Non so che stia facendo questa sera! Perché
diavolo passeggio sotto questi alberi che scolano resina e sgocciolano
foglie bagnate. E cammino incontro alle luci senza il minimo ritegno di
guardare vetrine o la parvenza di avere una macchina in panne e chiedere
aiuto. Perché nessuna bugia stasera m’aiuterebbe a catturare gli sguardi,
ad accalappiare questi cani randagi che s’aggirano avidi intorno alla
preda. Non mi servirebbe vestirmi d’ipocrisia e sperare che qualcuno osi
quel tanto per trapassare quella finta coltre di nebbia che altre volte
m’ha nascosto e dato coraggio.
Oggi non c’è sedile di treno dove
fingo d’essere assorta, non c’è una panchina dove m’impegno a leggere un
libro, non c’è spiaggia dove m’abbronzo ed aspetto. Classica ed evidente
come la luna, chi potrebbe nutrire il minimo dubbio scorrendo su questa
pelliccia slacciata che scende e non copre, su questo cappello più rosso
delle mie unghie che nasconde solo pensieri malsani. Chi distratto
potrebbe ancora confondersi lungo l’orlo di questa gonna, tra le pause di
questi tacchi che infilano foglie e bucano vene in astinenza, di drogati
di sesso. Forse solo questo cane che non s’è accorto di nulla e mi porge
col muso una pietra che vorrebbe rincorrere e mi domanda dubbioso perché
stasera gli do meno attenzione.
Eppure era tanto che sognavo
d’allontanarmi dal solito giro dove Daisy fa i suoi bisogni inseguendo
l’odore dei miei, volando sul bordo di questo travertino fin dove una
schiera di donne mostra la merce ad una coda di fari. Camminando tento di
schivare cartacce senza la decenza di farmi chiamare signora. Perché
signora non sono se continuo ad esporre le mie forme come becchime ad
uccelli affamati, come avanzi di lische a gatti di strada, se m’ostino a
raddrizzare piaceri di gente che cambia percorso e rallenta e mi scruta
senza fissarmi negli occhi. Perché signora non sono se m’innalzo su questo
tombino dove a quest’ora è più facile vedere topi che fanno capolino.
Eppure non so quante volte mi sono fatta vera nel sogno, quante volte,
per provare uno sterile orgasmo, mi sono aggrappata a questa fantasia che
ora reale mi secca la gola e m’impietrisce la pelle. Credevo che fosse
tutto uguale e allo stesso tempo diverso a quando esco di giorno, che il
solo respirare quest’aria di libertà, ingiustizia della notte senza
regola, fosse il vero piacere che da anni andavo cercando, dove non c’è
rispetto e non esiste diritto quando mi mostro alla mercé di sguardi
ficcanti, e non c’è legge che possa misurare il percorso di una bocca che
ammicca o la volgarità di un seno imbrattato dal disprezzo di un piacere
di maschio.
Ma questa sera ho deciso, ho lasciato madre, sorella e
figli a guardare la televisione, a chiedermi attoniti dove diavolo potessi
andare a quell'ora da sola inghiottita dalla notte che ingrandisce paure e
ti lascia insicura. Dentro una busta ho messo i miei sogni, dentro la mia
testa il coraggio di uscire e di ritrovarmi sotto questo lampione che più
puttana non avrebbe potuto illuminarmi. Dietro una siepe ho caricato la
mia faccia, nel buio ho allacciato gancetti ed indossato quanto di più
intimo avevo comprato, quanto di più mignotta ora cerco di mostrarmi a
questi fari che passano lenti e mi fanno le lastre. Come se avessi una
malattia, come se una donna di rango fosse troppo per i loro sessi che
fibrillano nudi dentro la mano che non tiene il volante.
Mi
chiedono avidi quanto tutto ciò possa costare, rendendosi immediatamente
conto che le stoffe che porto sono più pregiate della mia carne, del mio
sesso che vale quanto una bevuta all’una di notte, un buco al riparo
quando minaccia di piovere. Ed il tempo non è stato per nulla clemente,
nonostante avessi sognato questa sera da mesi, tra le tante notti di
stelle, m’ha riservato questo cielo che mi bagna e mi strucca. Se solo non
piovesse! Chissà quanto più belli sarebbero i miei zigomi tagliati da
ciuffi volanti che ora invece si spiaccicano sul viso come una donna che
piange. Quanto sarebbe più morbido il colore pesca dei miei seni o più
netta la riga tra il vuoto delle labbra che chiunque, lo giuro, avrebbe
voglia di riempire.
