Ebbene sì, avevo una relazione con Guido, il
mio capo. Praticamente da quando, fresca di laurea, avevo iniziato a
lavorare per quell’azienda. Il percorso era stato quello classico:
impiegata, qualche complimento, segretaria, segretaria particolare, un
mazzo di rose sulla mia scrivania, un invito a cena, un piccolo monile in
regalo, un bacio di fretta, un week end nella sua casa sul lago.
Era un uomo perfetto. Sensibile, dolce, comprensivo, galante, affabile,
squisito nei modi, ma anche fermo e sicuro, mai un'alzata di voce, mai un
gesto d'impazienza, emanava sicurezza e strappava tenerezze che alla fine
cedetti e diventai la sua amante fissa.
Ne ero attratta sessualmente e
non c'erano dubbi. Dopo qualche mese mi ritrovai innamorata e avrei fatto
qualsiasi cosa per lui. Ero diventata donna tra le sue braccia, bella ed
erotica per continuare a starci. Ed ora chissà cosa avrei dato, cosa avrei
architettato solo per il gusto di vedere gli occhi di lui pieni di
passione e meraviglia.
Guido era lì presente in ogni momento della
mia giornata e lo vedevo cambiarsi camicia tre volte al giorno, rispondere
contemporaneamente a tre telefonate, corteggiare altre donne; le sue mani
gentili non m'avrebbero mai stretta fino a farmi del male. Ero persa,
persa per quest'uomo, completamente abbandonata nel mio sogno
irrealizzabile di moglie, compagna o unica amante.
Durante il periodo
della nostra relazione aveva trovato il tempo di separarsi dalla moglie ed
adesso stava per risposarsi, ma naturalmente non con me. Tutto qui. Guido
non era assolutamente innamorato di me. Perché? Ma perché ne ero troppo
innamorata e non era assolutamente possibile ricambiare un amore così
folle.
Avrei preferito essere la sua unica donna e ogni tanto avevo
qualche risentimento ovvio, convinta di far valere le mie ragioni, di
dirgliene quattro, di farla finita, ma ogni volta davanti a quest'uomo non
riuscivo a pronunciar parola. Ogni volta ne uscivo sconfitta e peggio,
soddisfatta e a volte dopo l’amore non riuscivo neanche a ricordare il
motivo della mia insoddisfazione. Come annichilita, inebetita, rovistavo
nel mio cervello per trovare una giustificazione. Ero completamente in
balia degli umori, vizi e desideri di quell'uomo.
Al tempo ero
andata ad abitare con una mia amica per essere più libera, chiaramente i
miei erano all'oscuro della faccenda, non avevo mai avuto il coraggio di
confessare. Mi chiamava nelle ore più impensate della notte, in un baleno
mi facevo bella ed uscivo come una furia. Ma non era servito a niente,
Guido continuava imperturbabile la sua vita, geloso di quella privata. Non
facevamo spesso l'amore, almeno non lo facevamo in un letto. Spesso il
tutto si consumava sul divano in sala d'attesa dell’azienda, naturalmente
dopo l’orario di lavoro. Qualche volta ci appartavamo in un piccolo
alberghetto con i mobili di vimini e la finestra che dava sul cortile di
una fabbrica. Altre volte in macchina persi tra la nebbia in qualche
parcheggio di periferia. Erano i più veloci, ma i meno costruiti, con la
radio accesa dentro ed il mondo spento di fuori. Ma la sensazione che mi
riempiva pienamente era quando lo facevamo nella sua stanza, durante
l'orario d'ufficio mentre gli altri impiegati sgobbavano di lavoro nelle
stanze adiacenti. Per la verità qualche volta l'avevamo fatto senza
chiudere a chiave ed altre addirittura con la porta socchiusa.
Non
c'era nulla di scontato, sapevamo solo da dove iniziare, poi il resto era
come una recita a braccio, dipendeva dalla voglia e dalla passione del
momento. Guido rimaneva seduto, fasciato nei suoi vestiti firmati,
imperturbabile nel suo ruolo di manager. In quei momenti mi piaceva
assumere un'aria timida di segretaria sottomessa ai voleri del capo.
