Madame è lei la modella ritratta da Caravaggio nel
“Ritratto di Cortigiana”?
Si sono io
Il suo nome?
Fillide Melandroni
Come
conobbe Caravaggio?
Per strada, io ero intenta ad
adescare clienti, lui si invaghì di me. Comunque ci frequentammo
ancora perchè ero amica di Anna Bianchini, al tempo compagna e
modella del pittore. Con lui aveva già posato per La Maddalena
Penitente e qualcos’altro…
Le sue origini?
I miei genitori erano Enea e Cinzia d’Antonio, mia madre si
trasferì a Roma in cerca di fortuna. Qui conobbi Anna Bianchini.
Eravamo tutte e due di Siena e diventammo amiche.
Anche lei compagna di letto e cortigiana?
Caravaggio quando si trovava senza un becco di un quattrino
frequentava donne di strada. Quando mi notò per strada mi seguì
fin dentro un bordello presso Campo Marzio, l’ambiente purtroppo
era sporco e privo di igiene. Oltre a me ed Annuccia lui
frequentava Maddalena Antonietti, detta Lena, e Domenica Calvi,
detta Menicuccia.
Com’era Caravaggio?
Un tipo piuttosto malaticcio. In giro si diceva che avesse la
malaria ma in realtà aveva una infezione provocata dalla
sifilide cronica, molto diffusa a Roma nel periodo.
Quindi fu una di voi ad attaccargli la malattia?
Guardi che Caravaggio non era un abitudinario durante la stessa
notte era capace di passare da un bordello ad un’osteria oppure
incontrare per strada le sue amanti vicino ai campi di
pallacorda.
Un tipo molto particolare…
Michelangelo era un artista in tutti i sensi. Preferiva bordelli
e osterie maleodoranti ai salotti cardinalizi. E noi signorine
notturne eravamo disposte a tutto pur di portare a casa qualche
quattrino.
Com’era il passaggio da amante a
modella?
Il suo studio era sempre aperto. Per me
non faceva differenza spogliarmi per fare la modella o altro.
L’arte era negli occhi di Michelangelo certamente non nei miei.
Era lui che intravedeva nelle mie fattezze una Santa o
addirittura la Vergine Maria.
Parliamo di lei
madame?
Mi trasferii a Roma verso la fine del 1593
con mia madre e mio fratello Silvio per ricongiungermi ai
familiari paterni già a Roma: la zia Piera e il figlio di primo
letto di mio padre, Nicola.
Come l’accolse Roma?
Roma al tempo era una città aperta ai pellegrini, ma allo stesso
tempo chiusa per chi desiderava viverci. Purtroppo mia madre
venne a mancare poco dopo il nostro trasferimento ed io dovetti
lottare contro l’emarginazione frequentando insieme ad Annuccia
locali malfamati concedendomi a sarti, macellai, osti, qualche
prete e alle volte appunto artisti.
Compare in
molti rapporti di polizia…
Il mio nome come «Donna
Filidia d’Enea Senese» compare per la prima volta in un
documento della polizia nel 1594. Nella notte del 23 aprile in
compagnia di Anna Bianchini e di due uomini, incappai in una
ronda di sbirri dietro al monastero delle monache di clausura di
San Silvestro.
E quindi cosa facevate di male?
Assolutamente nulla, si stava là scherzando e ridendo ma
purtroppo io ed Annuccia conosciute come prostitute eravamo
fuori dai luoghi consentiti al “meretricio”. Gli sbirri ci
presero e ci condussero nelle prigioni di Tor di Nona.
Era felice della sua vita?
Oh no, in tutti i
modi e devo dire faticosamente cercavo di mantenere una mia
autonomia e nel contempo migliorare le mie condizioni di vita.
Ma in quelle condizioni non era per niente facile. Nel 1596 mi
allontanai dal quartiere malfamato e andai a vivere in via
Serena (più o meno l’odierna Via Belsiana ndr.)
Cosa fece per migliorare la sua vita?
Non mi sentivo
una prostituta di strada, la mia anima era più di cortigiana per
cui chiesi protezione ai fratelli Tomassoni, i quali, grazie
alle loro conoscenze altolocate in Vaticano, esercitavano il
controllo sul giro di cortigiane della zona per gentiluomini e
gente di Curia.
I Fratelli Tomassoni mantennero
le promesse?
Beh nulla era gratis, comunque sì, le
mie condizioni di vita migliorarono sensibilmente. Smisi di
frequentare gente modesta e malavitosi di Campo Marzio, mi
trasferii con mio fratello Nicola in San Lorenzo in Lucina e mi
permisi una serva.
Si fidanzò vero?
Più o meno… Diciamo che intrattenni una relazione intima con
Ranuccio, uno dei fratelli Tomassoni, il quale però dedicandosi
a tempo pieno all’attività di protezione delle signorine della
zona cadeva in tentazione con altre colleghe.
Lei ne era gelosa?
Ero un tipo molto caldo e quando
sorpresi il mio uomo in compagnia di un’altra donna, una certa
Prudenza Zacchia, la aggredii tentando di sfregiarle il viso,
purtroppo la colpii ad una mano. Le minacciai comunque che se
fossi accaduto di nuovo non mi sarei limitata alla mano. Nessuna
doveva avere rapporti sessuali con il mio uomo!
