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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La chat del sabato sera





 Foto Eve Em


 


 
 


Cara Redazione di LiberaEva,
ho 47 anni, sono sposata da più di venti, ho una figlia che studia a Londra ed un figlio che ha deciso di vivere da solo. Naturalmente ho anche un marito e un lavoro in una azienda privata che per ovvie ragioni non cito.
Le mie giornate scorrono lente, tra l’ufficio e la mia bella casa a due piani immersa in un tranquillo giardino alle porte di Roma.
Adoro la bellezza, adoro quel romanticismo decadente che spesso ritrovo nelle vostre pagine, e non nascondo che spesso riconosco tra le righe le mie stesse inquietudini.
Curiosa leggo i vostri racconti ed oggi, approfittando delle ferie estive, ho deciso di scrivervi un racconto che, tra fantasia e realtà, descrive una fase della mia vita recente.

È sabato sera,
ed io sono qui davanti al computer. Mio marito invece è di sopra e si sta preparando per andare a dormire, conosco a memoria i suoi passi e scommetto che ora sia in bagno. Tra poco mi chiamerà e mi domanderà se tutto va bene, se mi serve qualcosa ed io risponderò che non ho bisogno di nulla, che sono soltanto in trepida attesa. Sono collegata in messenger e non vedo l’ora di vedere quell’icona verde illuminarsi come una lampada a giorno, un faro di notte che mi guiderà nel suo porto.

Mio marito mi darà la buonanotte sapendo benissimo che non ho intenzione di andare a dormire, che sarà una notte da sveglia e l’alba arriverà senza rendermene conto svegliandomi dal sogno dove ora m’immergo. Ecco questo è il punto! Se solo mi mettessi a pensare mi ci vorrebbe una forte dose di irrazionalità per non accorgermi quanto d’incredibile ci sia in questa situazione nonostante mi ostini a vederla normale.

Mi ripeto che non è colpa mia, e mai avrei pensato di sentire così forte l’esigenza di avere un mio momento senza mio marito, una specie di nicchia, di ventre di vacca dove in qualche modo mi cullo, mi scaldo e mi convinco che non faccio nulla di male e per nessun motivo ora tornerei indietro a quando le mie serate erano fatte di vuoti riempiti soltanto dalle mie ansie.

Seduta davanti al monitor aspetto e conto i secondi intercalandoli ai miei respiri profondi per essere sicura di quanto ancora manchi, calcolando esattamente l’attimo in cui lo vedrò arrivare. Ormai manca davvero qualche altro respiro, lo vedo dalla mia gonna di seta che inizia a non mantenere la piega, lo vedo dalla mia camicetta impaziente. L’ho comprata aderente per inebriarlo della mia passione, per confonderlo con quest’ammasso di voluttà che colpirà diretto i suoi occhi.

Tra poco arriva ed io non voglio che sia cortese, che mi saluti come una qualsiasi altra amica paziente di chat. “Certo che c’è mio marito, certo che dorme!” Del resto che altro potrei fare ogni sabato sera se non fossi sicura che nulla cambierebbe le nostre abitudini? Lo so che sono certezze che traballerebbero al primo soffio di vento, ma io mi chiedo cosa penserebbero gli altri se sapessero che stiro e ristiro queste pieghe di seta per avere l’esatta misura, dopo l’amore, di quanto mi abbia voluta! Cosa penserebbe mia madre? Cosa direbbe la mia amica Francesca, alla quale per pudore o vergogna non le ho mai confidato cosa faccio il sabato sera…

Tutto è successo quando malata d’insofferenza l’ho incontrato in uno di quei forum di medicina on-line. Ero già sposata ed ho trovato nei suoi occhi il senso della mia vita, nelle sue parole di medico la risposta alle mie tante domande. Sono bastate poche frasi per capire che la fonte del mio malessere non risiedeva solo nella testa e che nessuna medicina avrebbe mai calmato la mia ansia.

Era semplicemente torpore, carenza di emozioni, era semplicemente il male di vivere, ma al tempo non lo sapevo, vagavo nell’attesa e nella speranza che mio marito potesse ancora darmi quel senso, ed invece, eccolo, ora lo sento, mi chiama: “P. tutto bene?”