Titubante rimanevo in piedi sfiorando la spalla imbottita della giacca.
Avvertivo il suo profumo salire fino ai gangli del mio cervello
annebbiando gli ultimi residui di ragione. I tacchi instabili affondavano
nella moquette, le ginocchia insicure tremavano nell'attesa. Guido non mi
degnava di uno sguardo, compiacente nel suo ruolo, faceva finta di porre
attenzione alla pratica richiesta, ma la mano bianca e morbida iniziava
dal ginocchio il suo tragitto in salita.
Giocava indovinando al
tatto il colore delle mie intimità, fingeva di dispiacersi quando non
avevo esaudito a pieno i suoi desideri. Mi rimproverava per un fiocchetto
in più o un merletto di colore diverso. Aveva sempre qualche idea
originale per proseguire, ma soprattutto aveva un'eccezionale fantasia,
quasi reale. M'immergeva nelle sue storie fino a farmele sentire vere,
arrivando sempre ad un limite, ma facendo sempre attenzione a non
superarlo. Diventavano vere e proprie battaglie di psicologia, dove le mie
resistenze reali venivano annientate dalla sua fantasia. Ad ogni mio
rifiuto la sua mente diventava sempre più feconda intenta a sfruttare ogni
mia incertezza. E sulle ali di quella fantasia alle volte facevo l'amore
con i colleghi ignari o con l’operaio dalle mani sporche di grasso addetto
all’aria condizionata, altre mi catapultava in situazioni indescrivibili
trapassando pareti, città, barriere morali e di tempo.
Non mi
spogliava mai, le sue carezze, attraverso i vestiti, diventavano più
intense semplicemente immaginandole al contatto con la pelle. Alle volte
riuscivo a provare l’orgasmo senza essere toccata, con la sola idea di
esserlo un istante dopo. Le parole diventavano realtà, l'attesa rimaneva
attesa. Tutto da consumarsi in quindici minuti scarsi, poche volte
andavamo oltre. Una volta una collega entrò all'improvviso nella stanza
senza badare alla luce rossa di occupato fuori la porta. Io ero sotto la
scrivania in ginocchio, lei si avvicinò senza vedermi, Guido imperterrito
continuò a firmare documenti. Non mi mossi da lì, anzi continuai a giocare
col suo pene e dargli piacere.
Non invidiavo le mie colleghe e le
loro folli notti d'amore, a me bastava quella mano che saliva e mi
inondava di una sensazione unica, mi riempiva per il resto della giornata
facendomi sentire una regina. E non rimpiangevo neanche gli amori con i
miei coetanei, in un letto per una intera notte al sicuro da occhi
indiscreti, non sarebbero arrivati mai allo stesso grado di passione.
Fantasticavamo spesso, una volta mi chiese di fare il filo ad un
collega, Marco Corsini, a quel tempo ventenne assunto da poco. La sera
Guido mi chiedeva al telefono una relazione dettagliata di come fosse
andata durante il giorno, ed io lì, che cercavo d'inventare un qualcosa
che filasse, non ero ancora propensa a seguirlo in quel tipo d'imprese. Ma
giorno dopo giorno senza pensarci mi trovai nel ruolo di seduttrice. Marco
Corsini era il classico ragazzo timido con gli occhiali, prendeva il
lavoro molto seriamente, ogni volta che entrava nella mia stanza era uno
“scusi se la disturbo. Ed ogni sera raccontavo a Guido cosa fosse
successo. “Sai oggi m'ha guardata,” o “si è avvicinato ancora di più alla
scrivania,” oppure “è rimasto cinque minuti a parlare”. Guido si eccitava
a quelle parole, ma io mi rendevo conto quanto fosse sporco quel gioco.
