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Adamo Bencivenga
Ti dice di andare, ti dice che è tardi
Stasera vuoi concederti
il lusso di un dito di vino e un fritto di pesce, e che
sia la tua sera, una cena che dopo, continui alla meglio
oltre questa terrazza, oltre Piazza di Spagna che vedi
dall’alto, questo vento sottile che gonfia la tenda e fa
danzare le foglie, la tovaglia e il colletto di questa
camicia che in penombra traspare.
Indossi uno
scialle di seta leggera e una gonna a fiori che arriva
al ginocchio, e stasera per vezzo hai raccolto il
capelli, per mostrare il tuo viso con un po’ di
rossetto, a lui che ti guarda senza averne diritto,
perché dopo c’è Roma una passeggiata giù in centro, e
poi solo un taxi che veloce ti porta, dove oggi sei
uscita in segreto inventando, un invito e una cena con
la tua amica del cuore.
Se sapesse tua madre dove
stai cenando stasera, su questa terrazza che lei conosce
da tempo, dietro una siepe di piante d’alloro, che ti
ripara dal vento e da finestre indiscrete, anche se poi
non c’è nulla di male, anche se poi non è previsto
dell’altro, se non questa cena all’aperto e poi il
sorbetto, se non queste buone maniere studiate d’adulto.
Se sapesse davvero chi ora ti dice convinto, che mai
fino ad ora aveva visto l’incanto, che i capelli
raccolti ti fanno signora, più bella senz’altro con
questo rossetto. Poi ti versa del vino da una bottiglia
diversa, ti dice suadente di chiudere gli occhi, di
sentire il velluto, il sapore di terra, di respirare a
fondo e gonfiartici il petto, perché solo di bocca
sarebbe un peccato, che è come l’amore senza l’anima
dentro, quando scarno disseta il palato e l’arsura ed il
resto rimane assopito in attesa.
Lo segui
obbediente perché vorresti la meta, diversa da quella
che t’ha ripetuto più volte, ovvero parlare di lui e tua
madre, che dopo tre anni è giunto il momento, di
scambiarsi le fedi davanti ad un prete, di scambiarsi
promesse per tutta la vita. Ti parla di lei come una
donna di cuore, un paradiso terrestre, un sogno e un
incanto, e di ringraziare la sorte ad averla per madre,
che è forte sicura e t’ha fatto da padre, quello che mai
sei riuscita a vedere, e lei che per anni t’ha ripetuto
convinta, che era partito per un paese straniero.
Ti versa altro vino ed accarezza il bicchiere, poi
ti guarda sorride e piano sussurra, che sei cresciuta e
le somigli nei modi, quando ridi o stai zitta
aggrottando la fronte, quando cerchi con cura qualcosa
da dire, come il rosa di smalto sulle tue unghie
perfette, che in segreto nel bagno hai limato pensando,
se stasera davvero le avesse notate. Poi gli fissi le
mani e ti sembrano pale, sono grandi da adulto per
discorsi importanti, come ora le muove ed accompagna la
voce, come ora di nuovo stringe il bicchiere.
Oddio, ma davvero, cosa vai a pensare? Lui parla dei
nonni che ancora non sanno, dei tanti invitati e la
lista di nozze, da un antiquario famoso che ha cose
stupende, proprio qui sotto tra i vicoli stretti, tra i
gradini sconnessi e le gatte in amore, proprio qui sotto
dove la piazza s’unisce, dietro la palma di via della
Croce. Poi ti parla di viaggi, di Berlino e di Londra,
di un tramonto a Praga sulle tegole d’oro, di donne
dagli occhi colorati di sabbia, dai capelli di grano ed
il gusto di labbra, di pepe e lampone che mordevano il
cuore.
Ti prende la mano e ti senti svenire,
perché hai sempre sognato di sentirti importante,
accanto ad un uomo che cinge i tuoi fianchi, fasciati di
nero di seta che doni, a lui che ripete che a
quarant’anni passati, incontrare tua madre è una fortuna
sfacciata, e ringrazia il destino per ciò che gli ha
offerto, la donna più bella in faccia alla terra. Tu
guardi la strada, la Barcaccia, i cavalli, senti da
dentro l’amarezza che sale, più parla di lei e più ti
senti una bimba, come fossi vestita in tuta e scarpette,
e ti si impacciano i gesti e ti mangi parole, ti mordi
le labbra e muta annuisci, senza dirgli che quando hai
accettato l’invito, era tutto segreto e credevi ben
altro.
