Non giudicatemi male, non scaricate la vostra morale sopra questa carne
indifesa, non scatenate i vostri principi, come conati di rifiuto, sopra
questa donna che non conosce ancora fine e certezza. Vi prego, non
v'arrestate alla sola visione d'avermi trovata in simile stato, in piedi e
pressata, come prosciutto e maionese.
Se la vostra coscienza può
attendere, non giudicatemi prima del tempo, prima d'aver ascoltato ogni
parola, d'aver carpito ogni scena, e dietro di essa ogni risvolto di
questa trama uscita chissà da quale vena di sincerità.
State comodi ed
ascoltate, non pensate alle vostre automobili lasciate sopra qualche
marciapiede, nessuno ve le porterà via! Fuori piove, lo so, ma smetterà
così che possiate tornare tranquilli nelle vostre belle case accoglienti
senza un filo di pioggia sulle vostre pellicce o sulle vostre giacche di
cammello.
Aprite i vostri cuori come fate con i vostri sederi davanti
al potere, come fareste nelle situazioni dove non avete altro da offrire,
altro da barattare se non il valore, mai riconosciuto, delle vostre
convinzioni traballanti.
Anch'io un tempo ero come voi, come le vostre
mogli, o come pensate che siano fino a quando non rincasate ad un'ora
imprevista o state in un posto dove non dovreste essere. Proprio così,
identica ad ognuna di loro, piena di fede e fedeltà, casa e famiglia,
casta e pura, così trasparente che non c'era alcuna apparenza ad impedire
di leggermi fino ai pensieri più profondi.
Mi trascinavo nei
giorni affidandomi ai valori sinceri dove la ricerca costante di essere
utile agli altri si dilatava al punto di trascurare me stessa. Come le
vostre compagne, mi riempivo di disponibilità e abnegazione nel servire ed
essere servita, nel cercare comunque le cause laddove la ragione non era
evidente. Il dovere m’aveva preso la mano fino a farsi cartilagine e
sangue, fino a ridurmi a pensare che l'infelicità degli altri fosse dovuta
unicamente alle mie mancanze, la mia noia ai miei tanti difetti. Succhiavo
forza ed energia nelle piccole pieghe, come nell'orgoglio d'aver
risparmiato qualche spicciolo al mercato, nel veder mio marito soddisfatto
davanti ad un piatto di polpette o mentre indossava camicie appena
stirate.
Anch'io, come penso di voi, come penso delle vostre mogli,
andavo a prendere mio nipote a scuola con la premura di fare tardi e la
pazienza d'insegnargli le addizioni con la frutta di stagione. Ma un
giorno mi accorsi che quel mangiare di gusto non riempiva per nulla il mio
cuore, come del resto zelo e devozione appiattivano le giornate,
gonfiavano l'abitudine e non giustificavano il fatto che io respirassi
valutando me stessa sulla base della considerazione che davo agli altri. E
come di giorno, la notte m'avvolgeva identica, misurando il mio benessere
su come e quanto mio marito fosse riuscito a godere. Ma ogni volta
m'arrendevo più tardi, nel letto o appoggiata al davanzale, sentivo quei
baci, quelle carezze sui seni lontani, di quanto distanti già non fossero
dal mio cervello. Il contatto con la sua pelle non lasciava strascichi
d'emozione, non mi dava quella spinta che in altri momenti sarebbe bastata
da sola a sciogliermi in orgasmi anticipati.
Tutto era rallentato,
tutto scontato come la pioggia che bagna la terra o il vento che asciuga
le lenzuola. Non capite male vi prego! Non voglio essere assolta se per
qualche inspiegato motivo dovrò per forza essere giudicata, magari lungo
la superficialità, e me ne rendo conto, che i vostri occhi v'impongono
vedendomi stretta tra carne e fiati di chi meccanicamente sta facendo il
proprio dovere. In chiesa nelle feste comandate, come nelle riunioni tra
parenti nessuno avrebbe mai pensato che dietro quella donna
irreprensibile, dentro quei vestiti grigi, quelle permanenti sempre in
ordine, covassero fiamme ed inferno, che nessun paradiso, nella sua più
benevola tolleranza, avrebbe mai accolto.
Nessuno poteva
immaginare quanto tutto mi andasse stretto, e quanto tra le mie gambe si
concentrassero insoddisfazioni e bisogno di essere altro. State fermi! Lo
so che non è il sesso la panacea di tutti i mali! Come non è l’essere
posseduta o il possesso la soluzione alle proprie inquietudini. Ma io
volevo andare oltre la regola, l’educazione, scavandomi fino alla fonte
della mia nausea di vivere. Volevo assaggiare il sapore acre delle
contraddizioni.