Comunque con Ranuccio il suo tenore di vita aumentò
notevolmente.
Acquistai visibilità, ormai ero
ufficialmente la donna di Ranuccio. Ma come succede spesso
attirai anche l’attenzione della polizia.
Cosa
successe?
Nella mia casa tenevo spesso feste
danzanti e la notte dell'11 febbraio 1599, martedì grasso, i
vicini si lamentarono del chiasso proveniente dalla mia casa.
Arrivarono gli sbirri e purtroppo vi erano giovani armati e
poiché le armi in casa di una prostituta erano vietate, io e
Ranuccio venimmo fermati.
Si parla di un
rapporto conflittuale tra Tomassoni e Caravaggio prima del
fattaccio…
Ranuccio non vedeva di buon grado la mia
attività di modella e temeva che con Caravaggio ci fosse
qualcosa di più di un rapporto sessuale. E poi aveva il timore
che Caravaggio volesse subentrargli come protettore e lucrare
sulla mia attività.
Era vero?
Ripeto
fui musa del grande pittore ed anche amante, ma tra noi non si
istaurò mai un rapporto sentimentale.
Dicono
fosse molto bella.
Caravaggio si invaghì della mia
bellezza e soprattutto del fatto che la offrivo a poco prezzo.
Nacque una simpatia tra noi. Durante un incontro d’amore mi
propose di posare per lui. Diceva che adorava le mie chiome
scure e lo sguardo profondo, i lineamenti marcati e la bellezza
sfrontata.
Come la ritrasse?
Stretta
in un bel corpetto ricamato, ornata con fiori sul seno e un
ramoscello d’olivo.
Ma il vero scandalo è quando
la ritrasse nel 1604 nella magnifica tela: “La Morte della
Vergine”
Il dipinto era stato commissionato per la
cappella in Santa Maria della Scala, ma poi fu rifiutato dai
frati perché Caravaggio mi aveva ritratto troppo somigliante. I
frati mi riconobbero e dissero: “Michelangelo Merisi con poco
decoro ha ritratto in persona di Nostra Donna una meretrice
sozza degli ortacci!” Da quel giorno venni schedata come:
«Filida Corteggiana scandalosa».
Riuscì a
migliorare la sua vita?
Mi avvicinai alla comunità
della parrocchia di San Maria del Popolo curando opere di
carità. Tramite questa attività raggiunsi uno status di
onorabilità. Riuscii anche ad avere tutta per me una casa in via
«Paulina verso Margutta», un bambino adottato, un servitore e
una giovane cortigiana, Geronima Ortensia.
Erano
lontani i tempi in cui adescava clienti per strada…
Oh sì, addirittura ebbi una relazione con il nobiluomo e
scrittore Giulio Strozzi. Di due anni più giovane di me. Strozzi
era il figlio illegittimo di un banchiere veneziano e uno dei
personaggi di spicco della cultura accademica italiana del primo
Seicento.
Strana questa unione tra un accademico
e una ex prostituta…
Ci eravamo conosciuti nel 1603
tramite appunto Michelangelo. Strozzi stesso commissionò a
Caravaggio un mio ritratto dandomi l’occasione di posare di
nuovo per il famoso pittore e soprattutto darmi una nuova
immagine di cortigiana onesta.
Quanto durò la
relazione?
Addirittura nove lunghi anni, felici e
tranquilli. Strozzi mi permise di consolidare le mie condizioni
economiche e di trasferirmi nella nuova casa di Via Frattina,
dove vissi con la mia serva cortigiana Ortensia Cassia e una mia
nipote, figlia di mio fratello.
… ma non vi
sposaste…
Non per nostra volontà! Furono i parenti
di Strozzi i quali, per scongiurare il matrimonio, chiesero
addirittura l’intervento di Paolo V. Il papa non solo proibì il
matrimonio ma scrisse: “Tal Fillide famosa cortegiana et mandata
fuori di Roma con ordine che non vi debba più tornare.” Dopo la
sentenza il mio amato si trasferì a Venezia ed io da parenti a
Siena.
L'esilio durò poco...
Sì
infatti, tornai a Roma due anni dopo, ma ormai avevo trentasei
anni...
Felide morì infatti nella città eterna il 3
luglio 1618 all’età di 36 anni e fu seppellita, secondo le sue
volontà, nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina. Fillide venne
però tumulata fuori del sagrato della chiesa perché, priva di
confessione e comunione, non poteva trovare sepoltura
all'interno dell'edificio sacro.
Nel testamento Fillide
dichiara di avere in casa sua un ritratto di mano di Caravaggio
il “Ritratto della cortigiana Fillide” che appartiene a Giulio
Strozzi al quale deve essere restituito. Non sappiamo se fu lo
stesso Strozzi a farne commercio, ma alcuni anni dopo ritroviamo
la stessa opera nell'inventario di quadri del Marchese
Giustiniani esattamente nel 1638, custodito nel suo palazzo a
San Luigi dei Francesi. Venne poi acquistato dal museo di
Berlino e purtroppo finì bruciato nel rogo nella torre antiaerea
che fungeva da deposito, nel maggio del 1945, quando Berlino era
già capitolata.