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LiberaEva
L’ultimo metrò
"Sto andando in una casa, che non è la mia, che non è neanche una casa, ma solo una stanza dove l’acqua corrente arriva a singhiozzo con il bagno in comune sul corridoio, ma per me vale più d’una villa di dieci stanze, immersa nel verde con quaranta servizi."







Photo Dmitriy Tikhomirov

 


Alle volte mi domando cosa sarebbe successo se avessi galleggiato nel mare degli istinti senza stare a pensare quale altro futuro nella palla di vetro mi avrebbe riservato il destino. Quale uomo tra i due che ho scelto potrebbe ancora darmi quel sogno, che testarda a quest’ora vado ancora cercando, dentro questa metro che trasuda d’odori, di bestemmie e lingue straniere. Mi chiedo cosa ci faccio dentro questo budello che dritto mi porta tra strade sterrate di un quartiere che ufficialmente non conosco, un culo di mondo senza asfalto e lampioni e con i tombini che traboccano acqua piovana che sporca le suole delle mie scarpe perfette. Oh sì le mie scarpe nuove, messe oggi per la prima volta, le guardo sono color sogno con il laccetto alla caviglia e il tacco a spillo. Anche quest’uomo che mi siede di fronte le sta ammirando, ma forse lui si sta domandando quanto siano scomode e inadatte dentro una metro e come cavolo faccio a camminarci.

Sto andando in una casa, che non è la mia, che non è neanche una casa, ma solo una stanza dove l’acqua corrente arriva a singhiozzo con il bagno in comune sul corridoio, ma per me vale più d’una villa di dieci stanze, immersa nel verde con quaranta servizi. La portiera ogni volta mi saluta cortese, mi scruta da capo a piedi e sembra domandarsi cosa diavolo ci facciano due gambe senza difetti coperte da calze che costano un occhio, come mai una signora così bella e gentile si spreca ogni giorno alle cinque senza futuro. Mi vergogno solo a pensarlo! Dio se sapesse che questi momenti li vivo in assoluto segreto, che ho un marito, che sono madre di due figli e zia apprensiva che ogni domenica accompagna a messa i suoi tre nipoti.

Mi saluta cortese e sento che ha un’anima buona e forse non riesce a pensare male o forse lo intuisce pensando come me che sia solo il destino beffardo che a volte ci porta a fare scelte che mai avremmo pensato di fare. Ogni volta m’invita in casa per un “bicchierino” ed io prontamente ringrazio e rifiuto perché vado sempre di fretta, perché ho paura che mi faccia domande, che mi faccia parlare di cosa si prova dentro una stanza con le macchie di umido al soffitto, all’ultimo piano di questo stabile. Ho sempre il timore che mi chieda cosa ci passi tra me ed un amante, quell’uomo sempre discreto e ossequioso che lei chiama “bel giovanotto”. Poi la saluto e salgo le scale lentamente per via dei tacchi e sento i suoi occhi incollati sulla mia schiena, mi sembra di vederla che scuote la testa, che muta s’asciuga le mani per bene con uno strofinaccio credendomi persa.

Lui lo vedo quasi tutti i giorni feriali tranne la domenica e i giorni di festa, sono anni che ci promettiamo una vita in comune e rimaniamo appesi ai cerchi di fumo dissolti nell’aria, quando tocchiamo con un dito il soffitto e ci giuriamo convinti che tutto questo mai possa finire. Anni che chiudiamo le tende, nonostante sia l’ultimo piano, per paura che qualcuno ci veda e le nostre grida travalichino vetri, balconi e ringhiere. Anni che mi lascia vestita per non sprecare del tempo, che punto i miei tacchi sul battiscopa per non perdere l’equilibrio e neanche un frammento di voglia, d’energia che irrompe e si concentra decisa nell’unica fessura che lo fa unico e maschio.

Mi concedo nelle ore dove le altre già in casa sono in cucina, con le televisioni accese e i bambini che studiano nelle loro stanze. Sono anni che facciamo l’amore senza parlare, il suo odore mi riempie quanto il rumore di una goccia che cade dentro un silenzio e nutre e mi fiacca il cuore e le gambe nelle mie fantasie che non pensano ad altro che ad un amore identico a questo, dalle cinque alle sette dentro una stanza in affitto, dalle cinque alle sette mentre lui mi consuma la pelle e mio marito mi crede da tutt’altra parte, dall’estetista, dal medico, a passeggio con la madre di un compagno di scuola di mio figlio o in un qualsiasi posto dove la sua ingenua vigliaccheria non chiede, ma che comunque non potrebbe arrivare.

