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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO 
LIBERAEVA
In cerca di me stessa
"Piove, ma io
non ho riparo, guardo quella donna vestita identica al mio sogno e
mi faccio tenerezza, pensando che anch’io ho perso il treno per una
notte, ho perso le ali per tante volte"
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Photo Desiree Mattsson
Di fuori è freddo e pioggia all’improvviso e tira un
vento che mi porta via come queste foglie e cartacce di
una strada in discesa che appena conosco. C’è una donna
seduta sul bordo del marciapiede che si copre il viso ed
ha con sé un ombrello a scacchi e si ripara dalle
insidie che in agguato affollano la notte. La guardo,
chiede al vento di asciugargli gli occhi e intanto li
chiude e li tiene stretti stretti, ma il rossetto si è
sbiadito e il trucco di matita lascia tanti rivoli neri,
tante ore nel bagno, ma le si sta sciogliendo, se ne sta
andando. Ed io che mi chiedo, ma come mai? Ed io che mi
chiedo perché proprio a lei? Per quale strano motivo il
destino ha voluto che la incontrassi?
E resto lì
come una scema senza dire parole, perché ho paura,
perché non si sa mai cosa mai potrebbe capitarmi. Perché
non so chi sia lei, o forse sì, ma non voglio crederci.
Faccio per andare, e allora mi m’avvolgo nella mia
mantella nera e mi proteggo da questo vento che mi
gonfia la gonna e m’ingrossa la gola e s’infiltra
subdolo tra i miei nudi come fosse un intenso fastidio
delle tante ragioni che mi vorrebbero altrove. Mi sento
smarrita, non ricordo dove ho lasciato la macchina e
come sono capitata in questo buco di mondo.
Piove, ma io non ho riparo, guardo quella donna vestita
identica a me e mi faccio tenerezza, pensando che
anch’io ho perso il treno per una notte, ho perso le ali
per tante volte quando i giorni passano e le ore si
dividono in serate che t’illudono e si moltiplicano in
sogni che restano dentro il letto, portandosi appresso
insoddisfazioni e il senso atavico d’incompiuto. Mi
rassicuro e mi convinco, ma intanto la pioggia cade
ancora più fitta e sta bagnando un’altra notte, e spegne
decisa un desiderio, di quest’ombra che non sa chi sia,
non sa cosa vorrebbe essere. “Sono tre notti che la
manda giù.” Mi sussurra sottovoce quando le passo a
fianco. La guardo, le sorrido, più per imbarazzo che per
vera cortesia. Non mi fa naturale vedere una donna che
mi somiglia, non riesco proprio a digerire la pena che
l’affligge.
D’un fiato mi dice di chiamarsi Eva
ed un ricordo le batte forte tra le mani, che il tempo
ha sgranato come sabbia in un pugno. E’ vero, come il
bordo della calza che gli spunta dalla gonna, vizioso
come il nastro viola che gli lega i capelli e finto come
quel rossetto che sborda le sue labbra, come quei
capelli biondi di un finto platino impossibile.
S’accorge che la guardo, che non è certo un bel
guardare. Ha il seno piccolo come il mio, un neo
sulla guancia nella stessa posizione, incerta ora
indugia nella notte, sopra un marciapiede scarno di
clienti, raccoglie le sue ciglia tra le file di lampioni
che corrono orinati che corrono altrove. Avrà
trent’anni, più o meno i miei, ed è bella come donna che
non chiede di essere se stessa, come due occhi di
speranza che guardano fissi nel vuoto, come una donna
che inganna e s’inganna di essere altro. Sì è bella
penso, se sono non fosse vestita così, ma i suoi occhi
la tradiscono, perché troppo marcati e sfumati come un
voto alla luna.
La vedo ondeggiare mentre
s’allontana tra le maglie dei pensieri, tra le righe
della luce che si adagiano sui suoi vestiti come veli.