Invece sei qui ad ascoltare gli elogi, di
lei come un polipo che arriva ovunque, che aleggia
stasera su questa terrazza, come un cielo pesante
s’annuvola a cappa, e tu esisti perché sei solo la
figlia, di una donna elegante ricca di dentro,
dall’animo nobile e le maniere gentili, che è bella, che
è alta e tu un metro e cinquanta. Ti volti di scatto e
lo fissi negli occhi, perché ti scavino dove senti
covare, l’anima in fiamme che ha bisogno di altro, di
altre parole che sarebbero adatte, a togliere terra nei
punti più giusti, a farti sentire un germoglio che
cresce.
Se sapesse tua madre che sono tre anni,
che la sera nel letto dà corpo al tuo sogno, un uomo
maturo con un viso perfetto, che come goccia somiglia a
quello che ora, sorride e sussurra per intero il tuo
nome, senza badare quale brivido intenso, ti percorre
tagliente lungo la schiena, che tu scambi e t’inganni
per un colpo di vento. Se lui lo sapesse e chissà se per
ore, continuerebbe a parlare senza venirti in aiuto, e
sognare i tuoi seni con vent’anni di meno, come gemme di
pero a febbraio sul ramo, ed ora hanno freddo al vento
che tira, ed ora hanno caldo per certi pensieri, e
basterebbe una mano possente d’adulto, per stringerli
forte e sentirli laddove, s’increspa e s’arriccia la
pelle del cuore.
Eppure dovrebbe intuire dai
gesti, dal tuo sguardo che ora s’è fatto eloquente, da
quest’emozione che tangibile sale, perché sono tre anni
che speri ed aspetti, che hai vissuto soltanto per
questo momento, e sotto la gonna c’è una miniera
scoperta, un circo, una giostra e zucchero e miele, una
vena che porta dritta al tesoro, che qualcuno finora ha
visto soltanto, e nessuno da sempre s’è inoltrato più in
fondo.
Continua a ripeterti cosa ne pensi, di lui
e tua madre uniti per sempre, certo che vuoi perché è
meglio del peggio, averlo per casa e sentire l’odore,
come ora ti sfiora e ti chiede se hai freddo, come ora
si ferma e ti guarda negli occhi. Oddio è il momento e
si toglie la giacca, e con un gesto d’adulto ti copre le
spalle, sorride e ti dice che è meglio rientrare, dentro
seduti sul divano al coperto. Lo guardi ed è alto e gli
arrivi alle spalle, se s’abbassasse di poco potrebbe
baciarti, ci provi e lo chiami con un languore di
troppo, avvicini il tuo viso, ma lui non capisce, e
chiudi le palpebre e socchiudi le labbra, se solo
volesse saresti già pronta, ad aprirle del tutto e
sentire il calore, d’una lingua d’adulto che avrà un
sapore diverso, d’una smania impaziente che ti strozza
il respiro.
Se solo volesse sarebbe un incanto,
con fuori le palme, la Barcaccia e i cavalli, ma lo
senti lontano, la sua voce ti chiama, e tu davvero
imbecille che lo credevi ad un passo, ed invece ti dice
che è tardi e tua madre, avrà fatto già il giro di tutte
le amiche. Ti guarda e s’accorge che qualcosa è
cambiato, e pensa e ti chiede se non sei contenta, il
vino, la cena, la carne ben cotta, il fritto di pesce
come doppio secondo. Vedi l’impaccio nei suoi occhi
curiosi, che ora s’insinuano tra i tuoi lembi di seta,
fino a sfiorare per sbaglio il tuo seno, che non è
grande come quello di mamma, che all’apparenza non desta
la brama, di stringerlo forte e catturarne la voglia,
che ora ribelle ti sfida e lo sfidi.
Chissà che
daresti per rivedere tua madre, la prima volta con lui
su questo divano, il vestito e le scarpe e come è
successo, se portava pesante il suo solito trucco, se
c’era nell’aria un non so che di deciso, ed il resto è
avvenuto senza forzare la mano. Oppure ha dovuto
mandargli segnali, come ora che fremi di fargli capire,
di non lasciarsi scappare quel dubbio ribelle, che ora
lo vedi gli imperla la fronte, e gli fa domandare se è
lecito e giusto, e se davvero sarà che rimanga un
segreto!
