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Adamo Bencivenga
Tra gli alberi
d’arancio ed i fichi ancora in fiore
Tra gli alberi
d’arancio ed i fichi ancora in fiore, danzano le gonne larghe ed
è seta il mio mestiere, quando escono quei versi e rammendo le
parole, come fossero dei bioccoli di schiume e di cotone, dei
pioppi d’oltremare che spiumano in aprile, e si fanno sensi e
afflati, muse calde dei miei geni, con il filo dei suoi suoni, a
strati, a gusci e grumi, come fossero le mute, di bave e gelso a
foglie, o le trecce delle lune che s’affogano nel mare …
Al mare poi ritorno nel vederle già velare, le gonne che
m’inebriano come il vino a mezzogiorno, fresco, giallo e
frizzantino di un’estate già finita, che mai diventa autunno,
che mai diventa inverno, come le stoffe ancora gialle, che mai
s’intiepidiscono, e traspaiono alla luce le forme già indorate,
e fanno ruote e fanno cerchi e fanno rime, canti e versi, e
curve e suoni d’archi a groppi avviluppati, retoriche e barocche
d’ellissi figurate, come onde di farfalle che zigzagano
nell’aria, e ricamano l’intorno aggraziando il passeggiare.
Perché ogni anno ci ritorno e mi lascio trasportare, da quei
toni ancora vivi che guardo camminare, lungo il lungomare quando
spira un po’ di vento, cristallini a tinte vaghe che riposano
sui fiori, come uccelli migratori sui rami e tetti altrui, che
cantano all’amore tempestati dalla luce, in attesa delle culle,
molli, tenere e materne, come i coni delle lune sui terrazzi
all’imbrunire, come i colli delle dune ingobbite dai miraggi.
Al mare ci ritorno e sono anime di versi, persi nelle stanze di
pensioni in riva al mare, perso tra i gerani quando scrivo il
mio romanzo, e scrivo di capelli ed è seta il mio mestiere,
parole di velluto, di carne e labbra rosse, e scrivo di una
donna conosciuta anni prima, sotto l’ombra degli aranci frondosi
e ancora in fiore, attraverso i tavolini di un locale
all’aperto, attraverso sguardi densi che suggellano le intese.
Perché ogni anno ci ritorno e ritornano i ricordi, di lei in
quell’effluvio alluso di lavoro, pronta come il grano maturo per
la falce, pronta come i fichi dolci e settembrini, in un top
bianco panna ed un ciondolo turchese, che danza tra le sponde e
si lascia coccolare, dai rigogli di merletti che spuntano
vezzosi, in uno sfondo d’acqua e vele e cerchi di gabbiani, ed
un soffio di quel vento carico di sale, innamorato della gonna,
gialla come il sole, accarezza quelle gambe lisce e snelle per
l’amore.
Ed ogni anno poi rivengo e prenoto giorni prima, per essere
sicuro di aver lo stesso posto, per guardare in direzione dove
un raggio smuore lento, e sfiorisce come rose cespugliose lungo
i muri. Ed ogni anno poi rivengo e mi gusto quell’attesa,
cercando nei dettagli la stessa ispirazione, lungo il fiume di
parole che liscio scorre via, tra le anse delle rime e le curve
d’assonanze.
E cerco quella donna, e cerco le sue grazie, per rivivere le
attese, l’espressione del momento, l’odore di quel vento che
addensa le mie vene, ed i lembi della gonna che si lasciano
guidare. Cerco la sua bocca che si schiude in un sorriso, cerco
le sue gambe invitanti come nidi, e quella gonna gialla, leggera
come il fumo, intrigante come un velo per farsi confessare.
Cerco quella donna e cerco quel profumo, odor di muschio bianco
che confondo con la brezza, quando s’alza all’ora tarda e poi
ritorna verso il mare, e nutre la mia vena ed è seta il mio
mestiere.
Perché ogni anno ci ritorno e ritornano i sogni, lungo i quali
poi la seguo e mi lascio trascinare, nell’onirica visione
sfumata come l’alba, nell’alcova di servizio con la vista fronte
mare, nella quale lei m’accoglie nel segreto di persiane,
nell’ora calda dopo il pranzo, tra gerani e le zanzare. Poi il
sogno si interrompe e la nebbia si dirada, per poi scendere le
scale da perfetti sconosciuti, e a malapena incrociamo gli
sguardi appagati, e torniamo in terrazza, sotto la pergola di
fichi, e lei riprende il suo posto seduta in faccia al mare, e
dipinge le sue labbra in attesa d’altri versi…
Seduto in questo posto, mentre fumo il mio Cohiba, mi lascio
trascinare dalla coda dei pensieri, dalle note della gonna, che
danza sullo sfondo, come un velo in controluce, che colora a
tinte dense, di giallo il mio romanzo, d’organza a strati i
versi, nello strascico dei sensi che saziano i miei occhi, per
lasciarsi conquistare, esperta di malizia, dalla cresta di quel
vento che spira sulla gonna, ed avvolge le sue forme come un
velo di passione, risalendo tra le gambe come amante dentro il
letto, che focoso la pretende, che rovente la rivuole.
Vestito bianco panna respiro quella brezza, e mi gusto una menta
ghiacciata con limone, e in disparte la osservo nutrendo il mio
ardore, e scrivo quel ritratto nel giro di mezz’ora, dipingo
quei dettagli tingendo spazi e attese, perche al mare ci ritorno
e rivedo quella scena, e rivedo quell’afflato d’accordi, gesti e
suoni, lo strascico del mare, il velo e i baci buoni, di seta
quei capelli, di seta il mio mestiere. Lei non dice nulla,
conosce il suo ardire, conosce quali pose, i silenzi delle muse,
le manie dei poeti in cerca dell’ispirazione, rimatori da
strapazzo, scrittori senza storie, clienti potenziali oppure
semplici guardoni, che a schiere ed a fiumane riempiono quei
luoghi.
Seduto in questo posto rimango a pensare, e come sempre in
questi casi mi chiedo la ragione, perché chi scrive ha un solo
dubbio che nessuno può chiarire, accettare i suoi inviti, muti
taciti e pressanti, oppure rimanere e guardala di sottecchi, e
quanto valga un contatto, quanto un bacio rosso, quanto un
vortice nel letto, d’amore e di passione, quanto invece a
distanza, vederla veleggiare, apprezzare quelle forme nel gusto
di quell’onda, la danza di una gonna in un plesso infinito, che
sazia la mia brama e colora il mio romanzo, al prezzo di una
donna non colta come un fiore....
.. |
FINE
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo Anna Koudella ©
MODEL SARA ASLAN
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