Madame, le sue origini?
Sono nata in Pennsylvania da genitori di origine
italiana. Mio padre, Erberio Palmieri, emigrato
giovanissimo negli Stati Uniti, aveva trasformato il
suo nome in quello di Herbert ed il cognome in
Palmer.
Cosa faceva suo padre?
So che faceva l’avvocato, ma io l’ho conosciuto poco
perché se ne andò di casa quando avevo tre anni e
morì poco dopo per un attacco cardiaco e mia madre
per mantenermi iniziò a lavorare prima come
cameriera e poi come maestra di scuola.
Una infanzia e una adolescenza difficili…
Mia madre si risposò e ci trasferimmo a Dallas nel
Texas. Ero abbastanza brava a scuola, imparai a
suonare il violino e mi esibivo sui marciapiedi per
i passanti. Ma il mio desiderio era quello di
diventare attrice.
A 16 anni era già madre di una bambina…
Fu frutto di una violenza durante una festa in casa
di amici. Un ragazzo senza scrupoli prima mi fece
ubriacare di whisky e poi passò alle vie di fatto.
Jayne Mansfield è un nome d’arte vero?
Il mio nome è Vera Jayne Palmer, Mansfield era il
nome del mio primo marito. Paul mi sposò quando ero
ancora incinta. Lui era uno studente universitario
disposto a fare da padre alla bambina. Un ragazzo
dal cuore d’oro e un padre meraviglioso pieno di
affetto e di attenzioni per la piccola Jayne-Marie,
ma assolutamente squattrinato. E fu una vita di
stenti, di grandi sacrifici: dovetti adattarmi a
fare la cigarette-girl in un cinematografo, lui la
maschera nello stesso locale.
Poi cosa successe?
A Dallas incontrai Baruch Lumet, padre del regista
Sidney Lumet, che decise di aiutarmi e mi prese
sotto la sua protezione. Frequentai le sue lezioni
di recitazione al Dallas Institute of the Performing
Arts, da lui fondata. Il 22 ottobre 1953 feci la mia
prima apparizione su un palcoscenico in una
produzione di “Morte di un commesso viaggiatore” di
Arthur Miller.
Le biografie parlano di numerosi premi vinti in
diversi concorsi di bellezza…
Beh sì era molto bella, ma le mie aspirazioni erano
altre. Parlavo cinque lingue ed oltre al violino
suonavo il pianoforte. Per me non fu facile scoprire
che non erano le mie capacità artistiche ad
interessare il pubblico bensì la mia procace e
provocante bellezza.
Se ne fece una ragione?
Direi proprio di sì…
E il matrimonio come andava?
Paul credeva che la nascita di mia figlia avesse
scoraggiato il mio desiderio di intraprendere la
carriera cinematografica. Ma non era così. Nel 1954
accettò di trasferirsi con me a Los Angeles e mentre
lui si arrangiava facendo vari lavori, io ripresi
gli studi di teatro all'Università della California.
Quando avvenne la svolta?
Non ci fu una svolta vera e propria. Lentamente mi
feci conoscere e già nel ’54 feci qualche particina
al cinema e l’anno dopo salii sul palcoscenico di
Broadway nella commedia di George Axelrod Will
Success Spoil Rock Hunter?
Ma il successo venne per un servizio sulla rivista
Playboy…
Fui scelta come playmate del mese ed apparvi
completamente nuda. Mesi dopo mi cimentai in una
spiritosa imitazione della diva Marilyn Monroe,
allora ventinovenne e già all’apice della gloria,
ricca e famosa. Da quel giorno ebbi un chiodo fisso:
ricalcare le orme della grande Marilyn.
E il cinema?
A Hollywood ebbi il mio primo ruolo importante nella
commedia musicale The Girl Can't Help It di Frank
Tashlin e il 3 maggio 1956 firmai il mio primo
contratto con la 20th Century Fox.
Poi altri successi vero?
Tentavo di scollarmi di dosso l’immagine di oca
bionda cercando di affermarmi come attrice
drammatica e quindi accettai film come The Wayward
Bus un adattamento del romanzo di John Steinbeck e
Kiss Them for Me assieme a Cary Grant. Era un
momento importante per me, ricevetti molte proposte
importanti tra le quali il ruolo di protagonista in
Una strega in paradiso con James Stewart, ma dovetti
rinunciarvi perché ero incinta.
