Mi guardo allo specchio come se mi stesse
spiando, come se da questi riflessi apparisse il suo viso, che mi coglie
incompleta con un solo occhio truccato, e mi dice sprezzante che mille
altre più belle, lo stanno aspettando e non vedono l’ora, con un trucco
perfetto allungato a farfalla, con due labbra che chiedono di farsi
sgualcire. Mi dice e ripete che sono malfatta, che è inutile aspettarlo su
questo piazzale, se poi gli rubo minuti preziosi, se non trovo uno
straccio di tempo nel giorno, per farmi più bella da qualche altra parte.
Evito di fare smorfie e boccacce, perché sia mai che una ruga spuntasse,
mentre mi carico di rossetto le labbra, che se solo potessi andrei dove
vuole, fino a sporcarmi le mutande più sotto, ed abbellirmi la parte che
solo l’attira.
Passano minuti e cresce l’angoscia, di non essere
pronta di non essere al meglio, m’annuso frenetica mi fiuto la pelle,
cercando tra le pieghe il minimo odore, che non sia profumo fragranza di
fiore, maledicendo questo sole che arroventa il sedile, e mi fa sudare
all’inguine e sotto le ascelle.
Mi fa rabbia pensare che quando mi
guarda, io non possa vedermi e coprire i difetti, e non posso aggiustare
la mia bocca che parla, che fuma e fa sesso e quando fa finta, d’arrossire
bugiarda alle sue parole volgari, che se solo una volta non pronunciasse
per niente, gli chiederei davvero il motivo e per come, battendomi il
petto persuasa e sicura, di non essere ormai la sua preferita.
Vorrei
portare per sempre uno specchio, e vedere i miei occhi quanto sono
sinceri, quando convinta gli dico che l’amo, quando spalanco le palpebre
immobile, sperando che lui sostenga il mio sguardo, e possa vederci
l’anima in fiamme, la stessa che vede tra le mie gambe.
Alle volte
mi chiedo perché mi sono ridotta, ad aspettarlo impaziente su questo
piazzale, contando i minuti come se fossero battiti, come se fossero tonfi
ad ogni colore, auto o camion che mi passano accanto. Non ho altro da
barattare che la mia insicurezza, il timore di perderlo e non spiegarmi il
motivo, perché per nient’altro potrei trattenerlo, visto che da mesi gli è
tutto dovuto, visto che la bellezza non è un mio punto a favore, perché
davvero ne avrebbe se solo volesse, così mi dice ed io ci credo e mi sento
più persa. Mi sorprendo a pensare come potrebbe essere il mondo, senza di
lui la mia ansia e l’attesa, quanto sarebbe insopportabile il resto, mio
marito, la casa, i figli, la scuola, e quanto sacrificio dovrei mettere
ancora, per far sì che un giorno arrivi alla fine.
Mi domando se il
cielo sarebbe azzurro lo stesso e le ore che scorrono avrebbero un senso,
come ora dentro quest’auto calda, rapita e convinta dal solo pensiero, che
accetto che covo e ne sento l’ebbrezza, che nessun altro che passa tra
quelli che vedo, avrebbe il potere di riempirmi di gioia. Mi chiedo se
questa crema sarebbe la stessa, se questo smalto riflettesse alla luce,
perché ogni cosa mi fa sentire importante, mi fa sentire che poi non manca
poi tanto, che è solo un incubo e lui sta arrivando, che lui è già qui a
soli due passi, e si fa aspettare perché più s’allunga l’attesa, più mi
convinco davvero d’amarlo, ed appena lo vedo gli salterò addosso, aperta
ai suoi baci che già sento bollenti.
In questi momenti non riesco a
pensare, che sono sposata e madre di figli, ed ogni mattina saluto la
suora, e chiedo apprensiva come vanno i miei bimbi. Non riesco a pensarmi
quando in ciabatte, preparo la cena e li metto a dormire, che sono
sorella, una figlia, un’amica, e mi sono persa un pomeriggio lontano,
tornando a casa su questa autostrada, con la macchina in panne e il
telefono rotto. Non avevo altra scelta che chiedere aiuto, a due mani
possenti di carne e di grasso, che ora m’aggiustano anima e corpo, e mi
danno benzina ovunque ne chieda.