In poche parole stavo violentando quel ragazzino, lo vedevo sudare
ogni volta che accavallando le gambe facevo intravedere ad arte l'orlo
della mia sottogonna. Gli chiedevo della sua ragazza ed a poco a poco
entrammo in confidenza. Così ingenuo non sospettava assolutamente nulla
della mia relazione con il capo e soprattutto che il mio interessa aveva
uno scopo ben preciso. Guido, nei nostri momenti, si era fatto più
intraprendente, mi cercava spesso ed io, contenta del suo nuovo vigore,
colorivo i racconti con qualche pennellata di fantasia. Non avevo idea di
quanti amplessi finti avevo già avuto con Marco, tanto da credere che
tutto ciò fosse realmente accaduto.
Una sera Guido mi chiese di
farlo rimanere oltre l'orario per ragioni di lavoro. Cercai di
dissuaderlo, ma la mia fermezza durò il tempo di un bacio rubato in fretta
nella mia stanza. Marco fu molto gratificato, era la prima volta che il
capo mostrava attenzione al suo lavoro. Mi domandò più volte come avrebbe
dovuto comportarsi, cercai di rassicurarlo sorridendo alla domanda
ingenua.
Guido lo chiamò al telefono. “Signor Corsini può venire
nella mia stanza con la pratica Poletti & Trani?” Quando bussò
delicatamente alla porta io ero seduta in una delle due poltroncine
davanti alla scrivania di Guido. Marco entrò e occupò l'altra poltrona.
Portavo un vestito lilla con uno spacco laterale, lo stesso lato dove era
seduto Marco. Quella posizione era stata studiata in precedenza nei minimi
dettagli. Avevamo praticamente impiegato più di un'ora, Guido eccitato non
stava nella pelle, mi aveva fatto provare la posizione non so quante
volte, ed ogni volta aggiungeva qualche particolare.
Con un trucco
quasi da scena mi aveva fatto legare i capelli, i ciondoli di bigiotteria
pendevano grossolani fino a sfiorarmi le spalle. Avevamo alzato la
poltrona in modo che le mie gambe arrivassero a livello della scrivania,
Guido voleva avere la stessa visuale, era impossibile non vedere il bordo
nero della mia calza e i gancetti del mio reggicalze, dello stesso colore
del vestito, comprato da Intimissimi qualche giorno prima apposta per il
compleanno di Guido. Lui aveva promesso di portarmi a cena fuori. Durante
la cena, l'idea di farmelo indossare per quel timidone ventenne lo eccitò
al punto da rinunciare alla primizia. Guido non amava regali personali, ad
ogni compleanno o feste varie mi chiedeva un qualcosa di nuovo da
indossare, la cosa mi aveva sempre affascinato, mi sembrava tutto ciò
veramente originale.
Marco adagiò la pratica sulla scrivania e
iniziò la relazione, balbettava. Notai una goccia di sudore sul colletto
della sua camicia celestina quando il mio vestito scivolò magicamente con
mossa studiata fino a far risaltare la stringa lilla sulla coscia bianca.
Mi batteva forte il cuore. Guido rimase impassibile, con aria
professionale finse di esaminare la pratica nei minimi dettagli. Passarono
dei minuti, lunghi e interminabili. I suoi occhi umidi e viziosi
sembravano non saziarsi. Come in una partita a tennis guardavano
ritmicamente il malcapitato oramai in un bagno di sudore e la mia recita
come da copione.
Finalmente Guido ruppe il silenzio innaturale
riordinando i quattro fogli. Fissò Marco annientandolo con lo sguardo. Non
completamente appagato gli fece qualche appunto sul lavoro svolto,
reclamando più impegno e serietà. Alla fine lo congedò con tutta calma. La
nostra vittima emise suoni incomprensibili, forse in segno di
ringraziamento. Impacciato e stordito fece cadere maldestramente la foto
incorniciata sulla scrivania di Guido con la sua ex moglie e i loro due
figli. Non capiva ciò che stesse facendo. Gli era completamente saltato il
cervello. Notai quanta difficoltà fece per alzarsi, fissava Guido,
timoroso, pensai, non tanto per la sua relazione esposta, ma sicuramente
per la paura di essere accusato di aver visto ciò che non doveva vedere.
