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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO 
Giochi di piacere
"Gli zigomi
alti e pronunciati, l’ombretto grigio sfumato incavavano gli occhi
desiderosi di piacere. Sbottonai la camicetta fino al punto del non
ritorno e l’incavo del seno accolse materno un piccolo ciondolo
appeso ad una fragile catenina"
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Photo Livia Corcoveanu
La luce in penombra della lampada sul comodino creava un
alone surreale tutt’intorno, i miei capelli
incandescenti cambiarono più volte colore e la mascella
stretta ed immobile rimase ferma nella decisione. Gli
zigomi alti e pronunciati, le sopracciglia folte e nere,
l’ombretto grigio dilatato fino al bianco delle orecchie
incavavano gli occhi desiderosi solo di piacere.
Sbottonai la camicetta bianca fino al punto del non
ritorno, l’incavo profondo del seno accolse materno un
piccolo ciondolo di turchese appeso ad una fragile
catenina d’oro. Ero bella. Per la prima volta mi sentivo
padrona di me stessa e capace finalmente di comunicare
attraverso il mio corpo le mie infinite sfaccettature
finora celate e represse dalla mancanza di sicurezza.
Indugiai ancora qualche minuto davanti allo specchio,
cercai ancora qualche conferma ringraziando quell’uomo
che senza nessuno sforzo aveva tirato fuori quella parte
di me chiusa per vergogna e pudore in chissà quale zona
del mio cervello. Non contenta del risultato
ricominciai daccapo. Calcai la matita, rifeci il
contorno delle labbra sbordando di una manciata di
millimetri il suo margine naturale. Oramai decisa a
tutto andai oltre e lasciandomi alle spalle le ultime
appiccicose incertezze sbollai un paio di calze
indossandole lentamente in modo da ritardare l’effetto
sui miei occhi curiosi. Davanti allo specchio,
centimetro dopo centimetro, vidi la mia gamba bianca
velarsi di nero e di malizia e mano mano che la coprivo
scoprivo l’altra Eva, quella del sogno ricorrente e
rassomigliante come una goccia d’acqua a quella che
avrei volevo essere. Mi sorpresi a guardarmi con gli
occhi di un uomo e ad eccitarmi ripetendo più volte la
scena, calcavo le mosse atteggiandomi da viale alberato
che odora di tigli e sesso e tette esagerate. Lungo le
smagliature che il tempo aveva solcato mi ritrovavo a
confrontarmi con donne volgari, ma con le quali il mio
uomo, per il gusto del proibito, mi avrebbe senz’altro
tradito.
Da lì a poco avrebbe bussato e preteso,
e senza pronunciare una parola avrebbe reclamato ciò che
tutte e due ritenevamo di sua proprietà. E puntualmente,
come un lampo dopo un tuono, avremmo fatto l’amore
magari distesi lungo la fragile consapevolezza di non
essere all’altezza o in piedi appoggiati in qualsiasi
angolo protettivo della casa. Tossica d’amore non
chiedevo altro, non reclamavo educazione e rispetto o
frasi spezzate che prolungassero l’attesa e ritardassero
il piacere, chiedevo semplicemente un uomo che mi
appagasse ancora prima d’avermi salutata, che mi
placasse quella voglia irrefrenabile che saliva a
dismisura dilatando l’iride e il ventre. E come ogni
sera, avrei ceduto diluendo orgoglio e coscienza come il
rossetto che misto a saliva colava sulla mia mano quando
afferrava il piacere. Avrebbe preteso controvoglia
quello che già gli stavo offrendo e, come al solito,
puntualmente sarebbe scomparso nelle sue fantasie lungo
la notte su quei viali alberati alla ricerca di quello
che non riuscivo a capire e che, per questo, non ero in
grado di dare.
Ma mi sbagliavo. Quella sera mio
marito entrò in casa con un ghigno diverso, e
indovinando le mie premure che stipate come in un collo
di bottiglia non attendevano altro che essere liberate.
