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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il senso della colpa


 


 Photo Anna Rawka
 


“So!”
Disse lui.
Insolitamente la tv era spenta e fuori c’era un tempo da lupi.
“So!” Disse ancora, come un tuono prima dell’acquazzone. “So”, prima persona singolare del verbo sapere. “So”, senza aggiungere altro. Come se prima ignorasse e ora appunto sapesse, un mistero svelato, un fatto inquietante, un segreto intimo che trafigge anima e cuore. Appunto “so”, un suono pesante che riempie la bocca, detto con la stessa intensità di uno squarcio di luce.
“So!” Disse di nuovo, dopo la cena con gli ospiti. Seduto sul divano si stava versando un dito di whisky nel calice di vino, nel bicchiere non adatto. E quel misero verbo rimbombò tra le pareti e i mobili della bella sala da pranzo in stile veneziano. “Lo so, Rose!” Disse ancora guardando sua moglie in viso, come se tutto l’intorno non avesse più senso, come se ora lui sapesse quello che evidentemente lei già sapeva. Ovvio quello che lei, la bella signora vestita in lungo nero, già sapeva o doveva sapere.

Gli amici erano andati via ormai da un’ora, la cena per il compleanno della signora era stata un incanto, tutto perfetto come i regali che aveva ricevuto, le candele al profumo di vaniglia, la musica anni ottanta e quello Shiraz rosso d’annata. Quarant’anni lei e non li dimostrava, splendida, elegante e sensuale con il suo décolleté profondo e il suo rossetto d’un tono più vivo. Era lì davanti a suo marito, bella e statuaria, con i suoi fianchi perfetti che facevano del suo vestito un’opera d’arte e con i suoi capelli bicolori tagliati corti per l’occasione. Quarant’anni appunto, dieci dei quali vissuti con suo marito, il quale ora come un estraneo ripeteva a cadenze regolari il suo “so”.
Lei aveva impartito le ultime istruzioni alla cameriera ed ora appoggiata al bracciolo della grande poltrona ascoltava quel “so” e impietrita strizzava gli occhi come per capire, ovviamente non sapeva cosa sapesse suo marito o per meglio dire quanto sapesse.
Provò a ridere poi ad essere seria, poi assunse un’aria riflessiva tenendo la mano sotto il mento. Aspettò ancora qualche secondo, ansiosa che suo marito pronunciasse almeno l’oggetto del suo sapere, non perché lei non sapesse, ma almeno per essere sollevata da quell’imbarazzo evidente. Aspettò ancora poi, lasciando che le sue braccia cadessero lungo i fianchi, disse spazientita: “Cosa sai, Paul?” Accompagnando la frase con un prolungato sospiro in modo che suo marito intercettasse la lieve spossatezza.

Paul aveva compiuto da poco sessantadue anni. Quasi ventidue anni di differenza rispetto a sua moglie, troppi, tanti, da pesare enormemente nel loro rapporto. Lui era in seconde nozze e dal precedente matrimonio aveva avuto due figli, ormai grandi. La figlia Amanda addirittura aveva la stessa età di Rose, Larry invece era di poco più giovane ed era presidente di una multinazionale con sede a Vancouver.
Lei ora lo stava guardando, il suo era uno sguardo pieno di apprensione, quasi materno e come al solito avrebbe voluto proteggerlo, evitargli quello strazio. Ultimamente era stato poco bene e la sua ex moglie aveva preferito tenerlo all’oscuro della malattia di Larry. Purtroppo il responso medico non era stato lusinghiero, avrebbe dovuto fare altri accertamenti, ma il sospetto di un male incurabile non era scongiurato del tutto.
L’ex moglie si era raccomandata e Rose, per via del cuore di Paul, aveva tenuto il segreto. Ora non gli staccava gli occhi di dosso. Era decisamente un uomo di bell’aspetto, le mani curate, i modi eleganti, ma in quel momento lo vedeva come un bambino indifeso, bisognoso di affetto e conforto come del resto appaiono tutti gli uomini ai quali si nasconde la verità.

