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Adamo Bencivenga
UN GIORNO SPECIALE
(La Casa di Nilde)
Sarà quest’inverno che
piove da sempre, tra i sentieri di fratte di funghi e lumache, ed un sole
spaurito che filtra tra i rami, e il ragazzo è attento a non sporcarsi le
scarpe, per via di sua madre che lo avrebbe sgridato, perché sono bianche
lucidate a bianchetto, la domenica presto sul davanzale di fuori. Sarà
questa pioggia che stinge quei muri, e lui batte con forza la mano
contento, e grida convinto tana libera tutti, credendo che basti un cielo
e una mano, per toccare con un dito l’azzurro più intenso. Crede che il
mondo non sia altro che un sogno, che finisce al mattino tra il
dormiveglia nel letto, di ferro battuto dipinto marrone, e le coperte di
lana e la stufa di cotto. Crede che il mondo sia tutto lì dentro, tra i
rumori in cucina e l’odore di latte, nella stanza che dà a valle
sull’orto, con i rami del noce che entrano dentro, che basterebbe davvero
allungare una mano, per raccogliere i malli verdi d’ottobre.
Sarà
che ricorda di quella casa ogni punto, i disegni gli stipiti la carta sul
muro, che ogni tanto per gioco ne stacca un pezzetto, e poi l’odore di
muffa e di erba murana, che sale dai vicoli ammattonati e consunti, i suoi
pianciti corrosi smembrati e sconnessi, rinnovano il senso della vita
giocosa, di quanto effimero sia lo scorrere in fretta, delle stagioni e
del tempo, da quei giorni per sempre. Sarà che la notte la vede più nera,
quando al tramonto s’attarda nel buio, e gioca a nascondersi tra la siepe
più fitta, e sua madre da casa lo chiama a gran voce. Come vorrebbe
risentire quel freddo, quando zuppo lui corre per ritornare nel grembo, ed
essere sgridato per via dei malanni, che puntualmente poi prende con
trentotto di febbre.
Sarà quell’inverno ed altri passati a giocare
giù in strada e diventare più grande, finché quel bambino è diventato un
ometto, ed oggi per lui è un giorno speciale, di quelli che dicono si
ricordano sempre, un ragazzo che torna contento da scuola, un padre che
aspetta e legge il giornale, ed una madre seduta con una pentola in
braccio, che pulisce cicoria ed erba di campo. Fuori fa freddo, d’inverno
inoltrato, la pioggia che picchia sulle tegole rotte, un attimo smette e
ricomincia di nuovo, un secchio di plastica in mezzo alla stanza, in una
casa qualunque di una borgata di Roma.
Il ragazzo cammina avrà 13
anni, sottobraccio dei libri di media inferiore, stretti legati da un
elastico verde, scarabocchiato d’inchiostro Forza Lazio ed un cuore, con
le iniziali dei nomi che l’acqua scolora, nonostante l’ombrello la pioggia
le lava, come tutto pulisce, come tutto finisce, come tutto è precario
nelle borgate di Roma. Pulisce gli odori di immondizie all’aperto, lo
sterco di cani vagabondi e randagi, che si muovono a branchi per sentirsi
più forti, ed una cagna li segue a fatica distante, sempre pronta ed
incinta per non sentirsi mai sola. Tutt’intorno miseria, baracche e tuguri
con le pareti a bandoni di lamiera e cartone, tutt’intorno del fango,
canali per l’acqua, un cartello sbiadito che ti invita in oriente, un
gatto seduto su una sedia spagliata, in mezzo alla strada di una borgata
di Roma.
Dentro le case odori di muffa, nemmeno una lampada,
nemmeno una stufa, ci vivono in tanti e si scaldano stretti, in un’unica
stanza dove si mangia e si dorme, si fanno dei figli e qualche volta
l’amore. Sono gli anni sessanta di Roma che avanza, di calabresi e lucani,
contadini emigranti, di Adelmo che vende le alici e le triglie, ha un
cassetta di legno sopra la ruota, e grida alle donne di assaggiare il suo
pesce, che è fresco e bello ed oggi a buon prezzo.
