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LiberaEva
La cappellaia di Via
del Tritone
"Ci sono dei giorni che passano interi,
ed altri spaiati che s’appiccicano insieme,
cuciti con l’ago del tempo che passa..."
Ci sono dei giorni che passano interi, ed
altri spaiati che s’appiccicano insieme, cucite con l’ago del tempo che
passa, col filo d’amaro che un altro è passato, per nulla sorpresa che sia
arrivata la sera, col desiderio di stare già dentro in un letto, e il
bisogno infinito che venga la notte, oltre i tacchi, la strada e sei
fermate di metro, che lente mi lasciano una voragine dentro, che veloci mi
scavano e faccio fatica a riempire, nonostante questo libro a portata di
mano, che parla di prìncipi, fate e d’amore, e alle volte davvero mi sento
di avere, i capelli più biondi e gli occhi turchesi.
Ci sono dei
giorni che nemmeno riesco, a vendere ad un inglese un Borsalino di feltro
o un Panama intrecciato con fibre di palma, che viene da Quito ed è un
amore indossarlo. La padrona mi dice che devo metterci il cuore, che la
vendita è un’arte come se offrissi me stessa, perché l’importante è ciò
che si vede, ed un cappello non è solo un pezzo di stoffa, ma proietta il
cliente negli occhi degli altri, come fosse uno specchio dell’anima
dentro.
Ci sono dei giorni che mi sento sicura, che sorrido agli
odori, ai rumori di Roma, mentre cammino per via del Tritone, e mi fermo
nel bar dove son buoni i cornetti. Sono caldi e fragranti e sanno di pane,
e al solito mezzo va in bocca a Sceriffo, che fuori m’aspetta e muove la
coda. Poi mi segue fino al marciapiede di fronte, quando scambio due
parole con il fioraio egiziano, che lo so che ci prova e mi chiama
signora, e se davvero volessi mi riempirebbe di rose, un giardino di fiori
per un paio di tette. Ogni volta mi allontano e sento i suoi occhi, che
s’adagiano ingordi sopra i miei fianchi, sulla gonna leggera che danza sui
tacchi, lasciando al suo sguardo una voglia sospesa.
Certo che lo
so e per questo cammino, fino all’edicola dove compro il giornale, tra i
tetti di Roma neri e spioventi, dove fragile spunta uno spicchio di sole,
che mi bacia le labbra e mi scalda le tette, come fosse un amante la prima
volta che esco, e rimane attaccato dalle parti del cuore. Sì che mi vedo
bella e sul serio lo penso, quando mi guardo in penombra sui vetri, perché
la sera è lontana e davanti c’è il giorno, un giorno diverso con una luce
d’azzurro, identica a quella che aspetto da sempre, che m’illumina dove
nutre i miei sogni, un uomo e un cappello che mi sorridono appena, magari
con un Trinity bianco di lino, ed io che ci spero che si faccia più
avanti, magari stasera un invito e una cena, magari domani per Villa
Borghese, a passeggio per mano e la ghiaia che struscia, perché aspetto
quel giorno e lo so che è vicino, che un uomo stupendo mi inviti per cena,
che un principe azzurro mi faccia la corte, ed io finalmente non torno a
casa da sola.
Alle volte mi sembra di esser io la padrona, che apre
il negozio alle 10 passate, e saluta la commessa del negozio vicino, che
vende le scarpe che mi fanno sognare. All’ora di pranzo sogniamo poi
insieme, entro e ne provo quelle più alte, e mi specchio davanti e mi
guardo di lato, perché nei miei sogni non manca il dettaglio, di una
scarpa da sera che mi sfini le gambe, di un tacco importante che slanci il
mio corpo, mentre rido contenta e m’appago all’idea, e mi prometto
convinta che quando sarà, sarò pronta e perfetta e di sicuro non scalza.
Quando sarà, di sera o di giorno, che possa apparire bella elegante, con
un vestito da sogno e una scollatura leggera, coi i capelli raccolti per
mostrare il mio viso, gli occhi che dicono che sono una perla, le labbra,
la bocca per sorridere tanto, oppure con un Winter rosso e visiera, e
crederci sicura che finalmente sia giunto, quel giorno schiacciato dal
peso degli anni.