“So, Rose!” Lui disse ancora stringendo con la mano sinistra il bicchiere non adatto. A Rose in quel momento apparvero tutti i fotogrammi della loro vita insieme. Dieci anni appunto, ma tra loro purtroppo non era mai scoccata la scintilla della passione. Ne avevano parlato più volte, avevano fatto lunghi viaggi, ma le parole e i posti esotici non avevano mai aiutato la loro intesa. Forse solo nei primi anni prima di sposarsi, ma poi la cosa era scemata e nessuno dei due si era sentito in dovere di riprovare tanto che ora convivevano ignorando le pulsioni e l’appetito dell’altro.

“So, Rose!” Disse ancora Paul con un filo di voce, accompagnando questa volta il nome di lei con un sospiro di vapore dentro il bicchiere non adatto. Lei scosse la testa e non si spiegava come mai suo marito si stesse cacciando in quel misterioso e teatrale ginepraio. Passò ancora qualche secondo. Lui si accese il suo mezzo sigaro toscano.
“Ti fa male Paul non dovresti fumare, lo sai vero?”
Ma lui non badò a quelle parole e riprese.
“Mi hai sentito?” Disse ancora. “Non hai nulla da dire?”
Beh chi tace acconsente, pensò a quel punto la bella signora accavallando le gambe, e lei, di certo, non voleva essere così crudele da non dare spiegazioni. Lui non se lo meritava per cui parlò.
“Cosa sai, Paul?” Questa volta lo disse con un tono più alto e netto, come fosse l’anteprima della tragedia quando gli attori si rischiarano la voce.
Ma era sempre un modo di attendere, anche se quel “so” era comunque una presa d’atto, quasi un regolamento di conti. In effetti era possibile che suo marito barasse, che avesse solo un sospetto, quindi la domanda era lecita. Del resto non era lei a dover scoprire per prima le carte. Ma Paul fece finta di non sentire, oppure i suoi pensieri erano troppo profondi per tornare in superficie ed ascoltare sua moglie. Alla fine replicò il suo mantra: “So!” E questa volta aveva usato lo stesso timbro di voce di sua moglie, un “so” netto, senza ombre e senza bluff.

Eh già suo marito sapeva e lei non era in grado di sapere quanto, anche se il problema in quel momento non era l’ordine di grandezza, ma il fatto stesso che lui sapesse. Davanti a quel “so” netto, tagliente come una lama, la tensione in quella casa iniziò a salire e in quei casi o non si ha nulla da nascondere oppure si cerca di limitare i danni.
Quel “so” era troppo netto per non essere un’accusa, oppure una sentenza di condanna ed evidentemente Rose aveva qualcosa da nascondere per cui decise di andare oltre per evitare la crudeltà del racconto, per evitare che lui raccontasse o peggio che lei fosse costretta a raccontare. Allora si mise seduta sullo stesso divano, alla sinistra di Paul. Assunse una postura meno da donna fatale e più materna. Addirittura le sfiorò il viso come fosse una carezza e riprese.
“Anzi, facciamo così, non voglio sapere quello che sai, è evidente che tu credi che io sappia quello che hai saputo, ma vorrei sapere come lo hai saputo e da chi!”
Gelo. In quel silenzio si sentì chiaramente il miagolio di un gattino in lontananza.
Davanti a quella frase Paul rimase interdetto. Strinse il bicchiere di whisky non adatto ed ebbe un attimo di sbandamento. Forse si aspettava altro, che lei negasse o trasalisse chiedendo cosa sapesse oppure semplicemente lo rassicurasse. Ma questo non avvenne e quella frase aveva il sapore acre di un’ammissione di colpa. Entrambi ora sapevano, o meglio lui sapeva e lei era a conoscenza che suo marito sapesse.