Il ragazzo è
contento perché la sua casa, ha i muri in mattoni ed un piccolo bagno, un
filo di acqua comunque corrente, suo padre è in pensione per via della
gamba, sua madre che a ore porta a casa miserie, e lui unico figlio se si
escludono gli altri, i fratelli più grandi morti d’aborto. Da queste parti
non servono libri, ma abili mani per imparare il mestiere, impastare la
calce e tirare su un muro, e tirare su case come quei palazzoni, che si
vedono in fondo e fanno paura.
Ma lui testardo ha voluto studiare,
e i suoi sogni resistono caparbi e più netti, più fermi di un pilastro in
cemento portante, perché la scuola serve a leggere e scrivere, per fare
domani il bidello o il custode, perché lui è un ragazzo e tutt’intorno
miserie dentro un giorno che nasce ed un altro che muore, dentro un giorno
qualunque in una borgata di Roma.
Ma oggi è un giorno speciale ed
il padre l’aspetta, alle sei in punto cambierà la sua vita, da ragazzo ad
ometto per quello che vale, per dire ai compagni che ora è più grande.
Stringe tra le labbra una sigaretta con filtro, suo padre da tempo gli ha
dato il permesso, qualche pelo di barba rada e rossiccia, una voce più
roca, i pantaloni più lunghi e oggi lui pensa che sia l’ultimo atto, in
una casa vicina di una borgata di Roma.
La casa di Nilde rimane un
po’ fuori ed il lampione davanti è spento da sempre, sulla porta un
pennacchio viola ed azzurro, come dire che ora è possibile entrare. Il
giardino fiorito di belle di notte, ha le finestre socchiuse coi
mattoncini celesti, un cartello che dice “Attenti a Samantha” che poi è
una cagna la stessa di prima, innamorata perenne del cane da caccia, senza
coda e né razza ma è il capo del branco, che ogni giorno alla cinque passa
e si struscia, al recinto di rete, al tronco di pino, poi si ferma ed
abbaia a Samantha che arriva, col fiatone di corsa smorfiosa e contenta.
Il ragazzo è nervoso e si ferma da Bianca dove compra i pescetti, i
lacci e le more, ma ride pensando a quand’era più bimbo e pensava che
Nilde fosse una strega, per via di quel trucco sempre abbondante, per via
della casa senza bambini, le finestre socchiuse e le stanze in penombra, i
capelli carbone che toccavano il seno. Sua madre racconta che durante
la guerra, le hanno tagliato tutti i capelli, ricorda il suo pianto e la
testa rasata, il cappello di lana che copriva che niente, perché Nilde è
bella ed è stata con tutti, i tedeschi cattivi e gli inglesi alleati,
perché Nilde è grassa e ci ha creduto davvero alle tante promesse finite
nel letto.
Dentro la casa con l’acqua corrente, il ragazzo ora è
pronto vestito da festa, sua madre lo guarda ed ha gli occhi di pianto,
“E’ proprio un ometto”, pensa in silenzio, mentre gli aggiusta i capelli e
il colletto, e suo padre agitato cammina nervoso e gli dice e ripete che è
ora di andare. La strada è breve fino da Nilde, ma sembrano distanze di
fango infinite, la pioggia che batte quanto il suo cuore, per la sua prima
volta, per il suo primo sole. Perché Nilde è un sole quando la sogna, o
quando la pensa nei giorni di pioggia, come oggi che è un giorno davvero
speciale, e nessuno dei suoi amici per quanto ne sappia, ha varcato la
soglia di quella casa celeste.
