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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Amore, gelosia, infanzia e tradimento
 


 
 
Nella suggestiva cornice del mare di Sorrento
un incontro d’amore, tenerezza e ricordi tra
un’affascinante donna sessantenne e un uomo
in crisi, tradito dalla propria moglie.

 
Ecco il SUV nero di Valerio che sta sfrecciando lungo l’Autostrada del Sole, direzione Napoli, direzione Sorrento. Ha messo una scusa a Francesca, sua moglie, due giorni di lavoro per incontro di lavoro con dei clienti cinesi, ma lui sta andando da tutt’altra parte, in una piccola pensione a Sorrento, il suo antico rifugio, il suo pensatoio. Un piccolo alberghetto a due piani con otto stanze fronte mare e una meravigliosa veranda ombrata di limoni e da una bougaville sulla facciata che si arrampica fino al tetto.
Quand’era bambino passava lì, insieme a suo fratello, le vacanze estive, sua madre era morta e suo padre aveva conosciuto una ragazza tedesca di nome Eva. Si erano innamorati a prima vista nonostante ci fosse molta differenza di età, passavano insieme i tre mesi estivi poi d’inverno ognuno per proprio conto. Lei tornava in Germania e suo padre nella sua azienda di legnami. Era un amore senza legami, lei col suo carattere indipendente e lui ancora devoto alla memoria della moglie.

In quella pensione Eva faceva la cameriera a tempo pieno. Le sue giornate lavorative duravano dalle 14 alle 16 ore, poi il destino volle che il proprietario senza eredi se ne andasse per un male incurabile e lei, insieme ad altri dipendenti, rilevasse l’attività. Poi alcuni si defilarono, altri preferirono tornare a fare i dipendenti, altri ancora accettarono altre offerte. Lei da buona tedesca si rimboccò le maniche e con enormi sacrifici dopo qualche anno diventò l’unica titolare. Si stabilì definitivamente a Sorrento e nei mesi invernali non tornò più in Germania. Forse a quel punto avrebbe preferito un legame più stretto con il papà di Valerio, ma le cose andarono diversamente.

Durante quelle estati Eva si era affezionata ad entrambi i ragazzi, ma per Valerio nutriva un debole particolare, diceva che assomigliava tanto a suo padre che da grande sarebbe diventato tale e quale a lui. Quando il padre se ne andò definitivamente, Valerio ormai ventenne non dimenticò mai Eva e continuò per brevi periodi a frequentare quel posto finché non conobbe Francesca, la sua futura moglie.

*****

Valerio aveva chiamato Eva durante il viaggio e lei, sempre con quel caratteristico accento tedesco, mai perso, gli aveva risposto: “Valerio, per te qui c’è sempre posto.” Ed ora era proprio in quel posto dove stava andando. Ovviamente per dimenticare, per riflettere sul suo rapporto con Francesca e perché mai lei lo avesse tradito. Cos’è che non andava? Dove aveva sbagliato?
Dopo due ore di folle corsa era già lì. Aveva percorso ad occhi chiusi l’autostrada e poi le più impegnative strade scoscese della costiera. Nonostante l’ora tarda, Eva aveva apparecchiato per lui la tavola in fondo alla piccola sala. Due candele accese, una bottiglia di Fiano fresco, una fiamminga di tagliata di pesce spada in agro dolce e per l’occasione un limoncello artigianale fatto con le proprie mani.

Eccolo Valerio che torna bambino, quasi si commuove, eccola Eva che appena sorride. È un sorriso apprensivo, materno.
“Che c’è Valerio? Hai una faccia…” Sono passati tanti anni, il viso più scarno di lei, il fisico appesantito di lui… Ma lui la guarda come se fosse la prima volta, è bella Eva, di una bellezza antica, con i suoi occhi incavati azzurro mare, col suo trucco viola e celeste, con le sue rughe perfettamente allineate a due a due come fossero uscite da un pittore metafisico.
Eccola lei ancora più apprensiva: “Che c’è Valerio?”
E lui dopo un sorso di vino fresco parla, come un fiume in piena parla, racconta la sua misera storia, dettaglio per dettaglio senza trascurare alcunché. Eva non conosce Francesca, al tempo, nonostante Valerio l’avesse pregata per giorni, non era voluta andare al matrimonio e Valerio, da quando si era sposato, non aveva più passato un giorno in quella pensione.