Lui fece di più! Mi porse come se fosse la cosa più
naturale del mondo un reggicalze nero sgualcito
pregandomi di indossarlo. Non era nuovo. Lo aveva tirato
fuori dalla tasca del giaccone senza nemmeno un
cellophane di scusa, ma non feci domande. Sorpresa
tentai invano di agganciare i gancetti delle stringhe al
bordo merlettato della calza. Era la prima volta. Le sue
dita esperte mi vennero in aiuto togliendomi
dall’evidente imbarazzo. Vidi in un attimo i suoi
occhi brillare, m’inorgoglii pensando all’effetto delle
mie gambe, ma lui era già oltre. Catturò l’idea sul
nascere e la realizzò senza pensarci. Mi trascinò
davanti allo specchio e diede l’ultimo tocco
d’intrigante magia. Alzò la gonnellina nera a pieghe di
qualche centimetro in modo da far intravedere il bordo
della calza. Mi guardò ancora controllando i millimetri
più scuri che uscivano magicamente fuori, mi fece sedere
sul letto e poi ancora in piedi finché soddisfatto era
già con la mente fuori da casa.
Davanti al
portone un taxi giallo ci aspettava col motore acceso.
Aveva organizzato ogni dettaglio ed io per la prima
volta, pensai, stavo vivendo insieme a lui un spicchio
di realtà vera. Uscivamo fuori dal nostro guscio ed io
mi sentivo bellissima. Scivolammo per la città senza
intoppi, il tassista affondò l’acceleratore
infischiandosene dei divieti. Eccitata e curiosa ero
decisa a tutto, pensai durante il tragitto che la meta
fosse quel viale alberato, su cui passeggiare. Ovvio
senza poi andare oltre ma solo per il gusto di mostrarmi
e rendere più reali le nostre fantasie ricorrenti.
Dario, mio marito, non staccò un attimo il suo
sguardo dal mio profilo. Nel buio della macchina sentii
la sua mano secca e rugosa risalire tra le mie gambe ed
arrestarsi sulla mia voglia in attesa. Non feci nessuna
resistenza, nemmeno quando le sue dita ferme scostarono
leggermente le mie impalpabili mutandine di pizzo nero.
Mi sentivo nuda, tenni d’occhio per qualche istante lo
specchietto retrovisore, ma niente, il tassista
continuava a guidare ascoltando una radio locale e non
accorgendosi di nulla. Alla fine, sotto i suoi colpi
esperti e precisi calai le palpebre abbandonandomi come
in un grande letto a due piazze. I bottoni della
camicetta saltarono via via alla stessa velocità di un
lampo, sentii la sua bocca umida sul mio seno e, subito
dopo, sopra le mie labbra avide e oramai impresentabili.
Non sapevo bene dove volesse arrivare come del resto non
ero più sicura dove ci stesse portando quel taxi che non
accennava a rallentare. Di colpo la macchina si fermò,
guardai fuori dal vetro, le luci viola di un’insegna
misteriosa bloccarono il mio piacere, e, come quando ci
si sveglia di soprassalto interrompendo un sogno, chiusi
immediatamente gli occhi ostinata e convinta di
riprendere dal punto interrotto. Pregai Dario di farsi
venire in mente un altro locale dall’altra parte della
città, mi aggrappai ad un suo attimo d’indecisione,
rimanemmo in silenzio per un intero secondo finché mi
rassegnai cercando invano nel buio dell’abitacolo la
maniglia dello sportello.
Completamente stordita
arrancai traballante sui tacchi di vernice nera finché
Dario commosso dalla mia andatura mi corse in aiuto
prendendomi sottobraccio. Mi sentivo in disordine e
impresentabile. Ancora prima di entrare tentai di nuovo
di convincerlo a tornare indietro. Cercai d’impietosirlo
attirando il suo sguardo sulla camicetta ormai sgualcita
fuori dalla gonna e sul viso tatuato di rossetto. Appena
entrati nel locale cercai di ripararmi dagli sguardi
indiscreti degli altri clienti dietro un paio di
occhiali neri provocando l’effetto opposto.