Hollywood si dimenticò di lei…
Feci delle scelte sbagliate e ripiegai su film a
basso costo, in cui, a dire il vero, più che il mio
talento come attrice veniva messo in mostra il mio
fisico.
A 23 anni nel 1955 divorziò da Paul Mansfield…
Era gelosissimo e forse stanco di quella relazione.
Diceva che erano troppi gli uomini che mi ronzavano
intorno e mi accusava di essere disposta a tutto per
la carriera e di non fare nulla per nascondere
quelle presunte relazioni. Lui diventerà un
ingegnere affermato e comunque rimanemmo buoni amici
tanto che mi concesse di mantenere in arte il
cognome acquisito col matrimonio.
Lei non perse tempo e si sposò di nuovo…
Sono sempre stata una donna stravagante… Nel 1959 mi
sposai per la seconda volta con Mickey Hargitay, un
culturista di origini ungheresi, ex Mister Universo,
famoso in America come “Mister Muscolo”.
Era stato uno dei “boy” di Mae West, prima
regina del sesso hollywoodiana al tempo del cinema
muto.
Ci parli del “Palazzo Rosa”…
In occasione del matrimonio acquistai una villa da
quaranta stanze sul Sunset Boulevard a Beverly
Hills, battezzandola Pink Palace: il colore
dominante era il rosa, con piccoli Cupido circondati
da luci rosa fluorescenti, tappetini rosa nei bagni,
una vasca da bagno a forma di cuore e una fontana
che sprizzava champagne rosato. Mickey, che prima di
divenire culturista era stato idraulico e muratore,
costruì personalmente la piscina a forma di cuore
naturalmente rosa.
Quindi il rosa era il suo colore preferito,
immagino…
Assolutamente no! Sono stata identificata con il
rosa per tutta la mia carriera, ma non ci andavo
pazza! Ho solo portato la gente a crederci. I miei
colori preferiti erano in realtà il bianco e il
nero, ma in fondo chi pensa a una ‘movie queen’ in
bianco e nero? Tutto dev’essere in colori vividi.
Come andò il matrimonio con Mister Muscolo?
Avevo 26 anni, la stessa età di Mickey. Cinque anni
di vita coniugale e tre figli. All’inizio una
passione fortissima, ma anche un amore semplice,
romantico, fatto di piccole cose, sentimenti veri,
autentici. Ma la favola non durò molto e il nostro
Pink Palace divenne teatro di clamorose scenate di
gelosia da parte di Mickey, schiaffi e rottura di
piatti e bicchieri, insulti, fughe con porte
sbattute, seguite poi da repentine rappacificazioni
e lacrime di gioia.
Nella vita artistica pian piano tornò a galla…
Direi a caro prezzo, quando accettai di apparire
nuda nel film Promises! Promises! del 1963. Il film
fu uno scandalo, a Cleveland venne addirittura
bandito, ma ebbe un enorme successo commerciale.
Aveva capito che per la sua carriera era
fondamentale apparire…
Purtroppo seguii i gusti del pubblico e quindi
iniziai a mostrare il seno in una serie di
"incidenti" apparentemente fortuiti, ma in realtà
attentamente studiati a uso dei fotografi e a scopo
pubblicitario.
È rimasto famoso lo scatto che la ritrae accanto a
Sophia Loren in una cena in onore dell'attrice
italiana nell'aprile 1957.
Oh sì, successe durante un party organizzato a
Hollywood dalla Paramount. Io mi ero presentata con
una scollatura decisamente generosa. La Loren,
appena sbarcata in America, perplessa o forse
scandalizzata, mi guardava di sottecchi con un certo
disprezzo mentre sporgendomi verso il fotografo,
mostravo "inavvertitamente" un capezzolo.
Ma non fu la sola stravaganza…
Una volta mi presentai ad una serata di gala, per la
quale era espressamente richiesto l’abito da sera,
in bikini di pelle di leopardo. Un’altra volta
passai otto ore in cima ad un traliccio della
televisione per protesta nei confronti di chi aveva
censurato uno dei miei film per troppe nudità. Ero
sempre in bikini, ma di seta rossa, ricordo che mi
sfilai il reggiseno per la gioia dei fotografi.
