Nuvole basse all’orizzonte, Kay è di là che si veste. Si starà ammirando
allo specchio, mentre io qui in finestra guardo la strada che lucida
riflette. Tra poco uscirà, e come ogni sera verrà a darmi un bacio,
sfiorato e furtivo, che prontamente rifiuto. Mi fa schifo il suo odore,
quel suo profumo dolciastro simile a zucchero filato che s’appiccica al
naso e rimane per ore. Mi fanno ribrezzo le sue carezze taglienti. Sono
lame affilate che spaccano la pelle senza avvertirle, ma lasciano
cicatrici indelebili che danno dolore quando cambia stagione. Tra poco
rimarrò sola pensando al mio uomo che sparisce nel buco nero della notte
avvolgente, la solita notte, che esalta e consuma le smanie e i deliri di
chi non vorrebbe mai che finisse.
Ma io lo amo! Anche ora che avrà
acceso la lampada sul comodino ed aperto l’anta dell’armadio per guardarsi
da dietro. Anche ora che nel suo cervello frulla soltanto il ritardo che
sta accumulando. Lo amo troppo!
Se penso ora a quante mi hanno
invidiato, quante mi hanno detto che avevo avuto fortuna ad incontrarlo!
Rido, amaramente rido, pensando che mi sarei accontentata di molto meno
senza arrivare lassù a quel punto, perché poi cadere fa troppo male. Ora
mi resta un vago ricordo di come una donna possa essere felice e mi sforzo
ogni giorno a pensare che amare il proprio contrario è soltanto un
dettaglio che si può tralasciare.
“Eva allora?” Mi chiama, ma io
non rispondo. Distratto come sempre non troverà il portafogli, il
telefono, le chiavi. S’indigna, urla, mi prende a male parole, vorrebbe
che io l’aiutassi ad essere pronto, vestito perfetto e senza ritardo.
Pronto per l’appuntamento. Chissà in quale parte della città, che non ho
mai capito dove, in quale locale, casa o vizio diluirà la passione,
lontana comunque lontana da questa stupida donna che ostinata rimane in
ciabatte.
Stasera, come ogni sera mi tradirà, darà se stesso come
mai il suo corpo s’è abbandonato nel mio. Parlerà d’amore, non ho dubbi,
sussurrerà da vicino le parole che mai la mia pelle ne ha avvertito il
vapore, capirà come mai m’ha capita. Distinguerà il suo profumo, assaggerà
cose nuove e per nulla distratto sarà disponibile ad ascoltare. Eppure in
un ricordo non molto lontano era completamente diverso, timoroso di
sbagliare, insicuro di vivere. M’aveva abbracciata con tanta energia e
aveva deciso per me e per il destino che avremmo camminato affianco
vicini.
Era bello il mio Kay, come la prima volta a Trieste su un
traghetto malandato che galleggiava per caso. Mi prese leggero quasi
involontario, dentro quella cabina così stretta. In piedi senza vergogna
insinuò la sua passione, inconfondibile e maschio non incontrò barriere,
ma solo attriti leggeri come una donna sa fare quando vuole e non vuole.
Ora mi tengo stretti quei piccoli frammenti, perché mai avrei pensato che
il suo desiderio andasse distante, da questa femmina che piange alla
finestra approfittando di queste nuvole basse che mischiano le lacrime
all’acqua piovana…
Su questo davanzale fumo e non me ne faccio
ragione, perché non si può lottare quando non esiste rivale, nemica,
avversaria, che io possa spaccarle la faccia e riprendermi quello che m’ha
sottratto. Lui continua ad urlare, mi dà brividi dentro, è in cerca di
spiccioli e sta rovistando dentro la mia borsa. Mi ruba i soldi come
l’amore, pochi ogni giorno come goccia cinese che m’impoverisce essere ed
avere. Lo sento, mi chiama, per lui è normale, come bere un bicchiere di
latte o farsi una doccia al mattino; non capisce perché non rispondo,
pensa che abbia altro da fare, magari sparecchiare la tavola o chiusa in
bagno per altri motivi.
Ormai si è accettato e non pensa che qualcun
altro possa soffrire, non comprende il disagio che mi porto dentro, anzi,
non pensa nemmeno che io possa provarlo. Lo sento, sta indossando
l’impermeabile nero quello con gli anelli in metallo, il rumore di ferro
mi urta il cervello, non voglio vederlo vestito in quel modo, non posso
accettare che tra pochi minuti chiuderà la porta per essere vero.
Ogni giorno diverso, ogni giorno uguale, nemmeno una parola per dire
quello che stava accadendo, nemmeno uno straccio di scusa per indorarmi la
pillola. Tutto scontato, tutto un dato di fatto, cominciato per caso in un
giorno normale tra il rumore dei piatti in cucina e il telegiornale in
salotto. “Ha un’altra sicuro!” Pensavo, mentre appendevo ingenua la sua
giacca in armadio. Appallottolate nella tasca, un paio di calze mi
gonfiarono il fiato e cominciai a tremare. Cercai un qualcosa che potesse
calmarmi, un chissà come mai, un normale contrattempo o uno spiraglio di
luce che la mia mente non riusciva a vedere.