Però con Eva ogni tanto si scrivevano. A Natale, Pasqua, ai compleanni, ma niente di più. Ora sono seduti uno di fronte all’altra, Eva ha fatto preparare un’orata con patate novelle al forno e l’ha tenuta in caldo, Valerio l’ha appena assaggiata, ma è troppo preso dal suo racconto, dalle sue disgrazie. Le parla della vita insieme a Francesca, di quel lungo placido fiume che scorreva tranquillo fino ad un po’ di tempo prima.
Lei ha qualche dubbio: “Scusa Valerio, ma perché non hai affrontato tua moglie in modo diretto?”
E lui: “Non ora, le sue parole non avrebbero alcun valore!” E’ deciso Valerio.
Lei non risponde, non commenta. Da donna, da persona che ha vissuto intensamente la sua vita, ma senza mai legarsi, sa che una relazione così perfetta non può e non poteva durare a lungo. Dice soltanto di non prendersela con Francesca, anche lei è vittima e di sicuro non è la causa del suo malessere. Valerio l’ascolta e lei lo guarda, l’espressione non è cambiata, è ancora quel bambino che giocava sulla spiaggia e fino a sera tarda non voleva mai tornare. Si preoccupa solo del suo dolore. Non vorrebbe che soffrisse così. Farebbe ogni cosa per alleviare quella pena evidente dentro il suo cuore.

Poi lei parla del padre, di quando sua madre venne a mancare. “Tu e tuo fratello eravate piccoli e non capivate.” Sospira. “Sai che una volta mi hai anche chiamato mamma?” Sorride, poi riprende seria.
“Devi reagire Vale. Tuo padre venne qui, aveva da poco seppellito tua madre, era distrutto, ma reagì, trovò immediatamente la sua ragione di vita, tu hai un figlio, non sei solo.”
Lui la fissa. “Io ho te. Grazie.”
Ma Eva sa che è un modo di dire, che certe cose sono dettate dall’atmosfera, dalla situazione, dallo stato d’animo e sicuramente non dalla convinzione. Abbassa gli occhi. Gioca con una mollica di pane.
“No Valerio, io sono vecchia, tu hai ancora una vita davanti ed hai bisogno di forza, di energia.”
Valerio le prende la mano.
Lei stringe quella mano: “Devi far leva sulla tua autostima, so che ora è a pezzi, ci vuole tempo.” È una stretta ferrea, un’enfasi della sua voce, la coda dei suoi pensieri, come per trasmettergli tutta la vitalità possibile.
“Sarai stanco. Ti ho fatto preparare la stanza con il balconcino di ferro. La tua preferita.” Lui non parla più, per quella sera ha già detto a sufficienza.
“Buonanotte Eva.”
“Buonanotte Valerio.”

*****

È una notte agitata, una notte di vento che annuncia cattivo tempo. Valerio non riesce a prendere sonno. Una coppia al piano superiore sta facendo l’amore. Eva ha detto che solo cinque stanze sono occupate: una coppia russa, un ufficiale di Marina in pensione, un commerciante d'Ancona con suo figlio e la tata, un pittore con la sua modella, ma occupano stanze diverse. Tira a indovinare, sarà sicuramente la coppia russa. Lui non ha nessuna voglia di fare l’amore, lui pensa a Francesca.
“Chissà cosa starà facendo?” Vorrebbe chiamarla, ma poi ci ripensa. No, no! Chi è tradito ha bisogno di solitudine, chi tradisce di andare fino in fondo.

Saranno le tre, dalla finestra entra impetuoso il continuo strascicare del mare, è un suono di risacche e risucchi che si trascinano stanchi, a volte leggeri che muoiono a riva, a volte irruenti contro gli scogli e lasciano interminabili vuoti d’attesa per poi ritornare nel loro ventre più molle, come se nulla fosse successo, come Francesca docile e tenera dopo l’amore.