Allora Paul sospirò di nuovo, questa volta appoggiando la testa sullo schienale del divano, guardando il soffitto e inondando la stanza di quel fumo denso. Pensò. Forse lei gli stava dando una scappatoia evitandogli la pena dei dettagli, di spiegare l’oggetto del suo sapere e di pronunciare una sentenza, ma non ne era persuaso del tutto. Oppure lo considerava un dato di fatto ed il fatto che lui sapesse non cambiava le cose.
A sua moglie interessava sapere semplicemente come lo avesse saputo e da chi. E tutto il resto? La pena, l’angoscia, il dolore? Nulla di nulla, come se fosse normale tutto questo e non fosse altrettanto normale che lui sapesse. O no, non doveva cadere in questa trappola.
E allora riprese: “So, Rose, so!”
Ecco ne aggiunse un altro alla fine, come per non andare oltre, come se l’ammissione di sua moglie non avesse alcuna importanza, perché importante ora era solo il fatto che lui, non importava da chi, non importava come, lo sapesse.
Poteva benissimo dire di averlo intuito, di averla sentita parlare al telefono, ma cosa sarebbe cambiato rispetto al fatto che lui sapesse? Terminò la coda dei suoi pensieri a voce alta: “… Perché senza sapere si può anche conviverci, quindi il punto è che io so!”
Rose non si fece scappare l’occasione: “Quindi non è importante che io abbia un segreto, ma il fatto che tu lo sappia.” Rispose lei, con un punto a suo favore.

Ora la percezione di Paul era al massimo della potenza.
“Quale segreto Rose?”
“Mio caro… mi stai ripetendo da più di mezz’ora che sai e detto in quel modo non può che riguardare la nostra vita di coppia.”
“Cosa te lo fa credere?”
“Se fosse stato altro, avresti continuato a parlare invece vuoi solo alzare un muro tra noi due.”
“Forse quel muro lo hai alzato tu!”
“Paul per me non cambia nulla.”
“Rose è evidente che per me cambia, forse per te non cambia nulla a parte il fatto che io sappia.”
A questo punto era ovvio che non fosse lo stesso sapere, come era ancor più evidente che sua moglie avesse qualcosa da nascondere. Che stupido! Non ci aveva mai pensato, ma ora la tragedia stava degenerando in farsa, per cui decise di rimanere nel gioco.

Rimasero di nuovo in silenzio e in quel silenzio vibrò il cellulare di Rose.
“E’ lui?” Disse provocatoriamente Paul.
“Ovvio, chi vuoi che sia a quest’ora? Scrive che la cena è stata ottima e mi augura la buonanotte!”
“Rose mi stai confermando che hai una relazione?”
“Paul sei tu che mi hai detto che sai. Tu mi hai costretta! E ora sarebbe penoso negare.”
“Ma, accidenti, è diverso ammettere che io sappia rispetto al fatto che candidamente lo ammetti senza per altro avanzare una scusa.”
“Io non ti sto confermando nulla, ho solo risposto ad una tua domanda.”
Lui si agitò, ora la situazione era molto più chiara e il segreto di sua moglie si era materializzato in quella fastidiosa vibrazione del telefono.

“Rose io non voglio perderti.” Ora la stava guardando dritta negli occhi come per rafforzare il suo concetto.
“Non mi stai perdendo Paul, se fosse stato così sarei stata io a volere questo chiarimento.”
In effetti Rose non aveva mai pensato a questa eventualità. Le dispiaceva per Paul e per le sue condizioni di salute e per quelle di suo figlio. Avrebbe voluto non parlare, rimandare, però dal canto suo stava vivendo un momento felice della sua vita personale e non voleva assolutamente che le cose cambiassero. Per anni aveva cercato un amante, e dopo vari fallimenti, si era accorta quanto la felicità fosse molto, ma molto più vicina. Ovvero il socio in affari di suo marito. Ovvero la persona con relativa consorte con i quali si incontravano a cena almeno due sabati al mese.
Silenzio.

“Vi ho visti stasera mentre parlavate.” Paul rimase nel gioco, scoprendo una carta qualunque.
“Già sapevi Paul?”
“Sì.”
“Se me lo avessi detto prima, avremmo evitato tanti accorgimenti inutili e penosi.”
“Lo avresti fatto alla luce del giorno?”
“Paul non mi far dire cose che non ho detto.”
“Cosa vi stavate dicendo?”
“Banalità che si dicono tra due amanti.”
“A me Rose non ci pensi?”
“Certo che ci penso e non credere che non abbia i miei buoni sensi di colpa.”
“Forse quei sensi non sono propriamente di colpa, ma di altra natura.”
“Smettila Paul!”
Lei alzò leggermente la voce e dal suo bel trucco iniziarono a scendere lacrime di rabbia.”