Lo sai che ci vuole almeno esperienza,
che una donna intrigante non si inventa una sera, che
testarda hai voluto per bruciare le tappe, scegliendo la
preda più difficile al mondo, e sentirti già donna prima
del tempo, e sentirti che puoi guardarti allo specchio,
truccando i tuoi occhi come fossi tua madre, come fossi
un’amante già femmina fatta. Quanti dubbi hai avuto
prima di essere pronta, prima che stasera salissi le
scale, ma nei tuoi sogni di notte non ci sono altre
facce, né coetanei infantili che danno certezze,
d’abbandonarti alle mani e chiudere gli occhi, per
sentire davvero che spicchi il tuo volo, che plani
leggera per sentirti importante, al primo decollo dentro
un cielo diverso, che tingi di rosa, d’azzurro e sudore,
dentro il tuo letto quasi tutte le notti.
Speri
s’accorga che hai bisogno di guida, e ti porti nei posti
dove non sei mai andata, e t’accarezzi la fronte quando
sospesa, t’accorgi che sotto non c’è erba né terra, non
c’è madre che possa impedirti stasera, e domani e per
sempre di non essere figlia, perché le tue gambe non
sarebbero adulte, e le tue calze soltanto un neutro
stinto, che non danno l’idea che sotto la gonna, il
bordo finisca molto prima dei fianchi. Chissà se l’ha
mai vista questa trama che sale, e chissà se si è
accorto a chi l’abbia sottratta, che sei impacciata su
questi tacchi importanti e prima in terrazza a momenti
cadevi.
Ripete ossessivo che è ora di andare, ma
si siede accanto e troppo vicino, e tu senti l’odore
dell’attesa che incombe, il calore che stagna oltre la
stoffa. Ha le mani impazienti, la cravatta slacciata, ti
chiede se vuoi qualcosa di forte, ti porge un bicchiere
e ti sfiora le dita, per un attimo lungo ti s’intreccia
il respiro. Chiudi gli occhi e ti sembra di sentire
un accenno, un fiato che ora è umido e caldo, che ti
bagna le labbra, ti schiude la bocca, e sa di buono e
d’adulto questo bacio che senti.
Ti dice di
andare, ti dice che è tardi, ma tu non lo ascolti perché
un attimo dopo lo senti vicino, lo senti che freme, che
t’accarezza la fronte e la mano percorre, i capelli ed
il collo fin sopra il tuo seno. “Ma allora mi vuole, mi
vuole davvero! Non potrebbe toccarmi la voglia del seno,
se avesse soltanto un sapore di figlia, o non fossi la
madre di un sogno che scoppia.”
Ti dice di
andare, ti dice che è tardi, ma tu pensi ad altro a
chissà quanto è bravo, ad intuire il tuo cuore, ad
ascoltare il silenzio, a recepire di fretta che potrebbe
osare, senza farti domande sull’amore o quant’altro,
perché non ti serve e non gli serve stasera, sapere se
il cuore batte o sta zitto, sapere che vuoi e lo vuoi
per altro, senza imbarazzo come fossi un’esperta, che lo
invita e lo prega di sedarle ogni dove, s’annida e ti
scalda dentro questa incoscienza.
Ti dice di
andare, ti dice che è tardi, ma tu vuoi che vada come
avevi previsto, sentirti tra un’ora più grande e già
donna, che accavalli le gambe e che sanno per cosa, che
sbottoni la maglia con la mano più esperta. Tu insisti e
accavalli le gambe, tu insisti di non spezzare il tuo
sogno, di tornartene a casa e guardarti allo specchio, e
chiudere gli occhi sospirando davvero, che gli hai dato
il permesso di sposare tua madre, e tu ora sei donna e
lui solo un pretesto.
Ma sono solo parole che
gridi a te stessa, sono pensieri che non hanno una
scena, perché ora apri gli occhi e lo vedi distante,
niente labbra e carezze a due passi dal cuore, lo guardi
e lui ha indossato la giacca, sta chiamando un taxi per
Piazza di Spagna e ti rendi conto che è un sogno un
sogno soltanto, perché lui ti guarda come un bimbo
stordito, ha la fronte imperlata e un ghigno provato, un
lieve tremore che a stento controlla. Chissà quanta
forza c’è voluta per questo, chissà quanto amore per un
netto rifiuto, allora ti alzi, gli sorridi e lo baci, ma
è un bacio innocente quasi da figlia, perché lui è degno
di sposare tua madre, perché lo ammiri e ne vorresti una
copia, perché questa sera ti ha conquistata per sempre,
perché è una sera che vale più di un sì sull’altare,
perché ripete che è tardi, ripete di andare. .
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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