Attraversammo le piccole sale tra file di occhi curiosi
accompagnati da un uomo che c’indicò cortese il tavolo
prenotato. Dovetti rifare tutto il percorso a ritroso
per guadagnare la toilette.
Tornai al tavolo e
mi accorsi sorpresa che Dario non era solo. Un uomo di
50 anni abbondanti occupava il posto vicino al mio.
Anche se non lo avevo mai visto lo riconobbi
immediatamente! Era l’uomo delle nostre fantasie
ricorrenti, il compagno dei nostri giochi che ogni sera
mi prendeva anima e corpo. Non aveva un nome, ma entrava
ed usciva come un amico di famiglia saziando oltre il
lecito i nostri capricci erotici. Avevamo fatto l’amore
in balcone e sopra il binario morto di una ferrovia, mi
aveva presa nel bagno della scuola quando avevo
quattordici anni e sul piazzale di un autogrill, ma mai
in un locale così affollato di un comune sabato sera. Mi
ricordo la volta che lo facemmo durante il cenone di
Capodanno. Mi ricordo che quella volta fu sbrigativo e
cafone, aveva fretta e non aspettò neanche mezzanotte
perché doveva correre da un’altra amante trascurando
l’inestimabile dono che gli avevo appena offerto.
Insomma io e Dario avevamo una fantasia molto fervida e
le nostre storie diventavano sera dopo sera sempre più
ricche di particolari.
Ecco ora era lì presente!
E come nei nostri sogni non mi diede il tempo di avere
vergogna, di mostrare quel briciolo atavico d’imbarazzo
che ci distingue e ci identifica come donne. Mentre
parlava del più e del meno con Dario, sfacciato e deciso
non perse tempo ed io sentii inconfondibile, la sua mano
esperta e per niente anonima infilarsi segreta sotto la
mia gonna e lungo le pieghe delle mie calze da signora.
Il percorso fu breve ma intenso, e tra gli elastici e i
fiocchetti guadagnò l’obbiettivo con estrema facilità.
Incredibilmente era la stessa mano del sogno ed io
riconobbi immediatamente i calli e quel leggero tremore
per guadagnarsi l’entrata, lo sentii risalire la
corrente fino alla sorgente del mio bisogno, scavando
solchi indelebili di vera impudenza sotto il tavolo.
Ovvio non chiese permesso e mai me lo sarei
aspettato! Non accennò ad un minimo di cortesia, anzi
salì deciso verso la mia passione che lievitata per ore
non poteva trovare di meglio. Pensai quanto
quell’effusione di Dario sul taxi fosse stata sincera o
solo un preliminare per prepararmi a dovere. Cercai una
posizione più comoda al riparo della tovaglia e, per
quell’imbarazzo di prima, dagli occhi di mio marito.
Cercai di agevolare la sua mano ma era troppo esperto
per aver bisogno di aiuto, sapeva cosa fare e come fare
per spingere una donna verso la via del non ritorno.
Dario continuava a parlare, ma sapeva cosa stesse
succedendo sotto quel tavolo, lo intuiva dal mio
sguardo, dal fatto che ancora non avevo detto mezza
parola. Per me era una cosa nuova, un desiderio
finalmente realizzato ma non avevo previsto che un
attimo dopo, quasi per magia, le mie mutandine nere di
pizzo trasparente giacevano per incanto sopra la
tovaglia gialla. Sorrisi dall’imbarazzo, ma
quell’impalpabile stoffa, quel simbolo decisamente
erotico adagiato tra due calici di vino rosso si
caricava di un inestimabile significato trasgressivo
istigando ancora di più il mio, nostro, insaziabile
desiderio.