Paul rimase immobile. Lei si asciugò il pianto con i polpastrelli della mano destra.
“Come lo hai saputo, Paul?”
“Mi hai costretto a seguirti. So dove vi incontrate.”
“Beh è una banale casa al mare.”
“Lo so Rose, risparmiami i dettagli.”
“Ma non sono dettagli è solo una casa al mare che tu tra l’altro conosci.”
“Ci fai l’amore?”
“Oh Paul, ma non eri tu a non voler sentire i dettagli?”
“Questo non è un dettaglio! Ci fai l’amore?”
Lei strinse le labbra, sarebbe stato troppo penoso rispondere. E disse: “Sono anni che non mi guardi, che dormiamo insieme come fratello e sorella.”
“Non la prendere alla larga Rose.”
“Senti Paul, saperlo o non saperlo non cambia assolutamente nulla, il nocciolo della questione è il nostro rapporto, il resto sono normali e fisiologici appetiti di una donna.”
“Rose, vuoi far apparire normale quello che non è!”
“Paul, non è normale avere desideri?”
“Rose, non è normale la casa al mare, il mio socio in affari. Credo anche sua moglie stasera abbia capito…”
“Non credo, me lo avrebbe scritto, se lei sapesse sarebbe un finimondo…”
“Mentre il fatto che io sappia è del tutto normale vero?”
“E’ normale considerando la nostra vita di coppia.”
“Mentre la loro immagino vada a gonfie vele…”
“Credo di sì, per non creare sospetti è costretto a onorare la tavola…”
“Quindi secondo te lei non sa e non immagina…”
“Credo di no Paul.”
“Secondo me ti sbagli…”
“Paul, ma cosa c’entra il loro rapporto con il nostro?”
“Nella misura in cui siete amanti!”
“Ma tra noi Paul non c’è mai stata sintonia…”
“In amore si è sempre in due Rose! E poi ultimamente io ho cercato di recuperarti, ricordi il viaggio a San Pietroburgo?”
“Si ricordo, mi è sembrato strano, ma era ed è tardi, ora non voglio.”
“Perché?”
“Lui non vuole.”
Silenzio.

Rose ora si stava mordendo le labbra, era decisamente pentita, non avrebbe mai voluto dirlo… Sapeva quanto quell’ammissione potesse fare male. E allora poggiò la sua testa sulla spalla di Paul e riprese, cercando di ammorbidire la situazione e di riportare suo marito alla ragione.
“Tesoro, certo in amore occorre essere in due, ma ti rendi conto o no che il sesso è un aspetto che non riguarda la nostra vita di coppia? E sa Dio quanto avrei voluto e quanto sia stato penoso cercare altre braccia prima di incontrare lui.”
“Mi stai dicendo che ci sono stati altri uomini, prima?”
“Vedi Paul che era meglio non parlare? Che il sapere è sempre limitato e non ti dà il diritto di sapere altro.”
“Tanti?”
“Alcuni.”
Silenzio. Lui affogava le labbra nel suo bicchiere non adatto. Lei sbirciava il nuovo messaggio sul cellulare.