S’attarda nella notte barcollando sui suoi tacchi
inesperti in cerca del suo sogno dove si ammassano
clienti che sono il suo futuro, l’unico scopo che a
quest’ora può raggiungere senza sforzo. Qualcuno
s’avvicina, ma riparte poco dopo, spaventato da quelle
labbra rigonfie che sanno più di delirio che d’amore a
pagamento. Poi mi dice guardandomi dritta negli occhi:
“Se le fa piacere possiamo fare due passi.”
Piove, e intanto piove ancora, e mi offre il suo
ombrello. “Ma dove avrò messo la macchina?” Ora non
posso più sottrarmi, non ho più pretesti ed accetto il
suo invito. E’ vicina a me e sento il suo profumo,
appiccicoso e grasso come olio di oliva, smielato come
latte in polvere. Scivoliamo lungo il viale verso le
luci della città, ora la strada non è più deserta e
qualcuno incredulo ci guarda di sfuggita. Sono a disagio
e lei se ne accorge, i miei tacchi hanno preso la stessa
andatura dei suoi stivali di vernice rossa, del suo
ancheggiamento che mi sfiora il fianco ad ogni passo.
“Cosa direbbe mio marito se mi vedesse ora? Sotto un
ombrello di una donna che mi assomiglia nel pieno della
notte!”
Chissà quale sia il suo vero nome, se le
ho detto di chiamarmi Eva prima di dirmi il suo e poi
chissà se come me sta cercando la sua libertà perché nel
letto di casa, ogni notte, mi arrendo sempre più tardi,
aggrappandomi a fantasie affollate di maschi che mi
pretendono, mentre lui mi stringe la faccia e asciuga il
mio sudore. Certo lui lo sa e allora mi chiama per nome,
e mi chiama amore, e mi sussurra che non è niente e che
devo stare calma e non aver paura, sperando che quella
folla non si stanchi e che regga al mio desiderio fino
all’ultimo respiro, fino all’ultimo della coda mentre mi
sbatte col suo martello di ferro sodo sopra l’incudine
del mio sesso. Poi lui urla fino ad arrivare al suo
orgasmo distante dal mio vuoto, dai miei occhi di
femmina inappagata, colma di superfluo e vuota di
ragione.
Cerco di distogliere i pensieri
concentrandomi sulle macchine parcheggiate. “Dove l’avrò
messa?” Lei vorrebbe defilarsi illudendosi che altri
clienti la stanno aspettando. Cerco di trattenerla
ancora un momento, giusto un momento per rendermi conto
dove sia finita la ragione. Ma oramai è tardi e la vedo
risalire la strada, vorrebbe raggiungere le colleghe
che, come questa pioggia fitta, s’annidano dense attorno
a quei lampioni. Ma poi ci ripensa ed insicura sopra
quei tacchi torna indietro. “Signora, io saprei dove ha
messo la sua macchina!”
La guardo incredula, ma
seguo ad occhi chiusi la sua scia di peccato e profumo.
Entriamo in un parcheggio e fa finta di cercarla, il
rumore dei suoi stivali rossi strusciano la strada. Tra
due macchine parcheggiate mi solleva la gonna, il mio
intimo è proprio identico al suo, stessa taglia, stessa
merceria, stessa illusione. Ora mi bacia, sento lo
stesso odore, lo stesso modo di baciare. Il suo
desiderio mi riempie e mi rivolta, vorrei gridarle che
il riflesso di uno specchio non sarebbe così tanto
somigliante. Sento il suo cuore battere come il mio. I
suoi baci m’appagano e mi zittiscono fino a che un urlo
più forte non mi raschia nel fondo.
Ora è tutto
finito, saliamo in macchina. Le nostre mani
s’intrecciano pervase da tenerezza, accendo il motore e
vado, sono quasi felice di non essere sola, le parlo e
lei mi risponde, la sua mano si insinua tra le mie
cosce, poi risale fino al mio piacere, la sento e la
desidero, la sento e m'appaga, come se conoscesse alla
perfezione i miei umori, i miei desideri, finchè il
rumore di un clacson distante mi desta. Giro lo sguardo
sul sedile di fianco e mi accorgo che è penosamente
vuoto.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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