Se davvero sarà non voglio che sia, un normale
cliente che ha visto in vetrina, un cappello di Trilby magari gessato, ma
che abbia intravisto tra i vetri da fuori, una donna elegante che fa la
commessa, che solo per sbaglio sta vendendo cappelli, ma dentro ha un
mondo a forma di cuore, che batte e che sogna e lo stava aspettando. Se
davvero sarà che mi porti nel cuore, se davvero non può o magari è
sposato, o magari è straniero con un aereo che aspetta, e mi scrive
messaggi dalla sua villa di Londra, perché cosa ci farei di un amore
qualunque, di un fioraio che offre le rose che vende?
Se davvero
sarà lo voglio importante, che mi suggerisca parole se mi vede impacciata,
per dirmi che m’ama e m’ama davvero, e la sera m’aiuta ad abbassar la
serranda, ed ha lasciato la sua auto a pochi metri di strada. Quella sera
che bello non prendo la metro, quelle fermate che mi scavano il vuoto, e
non devo crucciarmi se non apro il mio libro, se solo una volta non leggo
parole, ma sento le frasi di voci e respiri, di carezze a vapore che
muovono dentro, e sono maschili e mi riempiono dove, l’attesa di sempre ha
lasciato posto all’amore.
Alle volte ci credo che sia giovane e
bello, che abbia negli occhi la voglia di vita, che sa per certo che a
quarant’anni, una donna si sente ancora giovane dentro. Alle volte mi
chiedo se è lecito ancora, rimandare ogni incontro per ottenere di meglio,
e di notte m’immergo a fantasticare due braccia, in una nuvola bianca che
mi faccia cullare, in una nuvola nera dove mi sento più donna.
Nel
sogno lo vedo che mi guarda e poi entra, da quella vetrina e dice il suo
nome, perché lui già sa come mi chiamo, e conosce a memoria quello che
penso, e conosce ogni riga del libro che leggo, i dubbi che covo dentro il
mio petto, i fiori che apprezzo, i colori che amo. Lui già sa quante notti
ho pianto, e quante ho riso senza nessuna ragione, le amarezze infinite
che mi imbracano il cuore, le albe svanite prima dei sogni, ma stavolta è
diverso lui s’accorge e mi chiede, cosa mi cruccia nel sentirmi da sola,
quanto mi pesa la strada al ritorno, le sei fermate di metro che mi
portano dritta, nell’unico posto dove non vorrei tornare.
Ma oggi
è diverso e mi sento più bella, perché lui sa già che non cerco promesse,
che dica soltanto che mi offre un passaggio, per chiudere gli occhi e
sentire la scia, d’un dopobarba che scava solchi nel cuore, d’un viso che
raspa le mie labbra protese. Se davvero sarà che m’illuda per bene, che
non ho bisogno di un libro per addormentarmi la sera, che forse una cena
in un ristorante di lusso, a guardarsi negli occhi e sfiorarsi le bocche,
perché le parole hanno un verso soltanto, se parlano d’anima e il resto
non conta. E se poi succede che sia la notte più intensa, e l’alba domani
non rischiari le facce, ma solo un cuscino ai piedi del letto, ma solo un
biglietto che leggo sola al risveglio. Perché davvero ne sono convinta, e
chi mi guarda da fuori non può immaginare, cosa c’è dentro la mia pelle
che freme, cosa c’è sotto i miei capelli a caschetto.
E leggo e
rileggo quel pezzo di carta, che sarà il segnalibro del prossimo giorno,
che sarà il mio specchio quando mi sento depressa, con poche parole che
sanno d’amore, forse un ti amo, un ti adoro deciso, un indelebile sogno
vissuto davvero. Le leggo e rileggo per essere certa, quanti baci ci sono
dentro una notte, e quanti voluti e quanti promessi, e quanti ne ho dati a
coppie e spaiati, quanti ne porta lui allibito nel cuore, perché mai e poi
mai lui ci avrebbe creduto, quante ore ci sono dentro una notte, e quanto
amore può offrire una commessa, che vende cappelli su via del Tritone. |
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COMPLETA DI ALINA RUSU
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo Alina Rusu
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