Non sa dire altro, forse nemmeno immagina perché tra noi sia tutto finito e perché sono costretta a stare su questa sedia agitando le mani perché si asciughi più in fretta lo smalto. Non facciamo l’amore da anni, è bastato saltare un sabato sera per renderci conto di star bene lo stesso. Lui sa di sicuro che a breve riceverò visite, che il mio dottore mi cura on-line ogni sabato sera e la parcella è gratuita perché nella cura c’è il prezzo, perché la ricevuta sarà la considerazione di cui ho bisogno, le parole leggere e quelle bollenti che avvolgono fitte il mio senso abbondante, anche se mai ho sentito tra le mie pieghe più secche la sua vera brama, il sapore della bocca, il caldo del fiato.

L’ansia mi sale, ho perso il conteggio, mio marito ha interrotto i secondi! Ora non so più quanto manchi, quante manciate mi dividono da questa pazzia di vederlo spuntare dentro questa finestra. Qui c’è tutto il mio mondo, qui il senso di essere donna, la consapevolezza di essere desiderata e mai e poi mai lo accoglierei altrove, sotto la luna o dentro uno squallido albergo.

Lo voglio qui senza uscire, perché mai uscirei il sabato sera, qui, distante e vicino, con le sue parole che trasudano immagini di passione e d’amore, qui dove ogni desidero diventa reale, ogni fantasia una speranza di viverla a breve. Lo voglio qui, per volare, per andare a ballare, per una pizza, un caffè o un teatro, oppure al cinema o fare l’amore, dentro questa casa, come fosse uno di noi, tra queste mura che mi danno la certezza che non faccio nulla di male, che mai e poi sconvolgerebbe la mia vita di sempre.

Eccolo mio marito, eccolo mi chiama: “P. non vieni a dormire?” Sempre la stessa finzione, lo stesso punto interrogativo! Sono anni che sa. Non ha mai avuto il coraggio di venire a vedere, a constatare come sua moglie si faccia debellare l’ansia, si faccia guarire le pene incastonate nelle fibre del cuore.

Appena lui si addormenta, in un sincronismo perfetto, questa icona grigia si illumina verde ed è quello il momento, il mio tudor on-line, severo e deciso, mi guarderà direttamente negli occhi per vedere quanto mi è costata l’attesa, mi fisserà con fare professionale perché oltre l'amore, è importante la cura e lui non ha mai sbagliato una dose.

Non gli darò il tempo di un saluto, basterà che lui mi guardi e mi dica bella, mi dica che ho un corpo perfetto, anche se sappiamo tutte e due che gli anni ed i farmaci lo hanno appesantito. Mi vedo grassa, alle volte brutta, e non riesco a capire come faccia a non rendersene conto. Ma lui non ha mai bucato un sabato sera e se facessi il conto di quante donne incontra compresa la moglie me ne andrei immediatamente a dormire.
Ma poi basta un niente, un piccolo sussulto e i nostri sincronismi perfetti ci conducono nelle nostre visioni oniriche e vedo le sue labbra che cercandomi s’affogano dentro il mio seno, e vedo le mie, colme di rossetto, che si fanno culla e tana, capienti per il suo corpo perfetto.

“P. guarda che domani dobbiamo andare al mare, dobbiamo alzarci presto!” Eccolo che ancora insiste, che fa finta di non aver capito. Ma secondo lui cosa ci sto a fare vestita in questo modo? Come fa a non accorgersi che sotto il vestito c’è un circo di fiocchi, d’acrobati e nani e zucchero filato?

“P. devi ancora prendere le pillole.” Che patetico! Non sa che sto aspettando il mio dottore! Fa finta di non sapere! Sarà lui a darmi la medicina, sarà lui a dirmi quante gocce o fiale devo prendere questa sera, nel modo più opportuno, distesa sul tappeto o su questo tavolo di legno oppure dietro quella tenda dove l’ardore diventa carne, odore acido di intimo, sapori pesanti di appena mangiato.

“P. allora?” Non mi dà tregua, non sopporta l’idea che la mia serata sia appena iniziata, mentre lui in pigiama s’è rassegnato da anni a chiudere le porte ad ogni passione, non fosse altro per l’istinto che di sicuro sente e magari vorrebbe se non fosse per la fatica di ricominciare daccapo dopo anni di completa astinenza. Non sopporta l’idea che a breve sua moglie sarà di nuovo adolescente, che un uomo possa ancora ridarle la linfa e la cura per essere un qualsiasi fiore prima che l’alba lo immerga.