Ora mi domando per quale ragione,
subito dopo gli abbia scritto su un foglio, un numero, un nome, per
ringraziarlo, per quale ragione sia scattata la molla, che se davvero la
cercassi convinta, sarebbe più logico trovarla altrove, sicuramente
lontano da questo piazzale, dentro il suo camion che tra poco rivedo, dove
mai e poi mai avrei voluto montare, ed ora invece è tutto quello che
voglio, il posto più comodo dove mai sia stata, dove mai davvero abbia
fatto l’amore. Pensandoci mi si offusca al confronto, una villa sul lago
con una finestra di fronte, spalancata ai riflessi di un’acqua di notte,
oppure una cena in una suite di Roma, davanti ad uomo di classe e cultura,
che voleva sposarmi e me l’ha chiesto più volte, e per nessuna ragione
m’avrebbe toccata, ma io tremante lo scongiuravo d’andare, e per anni e
anni ne ho subito il rimpianto.
Come una sfrattata aspetto il suo
camion, che svolta veloce e poi frena a secco, su questo piazzale pieno di
gente, che fa spese ed ignora quanto amore si provi, all’interno di un
camion a due passi soltanto, e quanto per me siano ormai indispensabili, i
suoi tatuaggi sul braccio e la gamba e che la prima volta al solo
guardarli, m’hanno fatto a dir poco senso e ribrezzo. Cosa c’entrava lui
nella mia vita? Che ci fa ora dentro il mio cuore, che sgonfia e rigonfia
che buca e rattoppa, come un qualsiasi pneumatico che consuma ogni giorno.
Che ci fa dentro queste mani che sudano, e si stringono a pugni e
colpiscono aria, al solo pensare che una semplice donna, potrebbe di colpo
portarmelo via, una squallida gonna lasciarmi in attesa, per ora o per
sempre tanto non cambia. Mi fa impazzire l’idea di essere nulla, se per
caso incontrasse una donna più bella, e quanto tutto sia lasciato alla
sorte, alla fragile idea che lui debba venire, perché ho belle gambe e
faccio bene l’amore, perché gliela offro senza il minimo sforzo, o magari
perché m’ha giurato bugiardo, che nessun’altro rossetto gli ha mai sbafato
la voglia.
M’ha chiamata il giorno stesso e il giorno seguente, ma
le sue parole non erano fluide, i suoi verbi confusi tra congiuntivi e
presenti, ma sufficienti a schiarirmi il ricordo e il bisogno, di quelle
braccia possenti di muscoli e grasso, che trafficavano esperte dentro il
motore. Sorpresa ho indugiato davanti all’armadio, perché di colpo non
avevo vestiti, cercando tra i miei trucchi il colore più adatto, al mio
sangue che fluiva senza inventarsi pretesti, o complicarsi la vita
cercando ragioni. Ero lì bella e pronta per quando avrebbe voluto, per
quando si fosse appunto deciso, come un letto d’albergo il primo giorno di
miele, come tomba che aspetta vuota d’ogni buon senso.
Poi di
colpo una chiamata pressante, di quelle che ti trascinano via, esattamente
nel posto dove lui ha voluto, sotto l’unico albero dove ora l’aspetto. Da
quell’istante solo ore e minuti perché i giorni li avevo riempiti,
nell’attesa che lui mi chiedesse di uscire, nell’arrendermi al pensare ed
esserne certa, che nessun’altro uomo avrebbe mai invertito, il verso
scomposto del mio sangue più caldo.
Fu esattamente uguale al mio
sogno, identico alla mia voglia che s’accucciava alla forza, ringraziando
Dio per avermi fatta precisa, perfetta e capiente a quella natura, che a
malapena riuscivo a seguire, a concedermi attimi per rifiatare, e secondi
per spalancare i miei occhi, dandogli tutta la riconoscenza infinita, che
in quella passione sentivo di dare. E dentro mi scardinava le viscere, mi
rimescolava i pensieri, dubbi e certezze, fino a sentirlo dove non c’era
più sesso, ma un’enorme caverna a forma di cuore.
Ora sono qui in
ansia su questo piazzale, ho paura che non venga che mi lasci qui sola,
perché sono gelosa e vorrei passarci ogni notte, perché il solo pensare
che possa inumidirsi di un’altra, che possa ascoltare altre grida d’amore,
mi fiacca le gambe e deprime il mio seno.