Ora era davvero al centro di quella
serata, e il mio intraprendete vicino di tavolo con
studiata freddezza mi sollevò la gonna arrotolandola
fino ai fianchi, ero ormai praticamente nuda con il solo
e prezioso tovagliolo sopra le gambe che a qual punto
risultava essere l’ultimo baluardo del mio barcollante
pudore. Dario continuava a fissare la scena, godendo al
pensarmi così lasciva e disponibile in balia di un
anonimo signore che, per mia scelta, non incontrava
ostacoli e proseguiva il suo lavoro, mantenendo vivo
l’ardore, sapientemente preparato da Dario stesso, ora
sì che ne ero convinta, qualche ora prima davanti allo
specchio e tenuto vivo nel taxi. Poco dopo mi sentii
ancora più leggera al cospetto del cameriere che
reclamava un dessert di nostro gradimento. Il compagno
prezioso dei nostri giochi non si fece scappare
l’occasione e magicamente fece cadere il tovagliolo
sganciandomi nel contempo con maestria l’unico bottone
della mia gonna a pieghe. Non reagii, anzi, ormai
immersa nel gioco, accavallai le gambe preoccupata solo
che la tovaglia gialla non coprisse la visuale del mio
ormai finto imbarazzo.
Nelle lunghe notti
d’amore, Dario mi diceva spesso quanto fosse assurdo che
altri non potessero vedere la mia bellezza e quanto
peccato non mostrare la sua donna che solo lui si
portava a letto. Ecco, era giunto il momento, ora ero
lì, accontentando il mio uomo e l’amico delle nostre
fantasie. A quel punto chiesi al cameriere che non
credeva ai suoi occhi di versarmi del vino e
contemporaneamente con fare spigliato riguadagnai il mio
fascino e la mia sicurezza.
Ancora oggi, quando
ci ripenso, m’illudo che da quella posizione nessuno
avrebbe potuto scorgere alcunché suffragando l’incerta
teoria con la lunghezza della tovaglia abbondantemente
sopra le mie gambe, le foglie di aspidistra dentro la
fioriera e l’imperturbabile sguardo del cameriere che,
forse, facendo leva su una dose eccessiva di
professionalità ci portò il dessert, il caffè, il conto
ed il soprabito come se niente fosse accaduto.
Ma
io ero ancora in attesa, nuda e coperta dai soli
elastici del mio reggicalze usato, in preda ai sensi che
offuscavano la mente e le più elementari norme di
comportamento. Non sapevo cosa stessi aspettando, non
riuscivo ad immaginare le loro intenzioni e neanche cosa
potesse portarmi alla ragione in quel luogo così
affollato. Sentivo mille occhi sopra la mia sensualità,
sopra il filo dei miei pensieri evidenti e nudi. Dario e
il nostro amico oramai invisibile si scambiarono sguardi
d’intesa e per gonfiare la mia eccitazione con cinico e
spietato disegno si mostrarono indifferenti alla scena,
come se nulla stesse succedendo. Non avevo scelta, mai
avrei potuto alzarmi in quello stato, mai avrei
guadagnato l’uscita senza l’aiuto dei miei due
sfruttatori di desideri inappagati. Capii le loro
intenzioni che andavano oltre quelle carnali e le
assecondai alzandomi i piedi. Insaccai la gonna dentro
la borsa e presi il cappotto porgendolo a Dario.
La sala era ormai deserta, presi tutto il coraggio a
disposizione e in quello stato iniziai a camminare lungo
il corridoio dell’indecenza tra le due file di camerieri
allibiti. Seguita a distanza dallo sguardo del mio uomo
e del suo amico invisibile, allungai i passi ed alzai la
testa, e come una modella mi sentii fiera di aver
incollato sul mio corpo tutti gli sguardi disponibili.
Nella mia mente correvano solo riconoscenza e
gratitudine verso colui che mi aveva fatto sentire così
bella, e per la prima volta mi sentii davvero unica e
inarrivabile perché, schiava di un desiderio, ne stavo
uscendo a passi maestosi verso la consapevolezza di
procurare finalmente piacere. Nessuno parlò, nessuno
tentò di fermarmi. Mi contemplavano muti come se
stessero assistendo ad un miracolo ed io fossi la loro
Dea. Solo lo strusciare della trama delle mie calze
riempì orgoglioso quel silenzio. Ad ogni passo lievitava
il mio piacere e ad ogni passo lo sentivo defluire nei
meandri della mia soddisfazione avvertendo con sorpresa
e soprattutto cosciente che grazie al mio uomo, quella
sera, avrei fatto a meno di lui.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
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