbe giusto, che se davvero lo
facessi mi manderesti a fare in culo. Lo so che non c’è risposta, perché
io non ho il coraggio di dirti quanto t’amo, di dirti che ti aspetto, e
non c’è fretta, né premura, ora come sempre appoggiato alla ringhiera,
ogni notte a quest’ora fino a quando poi ritorni, accendi la luce nel tuo
bagno e poi nella tua stanza, ed io allora sì che sto bene, ma bene
veramente, come se ti proteggessi e ti sentissi mia. Dio se mi manchi, Dio
che darei, stare un attimo a guardarti mentre ti spogli o guardi fissa
oltre le tue imposte, perché tu lo sai che io ci sono, tu lo sai che muto
guardo, come fossi uno straniero, un angelo leggero che non pesa e che non
parla.
Sono le due e tre quarti, questa è quasi l’ora, tra un attimo ti vedo,
vedo l’ombra che si spoglia, il seno di profilo, i capelli una montagna.
Ecco che ci sei, Dio mi batte il cuore, ora sei di nuovo mia, qualunque
cosa tu abbia fatto, questa notte e le tante altre che vivo in fotocopia,
dove segno l’ora esatta sopra il mio diario. Come un maniaco prendo
appunti, e fantastico se per caso, arrivi troppo presto oppure troppo
tardi, se per caso ti addormenti senza leggere due righe, se per caso
resti in bagno più del necessario. Sia come sia ora t’ho visto ed io sto
bene, cerco di immaginarti tra le ombre della notte, tra le imposte
semichiuse, tra le gocce di questa pioggia che ora cade ed ora bagna, ora
si ferma improvvisamente, perché mai l’avrei previsto, perché dietro le
tue tende le ombre sono doppie, che si fondono in un bacio, che si
distendono sul letto, che si sciolgono e si danno.
Dio no, non è giusto, tu lo sai che ti sto guardando, appoggiato alla
ringhiera t’aspettavo per salutarti, per dirti buonanotte ed a volte anche
un bacio. Dio no, non è giusto, lui ti prende e t’accarezza, almeno così
mi pare, ti rivolta come un cencio, poi ti gira e ti riadatta dove cerca
il tuo piacere. Cerco la tua faccia, cerco gli occhi per capire, perché
tanto so che non lo ami, che è un amico e niente oltre, forse il cinema
stasera o la cena in qualche posto, forse solo per un favore oppure perché
senza ragione, oppure perché vuoi dimenticarmi, che pensarmi ti fa male,
per questo non hai chiuso, le serrande e le finestre, per questo lo stai
baciando, per lanciarmi un messaggio, per dirmi per non dire, che senza di
me non è proprio amore, e forse solo un passatempo, come ora stai godendo,
come ancora ti rivolta, e tira i tuoi capelli, e cerca la tua bocca, e
cerca altro ancora che obbediente gli regali, che remissiva ne fai
incetta, ma sono scatti d’astio e rabbia, sono colpi violenti e crudi,
sono urli e sono baci di gatta in calore, che gode e gode e chiede ancora,
che gode e gode, ma sta pensando, quando la tenevo stretta, quando le
dicevo amore, ed era grazia e bellezza, fiati densi di parole, carezze sui
suoi seni, impalpabili e leggere, come i tanti baci buoni…
Appoggiato alla ringhiera osservo stracci e cenci, di nuvole insanguinate
disperse alla deriva, d’un cielo che minaccia con i fulmini e i tuoni,
d’un vento che accartoccia i panni ad asciugare. Come al solito una
sigaretta, che pende storta dalle labbra, come al solito mi prometto che
smetto di fumare, ora, su questa terrazza, vedo un’ombra che si alza e poi
si veste in fretta come avesse un altro impegno. Tutto in un minuto come
un bisogno al mattino, come uno sfogo, uno sfiato d’aria, una pratica da
sbrigare. Tu rimani nel tuo letto, neanche un bacio per un saluto, neanche
un attimo per parlare, che ne so un arrivederci, un ti amo, buonanotte...
Appoggiato alla ringhiera respiro questa notte e guardo dentro e guardo
fuori, l’alba pallida all’orizzonte. Ora t’ho vista ed io sto bene, ora
dormi nel tuo letto, ora un click e buio fitto ed io posso rientrare.
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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