Ignaro del nostro disegno perverso ormai era nelle mie mani. Pur non
dichiarandosi apertamente ogni occasione era buona per venire nella mia
stanza. In seguito prese più coraggio, iniziò ad aspettarmi all'uscita,
facevamo quattro passi innocenti assieme. Un giorno però davanti a due
succhi di frutta nel bar sotto l’ufficio mi accennò che aveva visto. Mi
scandì a memoria ogni movimento delle mie gambe. Da quel momento non aveva
più smesso di pensarmi. Secondo lui ero la donna più affascinante che gli
fosse mai capitato di incontrare e senza mezzi termini, dopo che seppe che
ero single, mi confessò che se avessi voluto avrebbe lasciato la ragazza
per avere un rapporto più concreto con me.
Oramai era cotto! Ne
parlai con Guido e stabilimmo il da farsi.
Era bambino, ingenuo, unico
tra i colleghi a non accorgersi della mia relazione col capo. Indifeso,
ancora sotto studio, tanta voglia d'imparare e ancora incontaminato dal
mondo esterno. Quando ritenni che fosse a mia completa disposizione,
quando fui veramente sicura che era completamente innamorato di me, sotto
i consigli interessati di Guido agii. Era vergine, qualche bacio con la
sua ragazza e poco altro. Mi allettava l'idea di essere la prima, di
svezzarlo, di insegnare a mio uso e consumo i misteri del sesso. Una sorta
di decalogo dell'amore con proibizioni e permessi in funzione di ciò che
mi appagava. Avevo tra le mani un pezzo di creta che modellavo secondo i
miei desideri. Psicologicamente non ci volle molto, visto che ero
facilitata dalla forte attrazione che aveva per me. Rimaneva, per così
dire, la parte materiale, ma in questo caso le riserve erano soltanto
dalla mia parte. Ma Guido era deciso ad andare a fondo. Era sorpreso dalla
mia disponibilità, ma, il poverino, non immaginava minimamente che stavo
creando un robot, una sorta di automa a mio completo piacimento.
Mi
prometteva amore eterno, e nonostante la differenza di età, di sposarmi il
giorno dopo. Parlava già di quando mi avrebbe presentato ai genitori e
cose varie. Fino ad allora il mio abbigliamento era stato casto, per
evitare di ricordargli la scena nella stanza di Guido, ma vedevo quanto
fosse stampata indelebilmente nei suoi occhi. Ogni tanto, dopo l’ufficio,
accettavo qualche passaggio, ma non ci fu mai nessuna avance da parte sua.
Le sue richieste pressanti non andarono mai oltre i limiti garbati di un
corteggiamento romantico.
Quando Guido mi diede il via libera
passai decisamente all'attacco. Una sera lo invitai a casa, fu entusiasta.
Preparai una cenetta a base di stuzzichini, si presentò con un enorme
mazzo di rose rosse, giacca, cravatta e occhiali appannati per il fiatone.
La tavola era già apparecchiata, brindammo con due calici colmi di
spumante. Ci mettemmo seduti. Più impacciato del solito rimase incollato
sulla sedia e per il primo quarto d'ora non spiccicò parola. Come da
istruzioni di Guido ero vestita nello stesso modo di quella volta nella
stanza del capo. Per tutta la serata non toccò cibo, proseguimmo oltre
farfugliando discorsi incomprensibili. Cercava di spiare sotto il tavolo
ogni mio leggero movimento, ma non prendeva l'iniziativa. Spensi la
lampada.
La luce della strada filtrava dalle persiane, illuminava a
righe il mio stupendo vestito lilla. Mi accomodai sul divano. Lo spacco si
aprì, accentuai la posizione poggiando un tacco sulla sedia. La faccia di
Marco era da infarto, gli occhi accecati da una lacrimazione improvvisa,
la camicia fradicia di sudore, le gambe tremanti, le dita nodose che
afferravamo a morsa il bicchiere ormai vuoto.