Sapessero questi uomini, che mi guardano adesso dentro questa metro, quanta purezza ci trovo in questo peccato e quanto il suo amore mi sazia con le sue braccia capienti e le sue labbra calde e materne. Mi convinco, dondolata dal vagone, che non c’è legame che possa durare più a lungo fino al punto di farmi battere il cuore, come ora che si rincorrono lente fermate ed io come al solito sono in estremo ritardo. Loro non lo sanno che questa trama di calza ha già un padrone che ansioso m’aspetta, che questo pizzo del reggiseno che fa capolino non è affidato al caso, ma al desiderio di quegli occhi che ora sul letto già da un’ora mi stanno aspettando fremente d’attesa e guardando il soffitto.

Se sapessero questi uomini che ho anche un marito e questo corpo che guarnisco come una torta di mele l’accoglie ambedue, anche a poca distanza di ore, senza averne fastidio o nausea e sazia ed affama entrambi in un sincronismo perfetto, senza mai avvertire la presenza dell’altro, senza mai che un bacio si confonda con l’altro.
A volte mi domando quanto possa durare, e mi viene un fremito se solo penso che questa potrebbe essere l’ultima corsa che faccio, l’ultima metro che prendo e sta correndo lungo un budello segreto e infedele, lungo le mie gambe che già sono pronte a muoversi ad arte per essere mare, per essere foce di un uomo che ora mi aspetta e pensa quanto sia meraviglioso inabissarsi nei miei fondali.

Sapesse mio marito come spartisco il mio piacere senza deludere entrambi! Con lui non ho mai finto un mal di testa, ma lui non sa che non è solo la domenica dalle cinque alle sette che soddisfo le mie esigenze di donna e offro i miei doveri di moglie. Ovvio che non mi basterebbe, mi sentirei una donna incompleta. Alle volte mi chiedo se sospetti qualcosa e come faccia a non dubitare di sua moglie, specialmente quando in quei momenti lo chiamo con un nome che solo io conosco, quando nel letto rimango immobile e ferma, e come un contadino che aspetta la pioggia sento un piacere da molto lontano. Mi faccio chiamare come l’altro mi chiama, mi faccio baciare come l’altro mi bacia per essere partecipe ed avvertirne la voglia che altrimenti resterebbe incollata distante in quella parte di città dove ora sto andando. Lui m’abbraccia e mi bacia, s’impegna, mette tutto se stesso, suda e mi ama come se fosse una lotta contro un nemico lontano, come se stringesse solo carne e l’anima tutta rimanesse in disparte.

In quei pomeriggi, quando i bambini sono a giocare dalla vicina, gronda e s’accanisce, e non capisce come l’amore possa essere altro, che non posso sentirmi appagata in quel letto, lo stesso dove ogni notte ci dormo, dove ci leggo quattro righe di libro prima di chiudere gli occhi e spegnere la luce.
Davvero non capisce che l’amore è altro, dare sfogo alle proprie fantasie, legarmi mani e polsi, se necessario, e immobilizzarmi alla spalliera del letto di ferro battuto per poi attendere negandosi senza dirmi ogni volta che m’ama e sono divina.

Perché davvero ho bisogno di altro, di tenere la gonna, le calze, le scarpe, di cambiarmi per essere una donna diversa e sentirmi ancora desiderata, per poi essere presa quando la voglia è più intensa, quando il desiderio travalica il suo limite fisico e nella perdizione mi sento in balia di altri uomini. E la smetta d’adorarmi come una regina, come l’unica donna in faccia a questa terra! Mi lasci sospesa a pensare che non valgo poi tanto, che fuori la porta ce ne sono altre mille che aspettano il turno e obbedienti fanno la fila. Sì, mi faccia pensare che hanno il seno perfetto, le forme di vergini acerbe e che non mostrano rughe, che sono giovani, sane e belle e non hanno i dolori del tempo. Sono solo lì pronte e lo aspettano lasciandomi in ansia per tutta la notte per poi bramarlo al mattino quando torna disfatto e puzza di femmina e di tradimento. Come posso fargli capire che l’amore è altro, che è anche questo? Ma mi rendo conto che è difficile pensare a tutto questo dentro un letto dove ho partorito due figli, dove ci passo i giorni quando ho qualche linea di febbre, dove ogni settimana cambio le lenzuola e il profumo d’ammorbidente è più forte di qualsiasi odore di voglia d’amore.