Fece scandalo anche per le sue interviste… si
divertiva vero?
Amavo anche parlare schietto e senza peli sulla
lingua. Feci scandalo quando dissi che gli americani
sessualmente valgono poco, sono quasi tutti bambini
a livello di asilo. Molto più interessanti quelli
europei e gli italiani in particolare. E poi che
male c’era dire che ero stata nel letto del
presidente John Kennedy prima di Marilyn Monroe?
A proposito… fu considerata per anni la rivale di
Marilyn…
Feci del mio meglio, ma mi resi conto che era una
missione impossibile. Non riuscii mai a prendere il
suo posto, neanche dopo la sua morte. Mi venivano
offerti troppo pochi ruoli e la pubblicità negativa
che mi ero procurata portò la Fox a non rinnovarmi
il contratto.
Ci parli di JFK…
Ci eravamo conosciuti tramite la sorella del
presidente, Pat, moglie dell’attore Peter Lawford.
Ci incontrammo due volte: la prima a Palm Springs,
la seconda a Malibù. Non è stato un grande amore, ma
una reciproca e irresistibile attrazione fisica.
Durò poco perché una notte mi fece piangere di
rabbia, quando mi disse che la mia voce somigliava
tanto a quella di sua moglie Jacqueline. Non lo
considerai affatto un complimento! Jackie aveva una
voce particolare, stridula e piuttosto sgradevole.
La mia invece era vellutata, come uscita da una gola
di miele. Mi fece davvero rabbia!
Nei nightclub la sua popolarità rimase per anni
inalterata…
Oh sì, lì ero una vera e propria star, mi sentivo
una Dea, sono stata per anni senza rivali e potevo
chiedere grosse cifre.
Cosa faceva su quei palchi?
Mi esibivo come ballerina, cantante, persino come
dicitrice di barzellette, ma in realtà supplivo alla
mancanza di serie proposte di lavoro e al pressoché
totale oblio di produttori e registi, per cui, per
fare il pieno ogni sera, i miei show diventarono
sempre più piccanti e i miei abiti sempre più
succinti e trasparenti.
Nel 1963 si sposò ancora…
Stanca delle scenate di Mickey divorziai e iniziai
una relazione con un italiano che non aveva i
muscoli del mio precedente marito, ma era bello come
un dio greco, con il petto villoso fino al mento!
Chi era?
Era il regista Matt Cimber, all’anagrafe Tommaso
Vitale Ottaviano. Il matrimonio durò due anni. Da
quella relazione nacque mio figlio, Anthony.
Divorziammo per il solito motivo. Matt, italiano di
Sicilia pretendeva l’esclusiva, di essere cioè
l’unico nell’Olimpo.
Non lo era?
In effetti sì, tranne qualche volta quando era
impegnato in qualche regia lontano da casa. Per
quanto mi riguarda non erano incontri importanti. Ma
lui decise lo stesso di andarsene senza farsi più
vedere.
Non le pesavano tutti quei matrimoni?
Assolutamente no, era così romantico cambiare marito
e cognome… E poi fa bene allo spirito, alla salute e
soprattutto al sesso.
La trentacinquenne Mansflied faticava sempre più a
trovar lavoro. Uno degli ultimi film di un certo
successo lo aveva girato in Italia, nel 1960, con il
secondo marito Mickey Hargitay e Massimo Serato: Gli
amori di Ercole, diretto da Carlo Ludovico
Bragaglia. Poi aveva lavorato nel film Single Room
Furnished, diretto dall'ultimo marito, Cimber.
Quando si separò da Cimber la lavorazione del film
venne sospesa. Jayne iniziò allora una relazione con
l'avvocato che seguiva la sua pratica di divorzio,
Sam Brody.
A soli 34 anni era una diva e una donna stremata,
passata dalla vanagloria dei concorsi di bellezza ai
paradisi artificiali dell’LSD. Aveva assaporato la
solitudine più profonda e si era avvicinata al
satanismo. In amore non era mai stata fedele. Su di
lei calò il sipario una notte d'estate con la
medesima spettacolarizzazione che ne aveva
contraddistinto la breve vita.
A consacrarla all'immortalità è stato il suo tragico
destino in stile James Dean, Grace Kelly e Lady
Diana Spencer.
