|
|
|
HOME
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIE POLICY
INTERVISTE IMPOSSIBILI
Francesca da
Rimini
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
(Ravenna, 1259/1260 – Gradara, 1285)
«Amor, ch'al
cor gentil ratto s'apprende, prese costui de
la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo
ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar
perdona, mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor
condusse noi ad una morte. Caina attende chi
a vita ci spense.» Queste parole da lor ci
fuor porte.
Dante Alighieri, Inferno V,
100-108
Paolo Malatesta e Francesca da Polenta sono due
figure di amanti entrate a far parte
dell'immaginario popolare sentimentale, pur
appartenendo anche alla storia e alla
letteratura. A loro è dedicata buona parte
del V canto della Divina Commedia di Dante
Alighieri. Nella Commedia, i due giovani
rappresentano le principali anime condannate
alla pena dell'inferno dantesco, nel cerchio dei
lussuriosi. In vita furono cognati e questo
amore li condusse alla morte per mano del
marito di Francesca. I due amanti trovarono
calore nel bacio tremante che alla fine si
scambiano e che caratterizza l'inizio della
loro passione.
|
|
Mia Signora le sue origini?
Appartengo alla famiglia dei Da Polenta da Ravenna, sono figlia
di Guido Minore Signore di Ravenna e Cervia di parte guelfa. Con
mia sorella più giovane, Samaritana, e i miei otto fratelli
vivevo tranquilla e serena la mia fanciullezza nell'austerità
della nostra reggia. L'istruzione al tempo era scarsa e si
basava esclusivamente sull'apprendimento delle regole del parlar
gentile, mentre le pratiche religiose erano intense e i
divertimenti molto rari. Trascorrevo i miei giorni sperando che
mio padre mi trovasse uno sposo gradevole e gentile.
E invece?
Non andò così. A 15 anni mi
sposai, ma alla base del mio matrimonio con Gianciotto Malatesta
ci fu un terribile equivoco architettato dalle nostre famiglie.
Mi fu fatto credere che avrei sposato il bello, cortese ed
elegante gentiluomo Paolo, anziché suo fratello Gianciotto.
Perché le due famiglie si accordarono?
Le nozze erano state promesse e combinate dalle famiglie almeno
dal 1266, per sancire una pace duratura tra le due signorie e
come riconoscimento ai Malatesta che aiutarono mio padre Guido a
imporre il proprio dominio su Ravenna.
Chi era
Gianciotto?
Lui si chiamava Giovanni Malatesta,
soprannominato Giangiotto Johannes Zoctus, ovvero Giovanni
zoppo.
Com’era?
Gianciotto era molto
più anziano di me, zoppo e rozzo nonché brutto e malvagio.
Lei prima del matrimonio lo aveva mai incontrato?
Tenga conto che siamo nel 1275. Purtroppo non ci fu alcun
incontro. Come detto le nostre famiglie dopo una serie di
scontri esterni e di instabilità politica interna decisero di
allearsi unendo in matrimonio i loro figli.
Quindi un matrimonio concordato…
All’epoca era del
tutto normale e il matrimonio avvenne per procura. Però, per
guadagnare la mia approvazione a questa unione, mi fu fatto
credere che sarei andata in sposa al fratello di Gianciotto,
ovvero Paolo Malatesta.
Quindi ci fu uno scambio
di persona?
Al momento della firma dei documenti si
presentò Paolo ed io mi invaghii di lui.
Ovviamente era un
malinteso, perché credevo fosse lui il vero sposo.
Ma Paolo era già sposato. Lo ignorava?
Non
mi venne alcun dubbio, seppi solo in seguito che Paolo era
sposato con Orabile Beatrice di Ghiaggiuolo, con la quale aveva
già due figli.
In dettaglio come avvenne
l’inganno?
Semplice, mandarono a Ravenna Paolo il
Bello “piacevole uomo e costumato molto”. Io ebbi modo di
vederlo parlare con mio padre Guido attraverso un pertugio.
Quando fu chiesto il mio parere, seppur non necessario, accettai
immediatamente e con gioia la proposta ed il giorno delle nozze
per procura, senza dubbio alcuno, pronunciai felicemente il mio
“sì”.
E quando seppe dello scambio, cosa fece?
Ormai ero sposata, ma immagini la mia disperazione quando la
sera stessa dopo le nozze vidi al mio fianco suo fratello
Giangiotto…
Dio mio… Si rassegnò?
Non
potevo fare altro… Le nozze furono una tragedia. Trascorrevo i
miei giorni nel pianto e nel dolore. Con difficoltà ebbi una
figlia che chiamai Concordia, come mia suocera. Per il resto
cercavo di allietare le mie giornate come potevo. Vissi così
cercando di rendermi la vita meno triste, anche perché mio
marito, innamorato follemente di me, comunque mi copriva di
regali e di attenzioni.
E suo cognato Paolo?
Seppe dell’inganno?