E mi guardano ancora cercando negli spacchi la
forza per invitarmi a bordo, al caldo delle loro macchine che mandano
musica ed odori smielati di alberelli francesi. Ma costo troppo! Non
perché abbia detto il mio prezzo, ma solo perché appaio come donna
inarrivabile! Mi fanno capire delusi che da queste parti il prezzo che
chiedo vale un mese d’amore, che tra questi palazzi sarebbe già troppo se
solo chiedessi la metà di quanto ho pagato il mio smalto. In fin dei conti
non offro che buchi, intatti ed abbelliti, ma solo dei buchi che presi da
soli valgono quanto quelli di chi vicino mi fa concorrenza. Mi rivolto, la
guardo! Non posso pensare d’essere preferita a questa specie di larva
vivente che tiene in mano un cartone di vino e rutta e singhiozza mandando
fetore. Non posso pensare che la mia stoffa di seta leggera possa
confondersi ed imbrattarsi con i suoi jeans non lavati da mesi, con i suoi
seni che lividi pendono come mammelle di scimmia che allatta.
Mi
dà fastidio pensare che il mio charme di donna perfetta possa mescolarsi
all’elemosina che chiede senza provare nemmeno disagio, perché di certo
nessuno potrà avere il coraggio d’offrirgli dell’altro, l’ardire di
reggere a tanto disgusto d’infilarsi in quell’antro e provare piacere. E
mi consola pensare che questa sera ho dato un tocco di sensualità a questo
viale di derelitti, che una donna di classe s’aggira tra gli alberi
affittando il suo profumo, il desiderio d’essere toccata nei punti che
copre, l’idea per niente remota di scivolare le dita di creme sui loro
sessi vogliosi.
Tra meno di un niente farò la mia scelta e
soltanto uno di questa coda che aspetta paziente potrà accarezzare il
colore ed il prezzo di queste mutande, slargandole se meglio l’aggrada o
strappandole perché a nient’altro nella mia mente potranno servire. Già, è
soltanto una notte, una voglia che da anni mi spacca il cervello nel
momento che provo piacere. Signora borghese che non salta una messa, che
si veste a lutto per un parente lontano, che porta ogni sera il suo cane a
fare i bisogni, che manda i suoi figli a scuola privata, ora è qui che
passeggia e batte e risbatte i suoi tacchi perché il rumore riempia ili
desiderio di chi ancora ha dei dubbi sul prezzo che chiedo. Ma non
m’abbasserei ad un centesimo di meno perché solo una smagliatura di questa
calza varrebbe il danno che fa un temporale prima di un raccolto.
E questi signori credo che ora non avrebbero dubbi se scegliere di vedermi
perfetta o fare beneficenza per chi ora sta morendo di fame. Sarebbe
difficile spiegargli che non sto vendendo il mio corpo e per questo
pretendo quello che le loro tasche fanno fatica ad accettare, sarebbe
difficile dirgli che stanno soltanto comprando l’alone che mi rende
inaccessibile, l’idea di fare l’amore con chi lo fa per passione e non ha
bisogno di soldi. E sporcano le mie mani che di giorno cucinano e fanno
rammendi, e insozzano le mie labbra che di solito baciano la fronte di
bimbi febbricitanti, e deliziano avidi il mio rigore morale che in altri
momenti incute timore e rispetto.
Ma tutto ciò non basta a farli
decidere, mi guardano, mi chiedono e passano avanti. Fanno la fila per
avere due tette a forma di donna, semplicemente una puttana che non dia
l’idea di essere altro, che non li faccia pensare, come quest’abbozzo di
donna che mi fa concorrenza. Li vedo, la preferiscono perché desiderano
infilarsi comodi nella carne come questo topo che entra ed esce dal
tombino, senza avere dubbi sulla propria moglie che ora, sicuri, sta
dormendo da sola nel letto.
Ma io non mi rassegno, perché non ci
saranno altre sere, altri orgasmi per provare piacere. Perché il piacere
più grande è confondermi tra quei alberi e sapere che loro mi considerano
tale. E mi domando quanti uomini, a quest’ora farebbero a gara per avermi
addosso ad una parete di una stanza d’albergo o legata alla spalliera del
letto nella loro casa di campagna. Quanti sguardi ogni giorno incrocio per
strada, che se solo volessi diventerebbero in meno di niente complici ed
amanti. Ma io voglio quest’aria che, la sento, penetra da sotto, dentro
questo collant velato! Voglio quest’idea folle d’abbandono che nasce tra
le gambe senza che il cervello ed il cuore ne siano coinvolti e poi, come
prima, che nulla rimanga, che nessun strascico mi possa far pentire di
quello che ho fatto.
Oramai è tardi, maledettamente tardi, e le
mie gambe sono più incontaminate di una sorgente che sgorga, più pure di
vergini promesse. Tra poco tornerò sui miei passi ed il primo che
m’inseguirà avrà capito che non mi vendo per nulla, che non mi svendo per
il prezzo che vale il mio smalto. Mi coprirà di denaro per annusare questo
profumo francese, per accarezzarmi questa crema che riflette come luna i
miei seni. E s’inginocchierà all’altezza del mio sesso baciandolo fino ad
essiccarsi la bocca, come un cane che sbava e mi porge una pietra, come
Daisy che a quest’ora ha ripreso la via di casa e stanca mi aspetta sotto
il portone. Aspetta la sua padrona che ancora si ostina ad impregnare
d’odore di femmina ogni lampione, a slabbrare pupille ed a stringere nella
mano soltanto un guinzaglio.
FINE