Seduta accavallo le gambe e penso che se solo volessi ci vorrebbe assai poco a far cambiare i pensieri che girano stanchi dentro queste teste chinate di fatica e lavoro. Mi guardano con gli occhi calati di sonno, mentre io sono qui fresca come una rosa che emana odore di buono e di doccia, di femmina calda che ostenta la seta. Se solo volessi potrei trovarne uno all’istante che cada ai miei piedi e lecchi i miei tacchi, e basterebbe ben poco, non so una trama di pelle, un merletto sfrontato che fa capolino per fargli scordare mogli, fatica, sonno, noie e bambini o quella rata che scade o un malanno in agguato. Se solo volessi basterebbe ancora di meno, un sorriso stampato, un guanto di rete che ho nella borsa, davvero poco per sentirmi ancora più bella e così ammaliante da infilare due occhi nell’incavo del seno che fa gioco con l’ombra, o nella sottogonna che timida esce e fa più effetto di qualsiasi coscia in bella mostra.

Non c’è altro posto al mondo che io conosca dove si concentrano sguardi, attenti e guardinghi per ogni piccola mossa, un movimento leggero, come bocche da fuoco o cecchini sui tetti che ti seguono accorti pronti allo sparo. Potrei prendere l’astuccio dei trucchi e far finta di guardarmi allo specchio, magari sparlarmi di rosso le labbra che di sicuro a quest'ora non ne hanno bisogno. Se solo sapessero cosa si cela sotto questi capelli, sotto queste unghie laccate perfette che sono l’unica cosa a cui tengo davvero.

Difficile davvero pensare tutto questo, dentro un metrò che mi porta diritta dentro l’amore che poi non è amore, dentro una casa che non è una casa, tra le braccia di un uomo che nemmeno conosco e se ci penso davvero esiste solo nella mia fantasia. Mio marito sarà già a casa che aspetta ed io sento l’imbarazzo di quest’uomo di fronte che possa aver carpito i miei pensieri più caldi e davvero ci crede, cavolo se ci crede che i miei seni hanno già due padroni, due lingue, due bocche, due sessi in attesa.

Mi guarda, ha due occhi grandi come noci, ora mi sta sorridendo. Vorrei dirgli che di niente dovrebbe essere certo tranne queste due gambe che ora accavallo, questa trama di calza che strofino leggera, per essere convinta che non sia l’ultima metro, che anche domani ed ogni giorno che passa, altri occhi possano farmi sentire più preda, come una bimba sopra gli scogli che recita sottovoce filastrocche e sporcizie, sentite di sfuggita da un amico più grande.
Oppure come una donna che aspetta l’onda che sbatte, che sente il risucchio dell’acqua e del vento, e s’infrange e s’infila dentro il regalo, che uomini a mandrie considerano tale, tra il desiderio infinito di darla al mondo e tradire il suo uomo per la stessa ragione che ora mi fa aprire maliziosamente le gambe, cercare attenzione dentro una metro bollente.

Ed io mi sento felice perché anche oggi due occhi sconosciuti hanno riempito il mio bisogno di essere desiderata, nutrito la mia fantasia tra le figure di umido decorate sul muro, tra un amante che mi aspetta e una padrona di casa che mi offre un “bicchiere”, tra le ore che scorrono dentro una metro, tra i miei sogni paralleli a questo vagone, che ora stride e s'arresta, ed io m'accorgo sorpresa che sono già arrivata, che il tempo è passato in fretta, che è la mia fermata e non conosco le altre, quelle che portano in periferia, in un culo di mondo senza asfalto e lampioni e con i tombini che traboccano acqua piovana, perché ora mi alzo, sorrido a quest’uomo dagli occhi di noce e scendo, ogni giorno puntualmente scendo, a due passi da casa.








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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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