Nonostante dalla finestra entri una leggera brezza fredda sta sudando e sta pensando a lei, ai loro attimi dopo l’amore, alla sua voce incredula quando le ha comunicato che avrebbe passato la notte fuori di casa. Ma poi si convince di aver fatto la cosa migliore, c’è sempre tempo per chiarire, c’è sempre tempo per morire… E questa non è una fuga, ma il proposito di guardare la situazione da lontano e più si è distanti più nell’inquadratura non si lascia nessun dettaglio fuori, compreso lui, compreso suo figlio, compreso l’amante di lei.
Non sarebbe mai voluto arrivare a questo punto, ma si giustifica ripetendosi che non è colpa sua, anzi no, poi ci ripensa, come dice Eva, anche lui ha le sue colpe e lui ora è qui per scovarle, per guardarsi dentro. Anche se poi tutto ciò non ha nessun significato, è solo un animale ferito che è andato a morire dall’altra parte della foresta.

Tra poco sarà giorno, non ha ancora deciso come lo passerà, ha intenzione di scrivere, di fissare i suoi pensieri come quando da ragazzo si era messo in testa di essere uno scrittore di romanzi. Già, poi ne scrisse solo una parte, e guarda caso parlava di amore, gelosia, infanzia e tradimento.
Chissà forse già al tempo lo aveva previsto, perché il tradimento sta nelle cose, s’alimenta sotto la cenere e si ciba dell’amore. Che sciocco non pensarlo prima, che sciocco illudersi che a lui non sarebbe mai capitato. Perché Francesca era diversa da tutte le altre donne, Francesca un essere celeste, Francesca un angelo sceso in terra, Francesca incontaminata, aria pura di montagna, Francesca acqua di sorgente.

Francesca, Francesca, ma che ti è saltato in mente? Come hai potuto tradire? Ecco, pensa di nuovo.
“Ma si esce mai fuori da un tradimento?”
Forse no, forse è simile a quelle malattie silenti, apparentemente guarite, ma che rimangono sempre lì e covano, covano… covano rabbia e orgoglio ferito, raschiano la vita, finché un bel momento riappaiono in tutta la loro potenza distruttiva. O forse no, con la forza del perdono si riaggiusta tutto, ma lui vuole perdonarla?

E i suoi pensieri si accartocciano come le lenzuola, si ripetono come le nenie, come i suoi stati d’animo che diventano inquiete figure che al buio vagano e mai si posano, mai prendono sonno. Sono pieghe di seta nell’insonnia d’amore, romantiche e senza una forma come i sogni che si nutrono di passato, come i desideri nudi che mai torneranno, ma lui ostinatamente cerca, anche in questa notte, la prima che li vede distanti, la prima senza Francesca.


*****


Ecco ora è giorno, Valerio si alza, fa una doccia e si veste, in valigia ha solo un vestito di lino color bianco panna e una camicia celeste. È più che sufficiente, del resto ha intenzione di rimanere solo un giorno. Ma oggi è brutto tempo, seduto in veranda fuma il suo Cohiba. Guardalo il Grande Gatsby come si lascia trascinare dalla coda dei pensieri, dalle note della gonna della russa appena alzata. Dalla descrizione che gli ha fatto Eva deve essere proprio lei. Chissà suo marito è ancora a letto e lei passeggia lungo la spiaggia in riva al mare. Spinta da quella brezza ogni tanto le vola il cappello e lei lo rincorre e lo riprende, sembra una bambina, sembra un gioco e infatti ride, da sola ride. Non è giovane, ma questo la fa ancora più affascinante.
Ora lei si sente osservata, si volta e vede quel signore dal vestito bianco panna. Si limita ad un semplice: “Buon giorno!” I suoi denti sono bianchi, i suoi occhi due lampare. Ha la pelle del viso rilassata, i capelli raccolti, danza leggera come una piuma. Si vede che stanotte ha fatto l’amore. Lui risponde a quel saluto così intenso e gioviale. Poi si alza, si solleva appena il cappello e fa un lieve inchino. Anche lui si sente leggero, la pesantezza della notte sembra passata, ma non si illude, sa che sarà breve.