“C’è sempre un momento per ricominciare…”
“Vuoi propormi un viaggio Paul?”
“Vorrei che tu non lo vedessi più.”
“Paul, questo non è possibile, non sei tu a dover decidere di interrompere una storia, questo divieto avrebbe l’effetto della benzina sul fuoco.”
Poi riprese.
“Tu hai diritto a interrompere la nostra relazione.” Lo disse con voce profonda e solenne.
“Tu vorresti?”
“Ma scherzi?”
“Dimmelo e ti prego di essere sincera.”
“O no Paul non vorrei.”
Rose stava pensando al suo amante. Sarebbe stato penoso per lui avere per amante una donna non sposata o peggio separata. Conosceva la vita e sapeva che tra single e sposato a lungo andare non avrebbe potuto funzionare. In queste occasioni sarebbe stato sufficiente muovere una carta perché tutto il castello crollasse. No, no! Del resto la loro relazione si basava principalmente sulla complicità, sull’attesa, sul segreto di un rapporto clandestino. In quel momento non solo sperava che suo marito non prendesse decisioni avventate, ma che il suo amante non venisse a conoscenza che Paul sapesse. Ovvio che queste elucubrazioni stridevano, ma lei aveva bisogno di quel rapporto, di quelle divagazioni che le davano l’energia necessaria per affrontare anche la situazione di suo marito e della sua famiglia. Mise la retromarcia ai suoi pensieri e disse:
“Paul io ti amo!”
“Ma non farmi ridere Rose.”
Poi riprese stringendole la mano.
“Tu mia cara, ami solo te stessa, non rinunceresti mai alla bella vita ed ora che io so sarà ancora più comoda.”
“Dici Paul? Ho forti dubbi che sia così.”
“Dico.”
“Allora non mi lascerai vero? Non farai pazzie vendicandoti su di lui, vero?”
“Rose ti concedo lo stesso diritto di un condannato a morte, ovvero l’ultima sigaretta.”
“Sai che non fumo!”
“Ti sto dicendo che ti concedo il tempo necessario per affrancarti da lui.”
“Quanto tempo?”
“Il tempo che riterrai necessario.”
“Allora Paul non mi dai limiti.”
“Lo hai detto tu che sarebbe benzina sul fuoco.”
“…. E non dirai nulla al tuo socio?”
“Ti preme vero?”
“Lui ha salvato il nostro matrimonio, non so se ce l’avrei fatta altrimenti.”
“Quindi non mi prometti nulla, vero Rose?”
“Non sarei in grado di farlo ora, però ti prometto che non ti lascerò mai.”
“Come fai a dirlo. Rose?”
“L’uno non esclude l’altro!”
Silenzio, un altro messaggio.

“Paul davvero ci hai seguiti?”
“No Rose, ho una mia dignità, lo sai che non lo avrei mai fatto.”
“E come sai della casa al mare?”
“Me lo hai detto tu Rose.”
“Ma ci hai visto parlare stasera, quindi già dubitavi di noi...”
“Non sarebbe scandaloso se la padrona di casa intrattenesse un ospite.”
“E allora chi te l’ha detto?”
“Tu Rose.”

Rose si irrigidì all’istante. Urlò sottovoce.
“Paul ti prego, perché mi ripetevi insistentemente “Io so!”?
“So di Larry, Rose, e so che la mia ex moglie ti ha chiamata due giorni fa e tu d’allora stavi cercando il momento giusto per dirmelo. Stasera volevo solo evitarti la pena di dirmelo e dirti appunto che sapevo.”
“Per questo, Paul, lo ripetevi insistentemente?”
“Solo per questo Rose.”
“E perché allora non hai continuato a parlare?”
“Credevo che tra noi, Rose, non ci fossero altri segreti.”
“Mi spiace tanto Paul. Volevo evitarti il contraccolpo della brutta notizia ed ora ho fatto peggio!”
“Già.”
“E adesso?”
“Adesso niente, non cambia nulla! Il tradimento sta nelle cose, ma anche l’amore che mi hai dimostrato sopportando il peso e tenendomi segreta la malattia di mio figlio.”
“Paul non dare per scontato quello che non è, domani deve fare altri accertamenti, vedrai andrà tutto bene.”
“Speriamo, Rose.”

Paul deglutì velocemente poi riprese.
“Stasera ho saputo due orribili cose … ma forse entrambe sono la dimostrazione che mi ami veramente…”
“Che stupida che sono!” Lei non si dava pace, scuoteva la testa e batteva le sue belle unghie smaltate di rosso sul piccolo tavolino di onice e marmo rosso.
“No Rose, non fare così, forse in cuor tuo non vedevi l’ora di svelarmi la tua relazione ed aspettavi l’occasione.”
“Ma no, mai avrei voluto farti del male Paul!”
“Rose, la colpa è solo mia, sono io che ti ho ingannata e quando ho capito non ho saputo resistere alla tentazione di rimanere nel gioco.”
“Paul l’inganno è solo il mio e stasera mi hai permesso di lavarmi la coscienza. Avresti potuto fermarti prima e farmi distruggere dal senso di colpa, ma hai cercato l’equivoco per liberarmi.”
“Succede Rose, l’equivoco stesso fa parte del senso della colpa.”
“Grazie amore mio.”
“Di nulla.”


 


 





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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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