Sono qui a volare più basso,
dove la convinzione è diventata speranza, che almeno non si dimentichi
della mia faccia, che ogni dieci minuti si rifà il trucco e cambia
opinione, felice di vederlo che arriva e m’invita, su quel camion che non
vedo arrivare, quell’alcova ambulante che mi ha sentito abbaiare,
miagolare, nitrire tra quelle coperte, che m’attutivano i colpi e
m’indebolivano i sensi.
Guardo fuori ed è un giorno senza sogno,
uno di quelli che va tutto di traverso, e la luna ci ha messo del suo,
puntuale da vent’anni come ogni mese. Chissà se ora sto sprecando soltanto
minuti, se quest’attesa che gonfio non avrà nemmeno uno spillo, a forma di
camion di uomo di mani. Tremo al solo pensiero che non venga, che sia
tutto finito come quest’attimo ora, che se lo ripenso è già solo ricordo,
perché l’amore che passa è un attimo solo, ha l’odore denso che già
conosciamo, il sapore smielato delle fantasie di notte.
Perché
l’amore che passa aleggia senza contorni, e ogni giorno ci lascia il gusto
amaro della rinuncia. Sono grida indecenti d’un pomeriggio d’estate, su
questo piazzale pieno di gente, che mi guarda e mi scruta, sicura che
aspetto l’amore. Perché l’amore che passa, passa e non t’aspetta, e lo
guardi nel culo quando ormai è lontano, e ne assapori lo strascico che sa
d’abbandono. Ha le mani sporche di grasso che lasciano tracce, indelebili
e nere sopra i miei seni, sopra la gonna di lino leggera, ha i capelli di
grano e gli occhi di mare, che come fari t’illuminano i punti più oscuri,
ti denudano l’anima come fosse il tuo sesso, che nudo che vero vorrebbero
avere.
L’amore che passa ha la voce di uomo, che ti chiama volgare
e ti piace sentirtelo dire, e t’offende e t’inquina fino a penetrarti nel
cuore, e in qualsiasi parte che ostentavi pulita. Perché l’amore che passa
ti manda affanculo, e subito dopo ti bacia le scarpe, e ti lecca quel
posto dove tu mai metteresti la lingua, chiamandoti amore come se davvero
lo fosse. E’ come uno sputo denso di rabbia, è un uomo che picchia una
donna che graffia. L’amore che passa porta con se una valigia, di ciondoli
e giochi di fuga improvvisa, che t’inebria come occhi rapiti da un circo,
ti rende leggera più di qualsiasi dieta, e sospinta dal vento ti scioglie
i capelli, lavati di giorno, pettinati ogni sera, senza che questo ti
costi fatica.
L’amore che passa, passa e non t’aspetta, non sta lì
a pregarti di prenderlo al volo, a domandarti se domani sarà un giorno
migliore, magari senza impegni, i figli, la scuola. Ti gonfia le labbra e
ti cambia la voce, e ti fa dire parole oscene e indecenti, che di notte
accompagni con un segno di croce. Ti trasforma in madre senza natura,
irriconoscente verso chiunque t’ami davvero, che non conosce altre mani,
che non conosce altro sesso, che non conosce altra bocca da dove ti lasci
succhiare, tutta la forza compreso il buon senso, quel briciolo di dignità
che ancora giuri di avere.
Perché l’amore che passa è un soffio di
vento, che diventa uragano e schiaccia case e famiglie, bimbi a quest’ora
che aspettano in ansia, per mano alla suora davanti al cancello. Perché
l’amore che passa è quest’angoscia alla gola, quest’attesa frenetica,
questo trucco che passo, che ripasso e poi cola in un vortice fitto, di
attimi intensi perduti nel nulla, di domani a quest’ora sullo stesso
piazzale, perché l’amore che passa è un’altra gonna che metto, fiorata e
più corta di lino leggera, i capelli che taglio e starò bene lo stesso, il
tacco più alto mi farà troppo più magra, perché l’amore che passa sono
istanti che vanno, sono i miei dubbi che non mi lasciano sola, una
macchina in panne o un camion per caso, su una strada qualunque in un
giorno feriale.
FINE