Avrei potuto accontentarmi di ciò che altre non
avrebbero chiesto di meglio, passare pomeriggi interi in qualche boutique
o a casa di un’amica a giocare a canasta. Ma tutto ciò non faceva parte di
me e mi sentivo accomunata a coloro che per soddisfare il proprio povero
essere fanno incetta d'avere e possesso perché in nient'altro trovano
appagamento. Ben inteso, possesso di essere e non di avere!
Non
fraintendetemi, vi prego! Non sto cercando scuse e pretesti d'avermi
scovata in questo squallido posto che sa di polvere e solitudine, di
ascensori che salgono insieme e scendono da soli. E' solo che in questo
albergo ci passo pomeriggi interi ad aspettare, ore viziose di asciugamani
intatti e moquette celeste per colui che mi riempia di soddisfazione e
stimoli con la sola sterile speranza che mi trascini viva perché da
nessuna parte di questo mondo ne ho trovati altrettanti. E consumo
sigarette e trucchi per il solo gusto d'avere un'altra vita, un'altra
faccia, perché quella che mi guarda allo specchio non mi somiglia per
niente.
Ho tradito mio marito, lo tradisco senza più domandarmi
perché, senza più domandarmi come potrei stare ora senza un amante, perché
da mesi e da anni non è più successo di passare un pomeriggio da sola. Ma
allo stesso tempo mi guardo allo specchio di questo bagno rosa e nero, di
queste mattonelle romantiche e misteriose che sono la sintesi di quello
che ho sempre cercato. Mi dicono amore e quello mi basta, senza mai
domandare loro perché dopo il gioco tutto svanisce, e l'amore diventa
doccia e pantaloni, scarpe che s'allacciano in fretta e poi ascensori che
scendono velocemente.
Ho solo un banale bisogno che qualcuno mi
chiami per nome, che m'avvolga di pelle e considerazione senza quel velo
quotidiano di noia, quel perbenismo insipido che ci impedisce di chiamare
con il proprio nome le cose. Ho bisogno di qualcuno che mi faccia volare
dove ogni cosa abbia il proprio contrario, dove il sogno s'avveri e
continui perché niente d'uguale incontri nemmeno per caso.
Non
ridete di me! Vi prego, non sono una bambina che trova linfa e vita nei
fotoromanzi fino ad illudersi di ricominciare daccapo e vivere una storia
improbabile come se un contatore virtuale potesse azzerare precedenze e
passati. Semplicemente che mi chiamassero amore! E solo dentro di me,
perché è lì che ne ho bisogno, costruirei ponti che congiungono isole,
mete e continenti attraversandoli senza la paura del mare che si fa oceano
e burrasca, nausea e vomito. Perché il mare ce l'ho dentro, nel cuore, ed
è, né calmo né piatto, ma solo tempesta che travolge fegato e cervello,
tv, famiglia e divano fino a sciogliersi nel ventre. In questo ventre
burrascoso che ha bisogno solamente di qualcuno che riduca la distanza
delle pareti, e calmi questo male di vivere che fa domande e non avrà mai
risposte finché non esaurirà anche l'ultima domanda.
Tradisco per
amore e per sesso ed alle volte, quando rincaso mi trovo a non aver pietà
di chi m'ha consentito di ridurre la mia vita a commedia, di chi m'ha
permesso d'ingannarlo senza opporre resistenza, di chi mi permette di
calcare ancora la scena come sto facendo in questo momento. E dargli un
bacio sfuggente con l'ansia e la voglia che quella sia la volta buona, che
l'odore di sesso di maschio s'insinui nei suoi dubbi o che, semplicemente,
se ne accorga gridandomi di rabbia spontanea e finalmente ribelle, dandomi
della vacca o qualcosa di simile perché altro non vorrei che in quel
momento dicesse.
Sento l'ascensore che sale, porterà coppie che
cominciano ad amarsi per voglia e per il tempo che poco rimane. Oppure
sarà lui! Ma sento più voci, forse saranno in due, sarà in compagnia di
quell'amico che nelle volte recenti s'è intrufolato nella fantasia dei
miei seni. Nel momento che la voglia sale al cervello ed annebbia vista e
ragione, sono sicura d'averglielo detto, d'avergli giurato che lui da solo
non sarebbe mai bastato a spremermi l'ultima goccia di coscienza attaccata
alle membra. Sono in due, li sento o almeno credo! Mi chiameranno ambedue
amore, e per nome m'inviteranno a sdoppiarmi per dare e ricompormi per
ricevere.
