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LiberaEva
La poetessa
"Sarà che cammino a passi felpati, lungo i
sentieri di onde e di suoni, tra i tasti che
bagno di liquido denso, per sentirmi più
bella come vergine intatta, alla prima
parola oscena e più porca, che sento che scrivo
per provarne il disgusto, e ripeto e mi
piace sentirmela dire."
Photo Georgy
Chernyadyev
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Sono qui che cerco parole che scrivo, per
sentire che dentro c'è un anima viva, per illudermi ora che non serve
nient’altro, alle gambe civette che si muovono sole. Sono fatta di cuore
il resto non conta, mi convinco davvero che basta un racconto, un filo di
sensi appesi che sgrano, che ripeto ossessiva per lievitarmi dal fondo,
l’emozione che ingrossa il cuore e il silenzio.
La bocca, la fica? Sono
solo un dettaglio, che lascio a chiunque si voglia saziare, di labbra che
spalmo per sentirmi più bella, che gonfio al bisogno di uomini soli, che
avidi mangiano parole più unte, come luna mignotta che accoglie nel
ventre, gli uccelli notturni che volano sparsi, e s’aggrumano neri sui
rami pendenti.
Ma poi ci ritorno tra pause e punti, in un vicolo
cieco di sessi stipati, rifaccio la strada per sentire il fetore, di
maschi svuotati e tette a buon prezzo, come i miei seni quando vuota
m’ostino, a cucire parole che non saziano niente. Lascio che il vento mi
spinga e mi porti, in quei bordi di melma di uomini a frotte, che spargono
seme per godere di gusto, d’avermi sporcata nell’anima dentro, nel posto
distante dalla voglia che sento, dove mai una donna diventa una madre, e
un uomo che fotte non la guarda negli occhi.
Sarà che cammino a
passi felpati, lungo i sentieri di onde e di suoni, tra i tasti che bagno
di liquido denso, per sentirmi più bella come vergine intatta, alla prima
parola oscena e più porca, che sento che scrivo per provarne il disgusto,
e ripeto e mi piace sentirmela dire. Che scema che sono che m’illudo e ci
credo, d’esser poeta che scrive col cuore, d’essere un fiore al primo
ritardo, con l’ansia e la colpa al mattino segreta, che scruta una macchia
rossastra nel letto.
Ma di notte ritorno e passeggio precaria, e
struscio i miei tacchi sulle righe più nere, come bella di notte al primo
cliente, tremula porto una foglia di fico, che mi sbatte e mi copre gli
anni che conto, come cerchi perfetti nei cuori dei tronchi, nascondo agli
sguardi i miei petali rosa, di pelle arricciata che slarga nel mezzo, quel
nero che a vista dà senso e misura, di quanti negli anni ne sono passati.
Chi passa stanotte non avrebbe alcun dubbio, che quello che cerco è solo
sesso e nient’altro, per stiparmi la voglia e tapparla del tutto, fino ad
essere certa che neanche una bolla, d’aria e d’umore fuoriesca da dentro.
Chi passa stanotte! Ma chi vuoi che a quest’ora, abbia un sesso più
adatto, a comprendermi tutta e capirmi che in fondo, passeggio nei vicoli
di brividi caldi, nei labirinti dei sensi immaginati al bisogno, perché
cerco poesia che mi scaldi nel letto, che mi faccia sentire bucata nel
mezzo, foce di fiume di nettare denso, altrimenti a che serve colare
parole, se niente stasera le raccoglie e si sazia, s’imbratta la bocca di
gusto di more?
Mi dicono poetessa perché scrivo d’amore, ma non
sanno che quello che esce, è frutto di sesso bagnato d’umore, un rivolo
lento che bollente s’addensa, a rami si spacca s’ingiallisce e si posa,
tra le gambe scomposte che nessuno assapora. Che notte stanotte se
rimangono intatte, riempite di vuoto e di parole infeconde, inconsistenti
e leziose che non servono a niente. Non sanno davvero che scrivo poesia,
per riempire la notte che altrimenti scolora, per sentirmi più bella
intrigante e signora, tra mandrie d’amanti che s’accalcano a ressa, e mi
fischiano dietro perché mostro le tette, e fanno la folla tra le gambe che
apro, che nere di seta s’increspano al tatto, perché abbia un senso almeno
quello che scrivo.
Che scema che sono a pensare davvero, che sono
fatta di cuore ed il resto non conta, che la bocca, la fica, sono solo un
dettaglio, e la voglia di carne si sazia e si sfama, di parole che scrivo
e mi leccano in fondo, m’addomesticano docile per sentirne il sapore, per
sentirla che freme remissiva al bisogno, che niente stanotte sarebbe lo
stesso, nemmeno quel maschio che tengo gelosa, avvolto di seta nel primo
cassetto.
FINE
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