Sarà che ogni notte lei si arrende più tardi, e
nel suo sogno poi vengono uomini in tanti, che le fanno la corte e lei che
sorride, e la chiamano amore come se davvero lo fosse. Sarà che sto
sveglio e la sento che geme, e le guardo la faccia, i suoi seni ripieni,
duri appuntiti come se fossero brocche, per dissetare le bocche, che aspettano il turno e la
prendono insieme.
Sarà che si muove come se avesse catene, o due
uomini ai lati la tenessero ferma, e lei con i fianchi che spinge e che
preme, a catturare gli uccelli che volteggiano in aria. Sono rondini nere
che garriscono fitte, sotto nuvole basse che minacciano pioggia, ed ognuna
di loro è una minaccia e un insulto, un sesso invitante che stasera
s’inoltra.
Sto zitto e la vedo che rilassa la pelle, rasserena il
suo viso come se avesse deciso, chi sia il prescelto, a chi dare le
grazie, a un cavaliere che ha vinto la sfida di
morte, per essere lui il candidato del letto. Lo vedo che ora la governa e
la doma, la rivolta e la sporca come un cencio di casa, perché le sue
labbra si spalanchino a velo, come un fiore si schiude al primo bacio di
sole.
Sarà che poi si ferma per qualche secondo, come se ne
aspettasse un altro diverso, ancora più grande che cerca un’alcova, come
un nido di cicogna in Marocco a dicembre. Sento il suo profumo di olio di
noce, il suo nettare denso di resina e miele, che esce fumante come grasso appagato, ed allora in silenzio scorro il
suo corpo, m'avvicino leggero perché non si desti, fino a che la mia bocca ne assapora l’essenza.
Sento il
suo odore che terroso m’avvolge, quel ruscello bollente che sgorga dal
fondo, come acqua sulfurea, come prova d’amore, dove da sempre non sono
invitato. Succhio e la bevo, ma non voglio svegliarla, perché sia mai che
me ne possa privare, di quei residui caldi che fluiscono a fiotti, di quei
sapori diversi di maschi ormai sazi.
La misuro e l’assaggio per
indovinare il percorso, il luogo stasera dove ha fatto l’amore, e quanti
ne ha presi singoli o doppi, e come l’ha fatto in ginocchio o distesa.
Chissà se all’aperto, nascosta tra i rovi, o in un letto di aghi all’ombra
dei pini, oppure una casa all’ultimo piano, una parete a vetrata che
guarda sui tetti.
La sento che parla, che sussurra velata, parole
che solo hanno un senso di notte, d’avanzi di strada, di fuochi all’aperto,
d’inverni passati a riscaldare la merce. La sento, la vedo ed è tutto
permesso, perché nel suo sogno non ci sono soffitti, perché sta volando e
non ha bisogno di aerei, ma basta alle volte agitare le braccia.
Ogni tanto un sapore che ritorna violento, è grasso più denso e profuma di
more, come fosse di uomo, sempre lo stesso, l’unico in grado di farla
godere. Le vedo le unghie che si curvano al tatto, che graffiano la pelle
dell’inguine interno, poi sospese si spostano senza toccare, come fosse un
peccato planare nel mezzo.
Le vedo le dita che s’accartocciano a
pugno, come se l’uomo l’avesse già presa, e lei che lo aiuta a sfamare il
bisogno, a rabbonire la parte dove nasce l’istinto. Sarà che poi geme, che
fiata e che soffia, a cadenza precisa che spacca il secondo, come fosse la
misura del sesso che entra, e formasse una bolla di vuoto che esce.
La vedo alle volte che tiene e trattiene, ed altre s’impunta e
s’imperla la fronte, ma caparbia si cerca s’accanisce e si spreme, fino
all’ultima goccia che a fatica compare. Alle volte mi chiedo se ogni tanto
mi sogna, se sono quell’uomo che le addensa l’orgasmo, se solo nel sogno
mi ricompone la faccia, che di giorno rimane frastagliata ai suoi occhi.
Muto la chiamo perché se ne accorga, perché lei sia libera ed io in
disparte, a contemplarla nel sogno finché l’alba si schiara, ad
accontentarmi di spiccioli come resto dovuto. Alle volte mi chiedo se
dorme davvero, se nel gioco poi finge e diviene reale, perché è l’unico
amore che la soddisfa e la sazia, perché sveglia dovrebbe concedersi
oltre.
Lei non vuole, non l’abbiamo mai fatto, le nostre notti sono
colme di baci e parole, sono fiati e calore che si cuciono stretti, e il
sonno ci prende lasciandoci intatti. Ogni volta succede che la bacio e la
copro, perché dorma il suo sonno fino all’alba domani, perché sia mai che
possa scoprirlo, e il sogno evidente arrossisca il suo viso.
Sarà
che non voglio che mai possa accadere, ritrovarmi domani e altre sere da
solo, a guardarla che dorme, che dorme davvero, ed io che rimango a
fissare il soffitto. Poi di colpo il silenzio e spengo la luce, nel sonno
profondo non chiede più altro, ed io che la guardo, sia mai che la tocchi,
e felice le bacio il suo viso sereno, e l’accarezzo un instante
ringraziando quel Cielo, d’avermi dato per sempre l’amore più bello.
FINE