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LiberaEva
La promessa
"Sarà che ogni sera metto calze più scure, perché il lutto che sento non è dalle parti del cuore, che sotto la gonna c’è un ricamo infedele, che mi dà brividi quando stringo le gambe."






Photo SIMONA SMRCKOVA
 


Sarà che sotto la gonna c’è una femmina intatta, che tra le mie gambe si sgranano sogni, come sabbia di fiume inzuppati ed a grumi, dal desiderio scomposto che mi prende di notte, e mi vorrebbe già preda di un uomo qualunque, che a caso lo incontro e mi legge negli occhi, l’astinenza degli anni, il vuoto tra i seni, la promessa più stretta come nodo nel cuore. Non ci sono rimpianti, non ci sono rinunce, ma solo certezze che possa accadere, sostituirmi la mano che ogni sera padrona, mi slarga mi spaia e inumidisce la brama, e si materializza di carne in un sogno, che tappa il mio sesso come se fosse una bocca, che isterica urla e non sente ragioni, per poi rabbonirsi come se ci fosse del miele, sulla punta del dito che leggera si bagna, di residui e scorie d’un’anima calda.

Sarà che ogni sera metto calze più scure, perché il lutto che sento non è dalle parti del cuore, che sotto la gonna c’è un ricamo infedele, che mi dà brividi quando stringo le gambe. Chi mi incontra di giorno non potrebbe capire, cosa imperversa tra queste pieghe di pelle, invece ora cammino tra gli abeti ed aspetto, un colpo di vento che s’insinui leggero, quel tanto o quel niente che mi scoperchi la gonna, un alito denso come fiato di voglia, che mi faccia vedere signora di notte, e mi scopra le gambe ed il mondo s’accorga, che il nero che vede non è il colore del lutto.

Nel mio letto sogno e sorpresa mi chiedo, dove siano finiti i maschi d’un tempo, quelli che non hanno bisogno di chiederti scusa, ti seguono e ti fanno sentire regina, lungo il parapetto che scende giù al fiume, ti dicono bella e ti fischiano dietro, ed usano il sesso per tapparti le labbra, perché quello che dici non è vero davvero, perché quello che provi non traspare dagli occhi, e l’anima vuota ha bisogno di altro, di cibo che sfama, di carne che sazia. Perché chi l’ha detto che un uomo che passa, non abbia il permesso d’alzarmi la gonna, di vedere che sotto c’è una donna in attesa, che ha scontato per anni il pianto del cuore. Perché chi l’ha detto che io debba per forza, scappare di corsa o mettermi a urlare, finché i suoi baci d’anonimo fiato, mi raffreddino dove è bollente il respiro.

Se sapessero che ad ogni tramonto, vengo ad incontrare qui sotto il destino, a caso qualunque bello e solenne, che si concretizzi reale come l’ultima volta, tra queste sterpaglie e il fiume di fianco, tra le sue braccia potenti e l’amore di fronte. Sono stati per mesi giuramenti e singhiozzi, che mai nessun altro si sarebbe adagiato, per anni e per sempre per tutta una vita, nel ventre che offrivo al suo sesso perfetto, di voglia e misura preciso alle labbra, di un cuore che batte e ancora l’aspetta. Ogni volta ripasso le parole a memoria, se tra quelle promesse ci fosse un’inezia, una sciocchezza, un nonnulla che mi liberi ora, una scappatoia che oggi mi laverebbe la colpa, se a caso cedessi ai miei seni ribelli. Ma poi ripenso ai suoi ultimi giorni, d’un destino segnato verso la fine, tra i miei pianti di rabbia e la sua faccia distrutta, poi uno squillo improvviso e la notizia di notte.

Scendo le scale lungo il bordo del fiume, tra i ciuffi dell’erba che affiorano appena, tra le crepe d’asfalto intrise di muffa, ho paura che i miei tacchi non facciano rumore, che le forme che offro siano ombre sbiadite e muta cammino e nessuno mi veda, trasparente al mondo, indifferente a me stessa, e che ognuno sappia il lutto che porto e debba scontare ancora questa promessa.

Chiudo gli occhi e spero che i miei timori non abbiano senso, che dietro l’angolo ci siano maschi che s’accalcano a frotte, che fanno la fila e rispettano il turno, e mi dicono bella con le voci e le mani, con i respiri pensanti che sanno di aglio, e mi dicono amore come se davvero lo fossi, senza sapere che sono dieci anni che aspetto, che ogni sera al tramonto mi lascio strusciare, dalle foglie bagnate di una siepe d’alloro. Se invece sapessero che mi lascio scopare, dal vento che soffia per non avere una colpa, e rimanere fedele immutata ed intatta, all’unico uomo che ho perso per sempre.

Ci sono dei giorni che rimango a pensare, che non c’è tradimento se non esiste l’amore, che il sesso è soltanto un’urgenza impellente, come il bere il mangiare o quando t’alzi di notte, ma sono pensieri di una povera illusa, che sogna nel letto, che vagheggia distrutta, dal desiderio scomposto che le slabbra le gambe. Avessi vent’anni, vent’anni di meno, non avrei modo per andare di fretta, lascerei che questo lutto si scolorasse pian piano, si tingesse d’azzurro e del turchese che amo.

Sarà questo nero che porto e mi fa ancora più bella, mi sfina le gambe e m’accarezza leggera, sotto la gonna sento un mondo che passa, un vociare di gente un vento che graffia. Sarà questa Roma stranamente deserta, la promessa che ora fosse solo un ricordo, e allora sì che ritorno a sognare, proprio nel punto dove il fiume fa l’ansa, e lungo questo imbrunire d’alloro e d’abeti, s’allunga la coda d’odori di sesso, sento una mano che sale e mi prende, dei fischi distanti ed un abbaiare di cani, sono rutti e bestemmie parole straniere, sono fiati di vino che mi leccano il collo, dita di calli che raschiano il seno, e mi fanno l’amore senza guardare e mi dicono amore ed io mi sento regina. Eccoli li sento, c’è una folla che preme, che urla che avanza, che gode e s’accalca, sono tanti e li sento, tra le gambe e le sponde, di questo fiume che lento scorre tranquillo, sull’argine destro che poco prima lo giuro, avrei scommesso davvero che non ci fosse nessuno.








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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
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