Tentò di alzarsi, lo
ricacciai sulla sedia. Smarrito come un naufrago provò di nuovo ad
avvicinarsi, il mio tacco viola lo scaraventò per terra. Nell'oscurità
perse gli occhiali, era nelle mie mani. Mi pregò, mi supplicò, ma rimasi
fedele al progetto studiato con Guido. Lo fissai attraverso il fondo del
bicchiere, lo avevo in pugno, ma desideravo stritolarlo mentalmente.
Attratto dal mio corpo non chiedeva altro a costo di perdere anche
l'ultimo briciolo di dignità. In quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa
per avermi.
Mi alzai ordinandogli di attendere immobile sul
tappeto. Gli dissi che tutto ciò non lo meritava, che avrei indossato
vestiti meno appariscenti struccando pensieri malsani che si annidavano
nella sua mente. Mi feci una doccia, mi cambiai completamente. Ma non
resistevo alla voglia di apparire divina, di vederlo elemosinare frammenti
di carezze promesse ed ancora non date. Abbondai nel trucco, giocai sul
rosso e nero, indossai le scarpe più alte a disposizione del mio armadio.
Una vestaglia di seta sbarrava ai suoi occhi l'insperato desiderio. Era
passata circa un'ora, ma era ancora là fermo, immobile nella stessa
posizione. Gli girai intorno, rimasi in piedi. Gli puntai un tacco sulla
pancia. “Marco so che tu faresti qualsiasi cosa per me, ma non so ancora
fino a che punto. Sarò tua, non adesso, forse non stasera, ma voglio
toccare con mano il tuo desiderio, voglio convincermi che la tua dedizione
sia totale e senza ritorno! Chiama la tua ragazza, inventati quello che ti
pare, ma dille che è finita, che tra di voi non ci sarà domani. E
soprattutto dille che ti sei innamorato perso di una donna stupenda di
nome Eva e per la quale rinuncerai a tutto.”
In preda al panico si
aggrappò alla mia gamba, la riga nera della calza orientò il suo
smarrimento. Come una furia risalì le mie cosce, baciò ogni centimetro
della mia pelle. Piangeva, mi ringraziava. Mi strinse forte, addosso alla
parete sentivo la sua voglia crescere. Come un animale selvaggio premeva
sul mio ventre, sentii il suo desiderio arrivare al culmine, lo lasciai
fare fino ad un attimo prima. Non poteva stravolgere le regole che Guido
avevo fissato. Cinque dita rosse sulla sua faccia lo calmarono lentamente.
Gli chiesi di nuovo la prova d'amore, non convinto gli porsi il
telefono. Ma non ero ancora soddisfatta, avevo timore che la situazione mi
scappasse di mano. Lo spogliai sfiorandolo, tentò più volte di avvicinare
le mie labbra alla sua passione. Presi tempo. Cercai di allontanare i suoi
istinti. Doveva rendersi conto che contava meno delle mie scarpe lilla
appoggiate in un angolo del divano, meno di quel reggicalze merlettato che
tanto desiderava toccare, men che meno delle mie cosce, del mio culo
solcato timidamente da un paio di mutandine inesistenti.
Non gli
era permesso pensare e tanto meno prendere qualsiasi iniziativa. In quel
momento la sua mente doveva comportarsi come il suo sesso e reagire in
simbiosi solo se stimolati. Affondai le mie unghie sulla sua pelle bianca,
finché avvicinai le mie labbra di clown sbordate oltre la volgarità di
un’indecenza rossa e puttana. I suoi occhi sbarrati si chiusero
rumorosamente come saracinesche aspettando il piacere. Rimase rigido
ingoiando il mio nome. Mi fermai a dieci centimetri dalla sua voglia, ad
un secondo dal mio dispiacere di vederlo soddisfatto, ma molto vicino ai
voleri di Guido che come un fantasma mi dettava il da farsi. Marco tentò
di afferrare la mia testa, ma lo bloccai di nuovo. S'inumidì le labbra.
Avendone la possibilità avrebbe sicuramente continuato da solo. Mi tirai
indietro, si dovette accontentare solo del caldo sapore del mio fiato.
Nudo mi giurò amore eterno. Mentre l'accarezzavo gli chiesi
l'esclusiva, non aveva più resistenze da opporre. Alla fine mi disse che
avrebbe chiamato all’istante la sua ragazza! In quel momento mi fece pena!