Fermi là! State giudicando! Perché prenderne due insieme
non è morale, perché una donna non può degradarsi fino a tanto, fino a
confondere il bene al piacere, l'amore alle voglie che autonome escono.
Chiederò solo un po' di delicatezza perché di più non saprei cosa chiedere
quando si è soddisfatte totalmente senza lasciare alla fantasia quello che
la realtà lascerebbe intatto e vuoto.
Sento una porta che si apre, ma
non è questa. Non sono loro. Aspetto. In fin dei conti non mi importa che
siano due, quello che vale è quest’attesa seduta su questo letto, quello
che conta è che sono qui invece di essere altrove. Non giudicatemi, non
ancora. In fin dei conti non cerco solo l’emozione di un qualcosa che sta
per accadere, non voglio solo sentirmi viva. Voglio di più.
Sento
altre voci, un ascensore si ferma al piano. Eccoli sono loro. Sono in due!
Ma non sono agitata, perché dovrei esserlo?
L’amico è in giacca e
cravatta, dice di fare presto, come se fossi un’incombenza da sbrigare più
in fretta possibile. Forse avrà un appuntamento. Io sono di spalle e non
mi vede, abbassa la cerniera senza nemmeno guardarmi, senza nemmeno
costatare come sono le mie tette oppure la parte di me con cui farà
l’amore o qualcosa di simile. Il mio amante invece mi guarda negli occhi
ed io mi sento alle stelle. Eccoli sono pronti, tutti e due in piedi, io
in mezzo a loro e l’altro dà il via.
Esperti e senza fatica mi
colmano di considerazione mentre mi affogano e mi saziano nel mare del
bisogno. Mi prendono e si guardano in faccia mentre parlano di un
ristorante, di una cena, di bionde e di more che stasera godranno i loro
favori, che stasera qualcuna carponi abbaierà alla luna. Ma non
l'interrompo, non vorrei che rallentassero quell'impercettibile niente che
il mio corpo avvertirebbe come brusca frenata, come sosta forzata che
allontana la meta.
A ritmo e simultanei senza perdere colpi mi
saziano senza sapere quale parte di me reclama ancora piacere e quale
invece s'assopisce obbediente. Ora li sento alternati, come due macchine
si sfasano e s'allineano, perdono colpi e poi recuperano, senza lasciarmi
un attimo di pausa, e mentre uno esce l'altro entra ed affonda senza
lasciarmi per un attimo vuota, per un attimo priva di questo dovuto che
reclamo con tutta me stessa.
Conosco il desiderio del maschio, che
non è fica, che non sono due tette o un sedere rigonfio, mi prendono solo
per sfinirmi, per avere ragione, per avere la meglio su un corpo che sta
lì per alzare bandiera. Ed allora quei colpi diventano sempre più maschi,
incessanti, penetranti e veloci. Sono qui tra loro, oggetto che s’accoppia
e si sdoppia per essere unica. I loro fiati diventano caldi, i loro sessi
punteruoli che mi bucano l’anima, ecco li sento, sono eccitati. Voglio il
loro orgasmo! Cosa darei ora se arrivassero insieme! C’è uno specchio in
fondo alla sala, mi guardo e provo un infinito piacere per essere
contemporaneamente l’unico desiderio di entrambi. L’amico mi dice bella,
l’amante puttana, ma sono sempre io, la sola unica donna che esiste per
quanto gode e fa godere.
Ecco sì, guardatemi anche voi, guardate i
miei seni vogliosi, le mie cosce capienti, i miei vuoti che offro, perché
tra poco tutto finirà, ma non voglio che tutto finisca con una fine, non
voglio farmi vedere ai vostri occhi appagata, perché comunque domani sarà
lo stesso. Voglio che tutto rimanga in movimento, che s'abbassino le luci,
che cali il sipario, mentre ancora i loro membri si nascondono ai vostri
sguardi, nel piacere del mio corpo che ancora può offrire. Voglio che ora,
soltanto ora, non proviate pena per me, perché io sto bene e non potrei
stare meglio, perché solo ora la consapevolezza del mio essere si
rischiara nella luce del piacere che provo, dei riflettori in sala che
m’illuminano nuda.
Ora giudicatemi!
FINE