Eccolo si sta gustando un croissant, un’arancia e un cappuccino, si sta rilassando e cede a quel giorno di ferie non previsto. Guarda fisso nel vuoto. La russa riappare. Ora sale i gradini della veranda, è in carne, ma si muove leggiadra.
Lui accenna ad un sommesso: “Buongiorno!”
Lei ad un gioioso: “Arrivederci.”
Sta rientrando in albergo, forse sta andando a svegliare il suo uomo, forse a fare di nuovo l’amore…

Ah l’amore, l’amore è la cura che guarisce qualsiasi malanno, l’amore è un ombrello per ripararsi quando piove, è l’energia che ti scalda quando non c’è il sole, l’amore, l’amore è un bordello per uomini traditi, l’amore è un coltello infilzato dentro il cuore. Ah l’amore, l’amore è una luce che foggia il vestito, sono lampi di notte che truccano il viso, di tutte le piogge che cadono in mare, di tutti quei soli che scaldano il cuore e intiepidiscono gli echi dei tuoni incupiti. Perché l’amore è una luna che inarca le curve e smussa le pene e spiana i dolori, come i cani che abbaiano al buio di notte, come tornanti che a gomiti vanno, e lasciano il gusto di meta e fatica, fin sopra le vette che piene e fiorenti, danno l’essenza, danno la forma.

È fragile Valerio, vorrebbe che la sua sofferenza si appianasse come quando si esce da un brutto sogno. Un colpo di spugna, una sveglia che suona e tutto è di nuovo pulito, innocente. Perché lui sa che affrontare ora sua moglie significa per ovvi motivi far precipitare gli eventi. Lui cerca l’origine, la causa, senza compromettere il suo rapporto, ma finora si è reso conto che questo suo modo di agire non lo ha per nulla aiutato. Si alza di scatto, ora passeggia lungo la riva del mare, ha in mano il suo cappello.

Il cielo ora si è aperto, la giornata è quasi gradevole, alcuni addirittura stanno facendo il bagno, incontra il pittore e la modella, sono seduti su uno scoglio, lui parla d’arte, lei si guarda intorno. Lui conosce quel pittore, un vecchio amico di suo padre, cerca di ricordarsi il nome, se non ricorda male, suo fratello ha un suo quadro appeso in corridoio. Sì ci sono una barca, una modella a seno nudo, ma non ricorda il viso.
In un altro momento si sarebbe fermato, è un gesto gentile scambiare un saluto e due parole con gli ospiti dello stesso hotel. Ma Valerio pensa ad altro, ora cammina con la giacca sulle spalle e le scarpe in mano. In albergo evita addirittura Eva. Lui sta salendo le scale, lei gli va incontro.
“Valerio all’una e trenta serviamo il pranzo.” Le basta un’occhiata per capire il suo umore.
“È successo qualcosa? Hai saputo notizie?” Lui non risponde, non ride e non è serio, ha solo una faccia di pietra. Lentamente sale in camera, si distende sul letto e si addormenta vestito.


*****


Durante quel sonno profondo sogna, e stranamente sogna Eva, quando ancora ventenne venne qui da solo. Suo padre era morto, era inverno, l’albergo deserto. Il mare in tempesta sbatteva furioso sugli scogli. Una parte della veranda era crollata, qualche sedia risucchiata dal mare, i tavolini sparsi sulla spiaggia, Valerio l’aiutò a salvare il salvabile.
Poi tornarono dentro, infreddoliti e completamente zuppi, si scaldarono con una minestra di verdure calda e un buon vino rosso.
E poi successe. Ah sì, le barche in balia di quelle raffiche, il piccolo porticciolo sottosopra, fu facile guardare fuori dalla finestra attraverso i vetri bagnati e sentire dentro un grande calore di casa, di famiglia. Fu facile poi sedersi sul quel divano e consolarsi a vicenda nonostante i venti anni di differenza. E successe perché Eva era bella e donna fatta, corteggiata e vezzeggiata, e non c’era occhio mondano che non si poggiasse sul suo seno. Ma lei portava il lutto dentro il cuore e mai e poi mai avrebbe tradito la memoria di suo padre.

Successe perché prima o poi sarebbe successo e con Valerio fu diverso e per questo successe, perché era un atto consolatorio e non era previsto quell’oltre. Successe per il desiderio incontrollato dello stesso sangue e della stessa tana, per la tragedia che tempestava notte e giorno quel cuore inconsolabile. E lei era lì donna libera e signora irraggiungibile, sapeva di cuore e albergo da riparo, e lui era il molo, l’approdo e la salvezza, lì davanti a lei, identico a suo padre, la bocca dallo stesso sapore, gli occhi dallo stesso sguardo, le stesse pause, lo stesso respiro. Se Eva avesse chiuso gli occhi dentro quell’alcova avrebbe potuto giurare che nulla era cambiato, nessuna differenza, stessa voce calda, stessa passione. Suo padre era lì, dentro di lei, non c’era stato nessun evento tragico, nessuna morte, ancora amanti, suo padre era lì e lei godeva del suo profumo, come sempre.
Successe perché per lui era la prima volta e per giunta con una donna matura, innamorato della propria infanzia, dei giorni tranquilli e spensierati, della vacanza e dell’estate. Successe perché era orfano d’ogni affetto, nessuno più l’avrebbe sgridato, nessuno più amato incondizionatamente. Successe e fu un amore senza parole, e furono le ore del silenzio e quelle mute delle fate, che si riempirono di baci buoni, a strappi ed insicuri, saziandosi di quegli odori, di inverno inoltrato, di muffa all’imbrunire.