Paolo, che aveva possedimenti
nei pressi di Gradara, spesso mi faceva visita. Ovvio che viveva
di rimorsi e sensi di colpa, in fin dei conti si era prestato al
malinteso. Mi pregava di scusarlo e che, se fosse stato per lui,
avrebbe desiderato che il mio matrimonio non si fosse mai
celebrato.
Per questo motivo tra voi nacque una
certa, intima… complicità.
Eravamo entrambi tristi
anche se per ragioni opposte, ma la prego non fraintenda, tra
noi c’era solo una profonda sintonia.
E suo
marito?
Giangiotto ogni mattina partiva per Pesaro
ad espletare la sua carica di Podestà, e faceva ritorno solo a
tarda sera.
Non la portava con sé a Pesaro?
Al tempo al Podestà, che per maggior garanzia di equità doveva
essere forestiero, era proibito portarsi dietro la famiglia che
poteva essere d'impiccio in caso di emergenza.
Perdoni mia Signora se insisto, lei era innamorata di suo
cognato?
Lo ero sempre stata, anzi in cuor mio, lo
avevo anche sposato! Lui passava intere giornate con me, mi dava
tutte le attenzioni possibili.
Come
trascorrevate quelle ore?
Durante quelle visite
leggevamo insieme la storia d’amore tra Lancillotto e Ginevra,
moglie di re Artù, di quell’amore puro, celato a lungo, fino ad
essere svelato dal bacio dato dalla regina al cavaliere.
Tanti punti della storia erano evidentemente
allusivi alla vostra vicenda personale.
Per questo
era una delle nostre letture preferite e tra noi a lungo andare
nacque una sorta di sentimento alimentato dal fuoco del
proibito, ma assolutamente mai e poi mai consumato.
Ma eravate soli nel castello?
No, no. Un
altro fratello di Paolo e Giancotto, Malatestino dell’Occhio,
così chiamato perché aveva un occhio solo “ma da quell’uno
vedeva fin troppo bene”, aveva il compito di badare a me.
E spiando s’accorse che quelle visite di Paolo non
erano propriamente incontri tra cognati…
Si
insospettì perché era insolito che due cognati passassero tutto
quel tempo da soli a leggere.
Ma un bel giorno…..
Un bel giorno Giangiotto finse di partire ma rientrò da un
passaggio segreto. Paolo passò per una delle sue solite visite.
Mentre leggevamo estasiati la storia di Lancillotto e Ginevra,
“come amor li strinse” ci abbandonammo ad un casto bacio. Mi
creda fu il primo e l’ultimo!
La sfortuna volle
che proprio in quell’istante Giangiotto aprì la porta e vi
sorprese.
Accadde proprio così!
Cosa
fece suo marito?
Accecato dalla gelosia estrasse la
spada, Paolo cercò di salvarsi passando dalla botola che si
trovava vicino alla porta, ma il vestito gli si impigliò in un
chiodo, quindi dovette tornare indietro e, mentre Giangiotto lo
stava per passare a fil di spada, mi parai davanti per salvarlo
e Giangiotto senza alcuna pietà infilò con violenza la spada in
entrambi i corpi.
Trecento
anni dopo, nel 1581 nella Chiesa di S. Agostino di
Rimini, furono ritrovati, in un'arca di marmo, i corpi
che si presume siano quelli di Paolo e Francesca.
Sepolti assieme, uniti dalla stessa ferita che li
trafisse, i due sventurati amanti giacevano abbracciati
in splendide vesti di seta, uniti nella morte come mai
lo erano potuti essere in vita. Secondo la fantasia
popolare, Concordia, figlia di Gianciotto e Francesca,
si ritirò nel convento delle Clarisse di Santarcangelo
di Romagna, da lei stesso istituito e lì visse fino alla
morte.
Gli sventurati amanti vengono immortalati
da Dante nella Divina Commedia – V canto dell’Inferno.
Dopo la confessione della giovane Dante ha un attimo di
sconforto, resta assorto in silenzio: sembra pensare a
come sia possibile che l'attrazione innocente, l'amor
cortese si trasformi in peccato degno dell'Inferno.
Chiederà ancora a Francesca una spiegazione su come
questo sentimento si sia potuto trasformare in peccato.
È solo colpa dell'adulterio? In realtà Dante non vede
una colpa in sé nella pulsione amorosa, ma il peccato ne
nasce quando nell'attuare questa pulsione si viene meno
ai precetti morali, come quello sulla fornicazione
nell'adulterio. Proprio questa contraddizione tra
precetto religioso e forza travolgente dell'amore,
espressa in forma così alta e rarefatta, spiega la
simpatia di Dante per i due peccatori. Il poeta non si
comporta da moralista, semplicemente descrive la
tragicità del conflitto tra morale e passione, che sono
due forze invincibili. Nonostante il poeta collochi
Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare a meno di
provare un senso di profonda ed umana pietà e di
compiangerne la sorte.
E in effetti pur mettendo
gli sventurati amanti all’inferno, perché macchiati di
un peccato gravissimo, li fa vagare assieme: oltre la
pena, che non abbiano anche quella della solitudine
eterna. “…io venni men così com’io morisse; e caddi come
corpo morto cade”.
|
|
|
|