“Ha una donna, una
donna sicuro! Sarà bionda?” Mi ferivo immaginandola bella con i seni
abbondanti. Cercavo tra i volti una faccia lontana, stereotipo di donna
che accalappia i suoi maschi con il nero e la seta. Ma poi mi giuravo che
era un falso segnale, che il mio Key non avrebbe fatto mai questo, seppure
quelle calze parlassero chiaro. Le odorai in cerca di un indizio, di creme
e profumi, ma sapevano solo di nuovo e di sintetico! Forse era solo un
regalo che il mio uomo non aveva avuto il coraggio di darmi.
M’illudevo allora come ora m’illudo che tutto finisca, che i rumori che
sento non mi siano ostili; che stasera non esce e s’infila nel letto e
m’aspetta perché senza di me non riesce dormire, senza la mia mano che
mille volte lo ha stretto fino a che quel tremito innocuo si è fatto
respiro profondo e leggero russare.
Urla di nuovo. “Ma non mi
senti?” Vorrebbe che l’aiutassi, che addirittura gli dessi consigli, come
parlare o come stare a sentire, o come qualche piccolo segreto può
trasformare un uomo in un’affascinante persona. Ma è difficile non posso
davvero! Non posso allontanarlo da me, dall’uomo che sul piroscafo
continuava a godere oltre la mia voglia finita da tempo. Fu l’unica, poi
solo deserto, fame e sete che s’inseguono nei miei sogni al di là delle
dune, solo carovane di beduini che mi fanno schiava di notte ed a turno a
malapena soddisfano un delirio perpetuo. Loro non hanno donne, non ci sono
bambini che potrei in qualche modo inserire nel sogno, per essere meno in
balia di loro e del vento che fischia e mi lascia senza forze e respiri.
Sono brutti, brutti davvero, armati fino ai pochi denti che
mostrano quando a stento sorridono, hanno la pelle piena di buchi che la
sabbia ricopre a fatica. Neanche uno bello, magari Tuareg con gli occhi
profondi di lago per abbandonarmi sulle sue rive o mi faccia schiava senza
cattiveria, perché tanto non serve, quando sei pronta a dare l’anima
perché il corpo oramai servirebbe a ben poco.
Ogni sera prima
d’addormentarmi prego Dio d’incontrarlo ai margini del suo regno o lontano
nell’oasi che ogni tanto intravedo, non voglio piacergli da subito, non
m’illudo, anche se il mio corpo di bianca potrebbe destargli un esile
interesse; non cerco poi tanto ma che perlomeno, se fosse impegnato, mi
rimandi ad un altro sogno magari domani.
Mi trascino nei giorni
avvertendoli appena e rimando alla notte la mia vita reale, i miei
desideri, spartiti con nessuno, che teneri giacciono ammonticchiati sul
cuscino. Chissà cosa direbbe Kay! Chissà cosa direbbe se sapesse davvero
che lo tradisco ogni notte con uomini diversi, di quelli che pensano solo
a se stessi, di quelli che mi danno quel poco perché meno non sarebbe
possibile, e che ti soddisfano appena perché segui solo il ritmo del loro
piacere.
“Ci sei?” Lo sento, mi vorrebbe complice e senza domande.
Vorrebbe che lo salutassi per bene che mi mostrassi apprensiva come può
fare soltanto una mamma, che comunque è suo figlio. Drogato o delinquente
è solo un dettaglio, basta che torni come ogni notte perché tranquilla lei
possa dormire. Ma non mi sento una mamma, anche se, lo confesso, ho
sperato più volte che si ammalasse davvero, per stargli vicina e coprirlo
d’affetto, premure che in questo istante mi è difficile dare.
“Allora?” Oramai è quasi pronto, lo sento, sta indossando le scarpe,
quelle belle comprate da poco. Un altro sguardo allo specchio ora è pronto
davvero. Cammina verso me, mi chiama e richiama. “E’ tardi, io vado!” Ma
io non mi volto e lui non si avvicina e rimane sulla porta. Questa sera
neanche un bacio e neanche il mio rifiuto per continuare a sperare. Qui
affacciata in finestra, rimango a fissare queste nuvole basse, la strada
che riflette, le auto che sfrecciano. Stringo i pugni, rientro e chiudo la
finestra, perché non voglio vederlo vestito in quel modo, il rumore dei
suoi tacchi a spillo sull’asfalto mi devasta la mente ed io non posso
accettarlo come una ridicola donna che cammina da papera senza nessuna
decenza.
FINE