Non lo ascolto, oramai manca davvero un niente. Ho ripreso a contare i secondi che leggeri ora scivolano come se fossero mani, mani di mestiere che mi palpano il seno e poi vanno giù sfiorandomi il ventre. Si fermano per ascoltare il dolore, s’arrestano e pigiano per sentire più chiaro il tremore, per individuare il punto preciso dove è più forte l’attesa. Ora le avverto, si sdoppiano e scendono, attratte dall’unica fonte da cui nasce il calore.

Vorrei gridargli tutta la mia gratitudine, tutta la mia sorpresa, urlargli che mai altre mani mi hanno esplorata a memoria, mi hanno toccata come le sue da esperto non mi danno più tregua. Si sparpagliano esattamente dove è più forte il bisogno, s’aggrovigliano per sciogliere i nodi dell’ardore. E sono lame e sono lampi, sono grondaie dove si incanala la pioggia, sono foglie vaganti che danzano e s’adagiano sopra questo autunno che scorre, e scorre silente come un fiume sotterraneo, un fluido irruente di calma e piacere.

Se non fosse per questa attesa di ore penserei davvero d’essere sola dove soltanto mio marito s’affaccia e mi chiama per portarmi a dormire, ma ormai mi sento come dentro una nuvola sparsa, un batuffolo di ovatta, e le voci si confondono a queste mani che m’accarezzano ed indugiano fino a diventare dita ed unghie e salgono e scalano come ci fosse una vetta da raggiungere, ci fossero metri di pietra, di roccia lungo questa parete dove mai vedo la fine.

Non so quanto la cima sia ancora lontana, m’aggrappo ai braccioli della sedia per non cadere, apro gli occhi per tenermi in equilibrio, e scalo e m’aggrappo perché sia più forte la vertigine, la voglia infinita d’ebbrezza e di abisso. Da questa altezza potrei spiccare il volo, apro le braccia, volo, plano e decollo, nell’infinito celeste che ora mi culla. L’icona grigia mi guarda, ancora non è verde, ma so che manca poco, e tra poco arriva, sta arrivando, certo che arriva, perché lui mi vuole, perché è sabato sera, ed il sabato sera noi andiamo a ballare e poi facciamo l’amore.

Ecco ora ci sono! Lui c’è! Chiudo gli occhi e vedo l’icona verde, più li chiudo e più il verde diventa accecante, ecco ora è lì, mi parla, mi dice che sono bella, che è pronta la cura, ed io vorrei ringraziarlo, incitarlo, dargli la forza per portarmi ancora più in alto, ma non mi esce la voce, vorrei domandargli sbalordita come possano essere così calde le sue parole, così nitide le sue immagini, vere queste storie, esperte le sue mani, professioniste le sue dita che ora padrone affondando nel mio mare…

Ed io volo e sto ferma, esattamente sincrona alle sue parole, alla storia che ha scelto per portarmi laddove, un uomo mi lega e un altro pretende, uno sconosciuto mi prende nella toilette di un albergo, inginocchiata e ubbidiente gli procuro piacere, le mani, le cosce, le labbra, il sedere. Mi esorta a non smettere, mi dice che sono bella, femmina e regina, certo sì mi dice anche puttana, perché è nell’essenza delle cose desiderare d’essere come lui mi vuole. E sono mani e carezze, sono strette di pelle, parole volgari che riempiono l’anima, ma anche baci intensi e profondi che toccano il fondo del cuore.

E lui è lì che tocca il fondo del mio piacere, che mi guarda severo, che prescrive ricette e le posizioni più giuste, alle volte mi sgrida altre mi ama, altre mi spinge a fare di meglio, a mettere in gioco tutta me stessa, perché io sia foce d’ogni fiume che sbocca, perché io sia sgombra d’ogni dolore e lentamente mi svuoti per far posto all’amore.

Apro gli occhi, l’icona è di nuovo grigia e risulta offline, è già andato via, lo so che è tardi, lui rimane giusto il tempo per la cura, forse mi ha dato la buonanotte ed io non l’ho sentito, forse ha altre pazienti da curare, forse la moglie, forse mi ama così tanto che non vuole che faccia tardi, forse sa che domani devo alzarmi presto, che devo andare al mare…

“P. allora?”
“Eccomi!”
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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