Era la sera del 28 giugno ed aveva dato uno
spettacolo in un ristorante-night, il Gus Stevens
Supper Club di Biloxi, nel Mississippi, terminato
poco prima della mezzanotte. E l’indomani, a
mezzogiorno, doveva essere a New Orleans, in
Louisiana, per una ripresa televisiva programmata
con una emittente locale. Doveva accontentarsi delle
piccole Tv locali, la donna che aveva sognato di
diventare una diva come Marilyn: da tempo le grandi
reti televisive non si occupavano più di lei.
L’avvocato Brody, suo amante, aveva noleggiato
un’auto di rimessa, per partire subito dopo lo
spettacolo, nel cuore della notte.
«The one and only» furono le ultime parole di Jayne
Mansfield. Le disse a una donna che le aveva appena
domandato se fosse proprio lei, la famosa attrice.
Rispose all’istante, senza pensarci, poi si avviò
verso l’auto che l’attendeva oltre la porta a vetri
del ristorante, scambiò qualche tenerezza coi
bambini sistemati sul sedile posteriore, salì quindi
davanti, sul sedile del passeggero, chiuse la
portiera e andò incontro alla morte.
Al volante della Buick Electra 225, blu metallizzata
del 1966 diretti a New Orleans, c’era un autista di
vent’anni, Ronnie Harrison. Sul sedile anteriore, al
centro, l’avvocato; sulla destra, Jayne, che aveva
in braccio i due inseparabili cagnolini chihuahua,
Popeicle e Monaicle. Il sedile posteriore era
completamente riservato al sonno di Miklos, Zoltan e
Maria, i tre ragazzi di 8, 7 e 4 anni, nati dal
secondo matrimonio con Hargitay, che seguivano quasi
sempre la mamma nelle sue tournée.
All’una e un quarto sulla Highway 90 a Slidell, il
tragico scontro. Allo sbocco di una curva, l’autista
si trovò di fronte un autocarro del servizio per la
disinfestazione anti-malarica, che aveva un po’
rallentato per spruzzare i suoi liquidi tossici su
uno sciame di zanzare. Uno scontro violentissimo,
l’auto ridotta a un ammasso di lamiere. Morti
all’istante l’autista, l’avvocato, Jayne e i suoi
due cagnolini, e cioè tutti quelli che stavano sul
sedile anteriore; miracolosamente illesi o quasi, i
tre ragazzi che dormivano dietro: solo un braccio
rotto per Miklos e qualche contusione per gli altri.
La testa di Jayne, con i suoi favolosi lunghissimi
capelli biondi, letteralmente falciata, finì ad un
paio di metri dalla carcassa dell’auto. “Sembrava
una parrucca, una bellissima parrucca bionda, di
quelle che le attrici portano con sé in sagome di
legno imbottite di velluto per non farle sformare”,
raccontò il comandante della polizia stradale di New
Orleans. Era purtroppo la testa di Jayne.
La notizia della scomparsa della biondissima diva fu
battuta da tutte le agenzie internazionali, persino
da quelle dell'Unione Sovietica.
In sintesi la Mansfield si sposò tre volte, ebbe
cinque figli, numerosissimi amanti, tra cui, Robert
Kennedy, attori come Red Buttons, Stuart Whitman,
Bobby Darin, Tony Curtis, Robert Wagner, John Wayne,
Dean Martin, Tom Tryon, Burt Reynolds, Nicholas Ray,
Jeffrey Hunter, Peter Lawford, ecc...
Fu la star più fotografata di Hollywood, dopo Liz
Taylor, l'icona glamour che ha scandalizzato con i
suoi atteggiamenti e le sue pose tutto lo star
system dell'epoca. Riceveva circa cento richieste di
interviste a settimana e cinque proposte serie di
matrimonio al giorno.
Il funerale dell'attrice ebbe luogo il 3 luglio
1967, a Pen Argyl, Pennsylvania. Jayne Mansfield è
sepolta al Fairview Cemetery, presso Pen Argyl.
Sulla tomba di Jayne Mansfield c’è scritto: "Viviamo
per amarti ogni giorno di più"
Una guida per l'uomo sposato (A Guide for the
Married Man), regia di Gene Kelly (