*****


Eccolo Valerio adesso assonnato su quel letto, guarda l’ora, sono quasi le cinque, ha dormito per quattro ore di fila se non di più. Ma è possibile che un sogno duri così a lungo? Eppure non ne ricorda altri. Ha l’aria stupita, come è possibile che dentro quel sogno abbia ricordato chiaramente il colore del vestito di Eva, i suoi capelli raccolti, quei passi sulle scale, il fiatone e l’emozione? Valerio aveva quasi rimosso quella notte, o forse no, e forse per questo non ci ha pensato due volte e il primo pensiero dopo la scoperta del tradimento è stato quello di prendere l’auto e correre qui.
Ma è solo un pensiero, labile per quanto possa essere un ricordo di una notte. Per ora è lì seduto sulla poltrona di vimini su quel terrazzino che guarda il mare. Il sole sta tramontando, una palla rossa si immerge nell’acqua. Fissa l’orizzonte ed aspetta. Vuole cogliere il momento esatto. E se a contatto con l’acqua il sole si spegnesse? Sorride per il pensiero bizzarro, ora va in bagno, fa una doccia, poi la barba. Si guarda allo specchio, la sua faccia ora è più distesa, si sente quasi sollevato.

*****

Eccolo in veranda tra gli alberi d’arancio ed i fichi appena nati, vestito bianco panna respira quella brezza, e si gusta una menta ghiacciata al limone, e in disparte osserva la coppia russa e la giovane modella e il pittore con la barba.
La bella modella porta un cappello di paglia a tesa larga, lui dipinge i dettagli colmando spazi e attese, perché lui è di questi posti ed intinge il suo pennello con le tinte di quel mare, d’azzurro e di celeste, e colora le pieghe della gonna, come fossero dei bioccoli dei pioppi d’oltremare. Perché da grande artista lui vede quella gemma e le forme di un bel seno e lei non dice nulla, conosce il suo ardire, conosce le pose, i silenzi delle muse, le manie degli artisti in cerca dell’ispirazione. E sa che i suoi gesti sono accordi, note e suoni, come sono seta i suoi capelli, velluto le sue labbra, con lo strascico del mare, e un signore che la guarda.

Ed il signore è proprio lui, Valerio. È preso da quella scena, è in estasi lo vedi? E allora scrive, ha bisogno di fissare i suoi pensieri, le pieghe dolenti della sua anima. Sono appunti in terza persona, parole che si cercano e si accoppiano, che cercano il bacio della propria rima. Come se ventenne avesse azzerato la sua vita, come se uno start gli ridesse un altro inizio. E allora vorrebbe che la modella lo degnasse di uno sguardo, oppure se ostentasse il seno sodo e grande, vorrebbe entrare nella tela, far parte della scena, perché così mai diverrebbe autunno, né mai solo inverno, come le stoffe del dipinto, sfumate oltre la tela, che mai s’intiepidiscono e perdono la luce, e fanno ruote e fanno cerchi, canti e versi, e curve e suoni, come onde di farfalle che zigzagano nell’aria, e ricamano l’intorno aggraziando il passeggiare.

Vedi quanto è romantico? Che animo gentile? Ma proprio a lui doveva capitare questa tragedia? Sposare una donna che forse anche in questo momento lo sta tradendo? Eccolo lì in veranda, sta pensando, e sì in effetti non è solo un problema di infedeltà, ma di fiducia tradita. Non riesce a capacitarsi. E allora ecco che ritornano i ricordi, quando a vent’anni avrebbe potuto fare scelte diverse, magari rimanere per sempre lì a Sorrento, e torna nei suoi pensieri Eva, madre e donna rivista quella sera, pronta come il grano maturo per la falce, pronta come i fichi dolci e settembrini, con il suo vestito bianco ed un ciondolo turchese, che danza tra le sponde e si lascia coccolare, dai rigogli di merletti che spuntano vezzosi, in uno sfondo d’acqua e vele e cerchi di gabbiani, ed un soffio di quel vento carico di sale, accarezza quelle gambe lisce e snelle per l’amore.

