Madame lei nacque a Brooklyn, vero?
Nacqui da Joseph e Anna Krasner in una famiglia di
ebrei ortodossi immigrati dalla Bessarabia. Ero la
penultima di sette fratelli. La mia famiglia era
piuttosto colta e benestante e favorì la mia
passione per la pittura.
Le
biografie parlano di una bimba molto talentuosa.
Mi formai in eccellenti scuole ed a vent’anni trovai
lavoro presso il Public Works of Art Project e in
seguito alla Temporary Emergency Relief
Administration. Purtroppo questo periodo coincise
con la crisi del ’29 e fu particolarmente duro ma
riuscii a non abbandonare la carriera artistica
grazie ad un piccolo impiego come cameriera e
posando come modella per altri artisti.
Poi entrò a far parte del Federal Art
Project, un’agenzia del New Deal che sosteneva gli
artisti nel corso della Grande Depressione…
Era il 1937 ebbi la fortuna di frequentare la classe
di Hans Hoffmann. Mi insegnò i principi fondamentali
del cubismo e mi indirizzò verso il neo-cubismo
astratto. Purtroppo era molto restio a riconoscere
il talento di una donna, una volta lodando le mie
opere disse: “This is so good you would not know
it was painted by a woman!”
Lei
cosa fece?
Vivevo in un ambiente
misogino, noi donne non eravamo degne di dipingere
ed i critici dell’epoca non scrivevano una sola
parola sulle nostre opere. Per poter competere con i
miei colleghi maschi scelsi di firmare le mie opere
con il nome maschile Lee.
In quegli
anni conobbe Jackson Pollock.
Lo
incontrati per la prima volta nel 1936 in occasione
di una festa organizzata dal sindacato degli
artisti. Nel ballo era una frana, mi calpestava
continuamente i piedi. Poi però ammirando i suoi
quadri fui conquistata dalla sua rivoluzionaria
vitalità.
Avevate un sacco di cose in
comune…
Beh oltre ad appartenere
all’avanguardia astratta, entrambi eravamo
politicamente attivi a sinistra.
Ma
anche alcune fondamentali differenze…
Beh a differenza di lui io disapprovavo la politica
di Stalin e gli rimproveravo l’amicizia con il
pittore messicano stalinista integralista Alfaro
Siqueiros. Io ero stabilmente inserita in comunità
artistiche mentre Jackson era ancora un perfetto
sconosciuto.
Anche caratterialmente…
Apprezzavo molto il lato trasgressivo della vita,
dicevo sempre quello che pensavo, bevevo, fumavo,
posavo nuda… mentre Jackson era un carattere
introverso diceva spesso di sentirsi come un
mollusco in una conchiglia. Alternava momenti di
rabbia a lunghi periodi di completo mutismo.
Vi sposaste comunque vero?
Ci sposammo il 25 ottobre del 1945. Sostenni Jackson
nei momenti più bui. Lui venne ricoverato in un
reparto di psichiatria ed io cercai di aiutarlo ad
uscire dal
baratro dell’alcolismo e della depressione…
Ma fu un auto-sabotaggio artistico?
Amavo mio marito e sinceramente innamorata
sacrificai la mia vita artistica consentendogli così
di coltivare il suo genio e diventare il più
importante artista della seconda metà del Novecento.
Diventai la sua principale critica d’arte.
Avevate raggiunto una perfetta armonia di
coppia…
Beh sì, cercai di preservare il
nostro rapporto da attacchi esterni. Ad esempio
quello di Peggy Guggenheim, la famosa mecenate ricca
ereditiera ebrea. Ammirava così tanto mio marito che
organizzò con le sue opere una famosa personale a
New York. Inoltre stipulò un contratto che garantiva
a mio marito per quattro anni una cospicua rendita
mensile. Ecco Peggy Guggenheim mi detestava, non mi
riteneva all’altezza della sua cultura e la compagna
perfetta per un artista come mio marito.
Cosa fece?
Cercai di combattere
il suo denaro e le sue lusinghe con l’amore.
Ci riuscì?
Nonostante il
successo Jackson cadde di nuovo in depressione e
ricominciò a bere. Gli consigliai di riprendere
l’analisi junghiana che anni prima lo aveva salvato,
ma lui preferì un trattamento più radicale, ma non
ci furono miglioramenti, anzi mi vedeva come una sua
nemica al punto che prese a maltrattarmi, a
presentarmi in pubblico come una vecchia strega ed a
tradirmi con una giovane studentessa d’arte.
E lei?
Decisi di abbandonarlo a
se stesso. Feci un lungo viaggio in Europa.
Purtroppo durante la mia assenza Jackson morì
schiantandosi ad elevatissima velocità contro un
albero, dopo aver trascorso la notte a bere. Insieme
a lui nell’auto c’erano due donne.
Dopo l’incidente la sua pittura divenne buia e cupa
e le sue opere si popolarono di creature mostruose…
Fu solo un periodo, già nel 1957 ad un anno dalla
morte di mio marito i miei dipinti riacquistarono la
vivacità di un tempo e persero ogni traccia
dell’astrazione tipica di mio marito. Tornai a
dipingere scagliando la vernice contro le tele
appese alle pareti. Mi stavo liberando del fantasma
di Jackson...
Prima di morire (19 giugno
1984), Lee Krasner diede il suo ultimo contributo al
mondo dell’arte fondando l’associazione
Pollock-Krasner, che ancora oggi offre borse di
studio agli artisti di tutto il mondo.
Lee e
Jackson sono sepolti al Green River Cemetery. La
lapide di Pollock è un enorme masso sul quale si
trovano innumerevoli tubetti di vernice, quella
della Krasner è invece più piccola e meno
appariscente, confermando purtroppo anche dopo la
loro morte il ruolo marginale della pittrice nel
mondo dell’arte e nella loro vita di coppia.
E la
domanda rimane sempre la stessa: “Pollock sarebbe
riuscito a rivoluzionare il mondo dell’arte senza il
suo supporto? E ancora… chi sarebbe oggi Lee Krasner
se non avesse subito la discriminazione di genere
rimanendo segregata fino al 1965 dietro le quinte
dell’Espressionismo Astratto?”
Solo nel 1973 il
Museo Whithey di New York le renderà omaggio con una
retrospettiva conclamando Lee Krasner come uno dei
maggiori esponenti dell’Espressionismo Astratto e
una delle più grandi artiste donne della storia.