Suo padre in ingresso si toglie il
cappello, si pulisce le mani sopra la giacca, il ragazzo che nota la sua
cortesia e Nilde gentile gli accarezza i capelli, gli chiede discreta se
ha già fatto l’amore, suo padre sorride e risponde più in fretta che
quella davvero è la sua prima volta, che quello davvero è un giorno
speciale, e con fare discreto lo spinge da dietro, e lo affida alle grazie
come fosse un tesoro a Nilde che ora lo prende per mano e sottovoce gli
dice che è ora di andare.
Nella stanza in penombra c’è il velluto
sui muri e una lampada fioca velata di viola, tutt’intorno un profumo di
fiori d’arancio e un catino in ceramica per lavarsi le mani. Nilde si
spoglia e il ragazzo la guarda, si toglie le calze, le giarrettiere e la
gonna, il ragazzo è stupito non ha mai visto una donna, con quel seno
davanti opulenta e matrona, con quello spicchio di nero dove nulla ci
pende. Nilde s’adagia sul letto ed aspetta, forma una conca di materasso e
lenzuola, sottovoce lo chiama, lo invita fin dove, odora più forte di
succo di miele, ed il ragazzo seduto avvicina la mano.
Suo padre di
fuori è in trepida attesa, s’accanisce nervoso su un mezzo toscano, dà
boccate di fumo e il ricordo riaffiora, tornando nel tempo a quarant’anni
passati, dentro una casa nella Suburra di Roma, con un via vai sulle scale
di donne e soldati, che gridavano doppia o singola sola, che gridavano
amore come se davvero lo fosse. Ed ora lui è lì ad aspettare suo figlio,
chissà se già uomo o manca un nonnulla, sulla soglia che suda, sulla donna
che annaspa, ed accosta l’orecchio ma non sente lamenti, quelli di lei
aperta al mestiere, quelli di lui che cerca e che vuole, onorare al meglio
il cognome che porta.
Perché dentro la stanza c’è Nilde che
ascolta, un patto di sangue che giura e promette che mai uscirà da quella
stanza d’alcova, che mai uscirà da quel seno gigante, perché il ragazzo
prova e riprova, ed ogni volta sudato si ferma alla soglia e non riesce ad
andare più oltre, dentro quel buio nero e più fitto, dove nascono bimbi ma
non spuntano fiori. Poi con fare da grande, si rimette seduto, sul letto
di Nilde a forma di conca, scuote la testa ed è deluso davvero, e ora
domanda quanto tempo ci voglia, perché suo padre non abbia il sospetto,
che suo figlio non abbia consumato quel letto. Ma Nilde è davvero una
donna speciale, una donna del popolo, di saggezza e mestiere, e gli
sussurra e risponde che c’è tempo davvero, per essere uomo, per essere
maschio, perché l'amore è davvero altra cosa, e non serve quel buco per
diventare più grandi, non serve una vecchia per farsene vanto.
Il
ragazzo è stordito, si commuove e l'abbraccia, contento poi si alza e sta
per andare, si volta e la guarda, lei è nuda sul letto, e questa volta la
bacia con ardore e passione, e sente qualcosa che lievita dentro, come
fosse amore che lui non conosce, come fosse attrazione indipendente dal
sesso, comunque succede e nelle pieghe del letto, lui dice che l’ama anche
se non era previsto, come se Nilde non facesse il mestiere e lui non fosse
lì per il suo giorno speciale. Ora sono in penombra e lei si riveste e il
ragazzo in piedi apre la porta, e dice a suo padre che è andata alla
grande, e il vecchio lo abbraccia e lo vede più adulto, orgoglioso e più
fiero di avere quel figlio.
Perché oggi è davvero un giorno
speciale, di quelli che dicono si ricordano sempre, un ragazzo sul letto
che guarda il soffitto, un padre che dorme sereno in cucina, una madre che
pensa e guarda suo figlio, fuori fa un freddo d’inverno inoltrato, la
pioggia che picchia sulle tegole rotte, un attimo smette e poi ricomincia,
un secchio di plastica in mezzo alla stanza, in una casa qualunque di una
borgata di Roma.
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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