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Adamo Bencivenga
Angelo e Demone
Photo Alexander
Streltsov
Angelo e demone, diavolo
maledetto, tu vedi nel suo viso, il ricordo di una sera,
seduta al ristorante in una terrazza sopra Roma, una
spigola al cartoccio con un bianco siciliano, lei bella
che ti chiede quanta voglia hai di farlo, se davvero è
la sera giusta, o “possiamo rimandare”, ma poi il gioco
mano mano, s’è fatto consistenza, un amico tu le hai
detto, “vedrai sarà gentile”, quell’anonimo signore
istruito nell’attesa, scelto a caso come amante e ora
sappia cosa fare, scartare quattro carte e dichiararsi
poi servito, nel filo di quel gioco, d’azzardo e
raffinato, maturo al punto giusto, esperto quanto basta.
Poi il dolce ed il caffè ed è diventata solo
attesa, lei in bagno a truccarsi per calarsi nella
parte, poi in auto con il tizio e i tuoi dubbi
consistenti, la voce tremolante, i suoi ripensamenti, ma
è stato solo un attimo, un banale contrattempo, un
soffio a poco a poco che s’è fatto evanescente, il tuo
braccio che cingeva i suoi fianchi impauriti, per
sentirsi più protetta, per darle sicurezza, qualunque
cosa avesse fatto o fosse poi successa, ma lei sapeva
con certezza che passata quella porta, per nessuno
motivo avrebbe avuto un solo dubbio.
Angelo e
demone, diavolo maledetto, lui che dice a voce roca
tradendo la parvenza, d’uomo serio e navigato, d’uomo
adulto e protettivo, mentre la sua mano si fa strada
lentamente, tra la trama delle calze, sotto la sua
gonna, fra le gambe obbedienti, assetate dall'attesa,
che avvenga al più presto quel sogno mai domato, quel
racconto che per mesi vi ha legati di piacere. Lei lo
guarda e lui la guarda, già pronta se volesse, seduta
sulle gambe sente un brivido che sale, la sua voglia
consistente che lievita al contatto, mentre bacia
l’altra barba sconosciuta fino allora. Lui ride
soddisfatto contento del regalo e un suo dito ad uncino
entra nella bocca, socchiusa quanto basta perché lui la
possa aprire, perché lui ne faccia preda, saccheggio e
scorreria, anche se non c’è ardore ora nei suoi occhi,
ma solo la certezza d’essere essenziale, amante
distaccato, strumento di passione, indispensabile alla
smania che guida e sa guidare, l’attore principale, la
comparsa, il figurante, perché lei non abbia dubbi, di
ciò che sente dentro, nei punti dell’intesa che lui
tocca e sa toccare.
Angelo e demone, diavolo
maledetto, lei ti guarda sul divano mentre osservi
allibito, distante quanto basta con una tempesta dentro
il cuore, come fossi dentro il sogno rapito ed
estasiato, e senti il bene e il male che s’arruffano nel
sangue, quando lei s’abbandona, aiutata dalla mano,
verso quella meta pattuita poco prima, quando il suo
ardore incontra la passione, e si stringe a ventosa
china al piacere, e sono baci e sono sguardi che
rassodano l’intrigo, e sono gemiti di uomo, che la
guidano più brava, a cadenzare i suoi respiri, sincroni
e perfetti, a chiedersi tu che provi mentre guardi
quella scena, a carpire in lontananza un guizzo di
dolore, il prezzo che si paga per la sfida e la contesa,
la voglia mai finita di sentire quel possesso, per
amarla più di prima fin dentro le sue ossa, dentro
quella bocca che lui svuota e poi riempie, nel gioco
senza fine d’essere la linfa, dei desideri più segreti
che nascono di notte, e di notte s’aggrovigliano e
diventano reali, come ora in questo posto, uno studio
d’architetto, come ora questo uomo che s’è fatto più
sicuro e reclama senza indugio d’esserne il padrone.
Angelo e demone, diavolo maledetto, l’altro ripete a
voce roca come un mantra all’infinito, lei distesa che
lo accoglie come sposa al primo fiore, sta tremando e tu
lo noti, ma è un attimo soltanto, poi sente il suo
calore e pensa “ora ci siamo”, l’attesa che diventa un
flebile secondo, e sente quella bocca avida di miele,
identica al sapore di quel sogno senza fine, bramato
tante volte quando nel letto la baciavi, per lasciarla
poi digiuna e convincerla a giocare, quando lei chiedeva
d’enfatizzare quell’attesa, lasciandola intatta,
stregata dal miraggio.
Ed ecco la tempesta, il
diluvio e la bufera, nell’onda del piacere tra due
braccia sconosciute, nell’onda che travolge e la risacca
poi trascina, scorie d’altri lidi portati dalla brezza,
brame d’un passato dove mai si era spinta, a sentirsi
amante vinta e femmina più persa, pertugio senza fine
che chiede e ne rivuole, crepa lungo il muro che scorre
e fa rumore, perché lei ora è gioco, femmina fatale, è
occhi che ti cercano sbarrati al desiderio. Perché lui è
un mero arnese, oggetto di piacere, è marmo duro e
freddo che la cerca ovunque vuole. È maschio consapevole
che ha voglia di godere, di essere il pittore di quella
rosa schiusa, e il maestro di quel canto di gemiti e
parole, di esibirla alla finestra mentre dietro si fa
spazio, di chiamare un suo amico mentre sputa fiato
caldo, di strofinarla su ogni muro come gatta in calore,
di stenderla per terra finché lui riempia a secchi, quel
pozzo senza fine dove ora non c’è fondo.
Angelo e
demone, diavolo maledetto, ti ripeti come un mantra
perché sei tu che lo hai voluto e si sente nel silenzio
il rantolo del maschio, svuotato d’ogni forza, d’ogni
minimo vigore, si sente il suo respiro soddisfatto di
piacere, e tu ti alzi e le vai incontro, le asciughi il
sudore, la lecchi con la lingua come un cane obbediente,
le spalle, il collo e il seno, e poi scendi tra le
gambe, che lindi e ripulisci perché sia di nuovo un
fiore, perché sia di nuovo intatta da cogliere ed
offrire. E sono grazie e carezze, baci buoni sulla
bocca, lusinghe e promesse d’amore per la vita, ora
sulle scale, ora lungo il viale, tu padrone e lei Regina
contro un’alba che dirada, i fumi della notte, le nebbie
dentro il cuore, ed una luce all’orizzonte la illumina
più bella, come sposa sulla spiaggia che strascica il
suo velo, come vergine illibata o ninfomane mai sazia,
avendo la certezza che ogni brivido che sente, sia un
alito dell’anima che ora ti appartiene |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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