Cercai, uscendo per un attimo fuori dalle righe del copione, di farlo
riflettere, che forse non era il caso, di pensarci per ore, giorni,
settimane. Ma ormai il suo cervello era fuso, senza più un barlume di
coscienza ragionava esclusivamente con il suo desiderio. Non chiedeva
altro che farsi consumare come la sigaretta che stringevo tra le unghie
laccate bene in vista. A carponi prese il telefono, strisciò nudo sul
pavimento di marmo freddo venato di grigio. Lo lasciai comporre il numero.
Sentii chiaramente con le mie orecchie la sua perduta dignità. Riattaccò
senza alcuna spiegazione.
Tornò trionfante, vide la mia vestaglia
scivolare lentamente lungo i contorni neri delle mie gambe. Sganciai il
reggicalze, arrotolai le calze fino al ginocchio. Nella sua testa, ormai
malata, ero lì bella, pronta per essere presa, pronta per essere scavata
fino al sublime piacere della trasgressione. Aprii le gambe mostrandogli
l’oggetto del suo desiderio, la causa della sua perdizione, ma anche la
fine della sua illusione.
Eravamo arrivati al punto, ciò che stava
bramando sarebbe rimasta intatta e fedele a chi aveva architettato e
voluto fortemente quel gioco. Cercò con gli ultimi brandelli di energia di
violare quella proprietà privata, ma la forza dell’amore e della devozione
ebbero ragione sulla sua determinazione. Gli ordinai sottovoce di sedersi
accanto a me e di stringermi la testa con le mani mentre le mie dita
intanto stavano varcando quello che a lui il programma non aveva concesso.
Come un mago tirai fuori dal cilindro la lettera di Guido che
portava la data del giorno prima: Marco la lesse con un filo di voce.
“Caro Corsini, mi corre l’obbligo di dirle che il suo comportamento,
tenuto per tutta la serata, ha destato più di una perplessità. E’
impensabile perdere la testa fino al punto di vendere l’anima e chissà
quant’altro per un obiettivo a portata di mano, ma tanto lontano da
raggiungere! Quello che lei, in questo momento, ha di fronte è
semplicemente una bella donna, e sottolineo semplicemente. Nient’altro!
Per l’amor di Dio! Non mi venga a parlare di sentimento o menate del
genere. Lei ha fallito su tutti i fronti e per raggiungere la meta ha e
avrebbe acconsentito ad ogni bassezza. La dignità, la stima, la
considerazione di se stesso sono per lei solo parole, nullità da barattare
per una semplice donna, stupenda, ma comune mortale. A questo punto le
consiglio di ammirare ancora una volta quello stupendo tesoro. La sta
vedendo? In questo momento si sta dimenando in preda ai piaceri senza la
sua minima collaborazione. Le sue gambe si stanno divaricando fino
all’impossibile. Il suo fisico sta chiedendo in silenzio un uomo che le
riempia il ventre, la mente, la bocca, le voglie più dissolute. Ma come
vede, mio caro amico, la forza dell’amore, della fedeltà e della decenza
supera qualsiasi desiderio. La osservi ancora attentamente, tra un attimo
esploderà di gioia, le sue gambe si divaricheranno fino all’impossibile,
ma stia pur sicuro, non le chiederà niente! Quelle cosce resteranno
inesorabilmente vuote di sesso, ma piene di amore e fede che soltanto chi
le sta scrivendo può capire fino in fondo. Eva è mia da quella ciocca di
capelli scomposta sulla fronte fino all’unghia del suo dito medio che mi
sta, impietosamente, sostituendo. Lei, caro Corsini, ha tanto da imparare
da quella donna, da questa storia e soprattutto dalla vita! Ora non mi
rimane che salutarla… Ah dimenticavo, credo che sia inutile aggiungere che
la fiducia nei suoi confronti è scemata rovinosamente e che da domani
potrà considerarsi libero da impegni di lavoro. Cordiali saluti. Guido
Fermi…”