Non c’è nulla da fare, il suo animo romantico prende il sopravvento e allora nel suo sogno si confondono i visi di due donne, ma lui cerca quella che non lo abbia mai tradito, e cerca le sue grazie, per rivivere le attese, l’espressione del momento, l’odore di quel vento che addensa le sue vene, ed i lembi della gonna che si lasciano guidare. Cerca la sua bocca che si schiude in un sorriso, cerca le sue gambe invitanti come nidi, quella seta bianca, leggera come il fumo, intrigante come un velo per farsi confessare. Cerca quel passato e cerca quel profumo, odore di muschio bianco che confonde con la brezza, quando s’alza all’ora tarda e poi ritorna verso il mare.

*****

“Valerio ci sei?” Eva è lì davanti a lui, ma lui sembra quasi non vederla, come se non ci fosse, come fosse trasparente. Imbambolato dalla scena ci mette qualche secondo per realizzare.
“Oh Eva, buonasera!” Lui sorride.
“Vedo che stai meglio, avevi una faccia a pranzo…”
Ora si stropiccia gli occhi. “Beh sì… ero colpito dalla scena…”
“… e dal seno della modella immagino… Ascolta, fai il serio per favore, ti ho fatto preparare la tavola in fondo alla sala. Hai fame? Pensavo, se vuoi, possiamo cenare insieme da dopo le dieci, così posso sedermi a tavola con te e possiamo stare più tranquilli.”
Valerio ci pensa. “Eva per me possiamo fare anche più tardi, ma vorrei cenare fuori.”
Lei è sorpresa da quell’idea bizzarra, non è ancora stagione, ma accetta.
“Ai suoi ordini mio bel cavaliere.” Poi scompare tra i tavoli.
In quel momento il suo telefono si sveglia, un bip di sms in arrivo. Per un attimo confonde tablet e cellulare, poi si rende conto. È Francesca: “Ciao caro, non ho tue notizie da ieri, dove sei? Tutto bene con i cinesi?”
Lui risponde. “Sì tutto ok. Torno domani.”

*****

L'albergo sembra una bomboniera posto tra due lingue di mare, un antico edificio a torretta normanna, circondato da siepi di gelsomino cinese, e immerso nella roccia tra i fiori d'ibisco e limoni, con una grande terrazza merlata, e sotto i merli le dodici stanze. Sono circa le otto, l’ora di cena, ed ecco gli ospiti che scendono dalle loro stanze. Tutti insieme come se si fossero dati appuntamento.
Attraverso la veranda si dirigono all’interno, il tempo fuori è ancora incerto e la brezza marina soffia leggera, sui tavoli tondi, sulle tovaglie di raso, sulla giacca di Valerio, sul buon vino fruttato bianco frizzante, sul menù fisso a base di pesce.
Rimane lì solo soletto per tutto il tempo della cena. Pensa ad Francesca, allo scarno messaggio, all’apprensione di lei. Certo, voleva solo essere rassicurata, magari per sentirsi rilassata e correre dal suo amante. Se davvero avesse tenuto a lui avrebbe scritto altro, non si sarebbe bevuta la scusa dei cinesi. Lei sa che è una balla, ma le fa comodo crederci perché non vuole arrivare al dunque. Ma il dunque ormai è dietro l’angolo e forse Francesca se ne sta rendendo conto.
Guardalo Valerio ora sta scacciando quei pensieri cattivi, a lui serve altro, quell’sms è solo un lavaggio di coscienza. Non c’è considerazione e non c’è amore solo la paura che il mondo le crolli addosso e per causa sua.

Lo vedi? Si sente forte stasera, non ha bisogno di una moglie, lui ora vuole solo godersi questo mare, questa terrazza, questo paradiso in terra. Intanto gli ospiti hanno finito di cenare, stanno andando via e scelgono strade diverse, la coppia russa si dirige in paese, il pittore e la sua modella salgono le scale verso le loro stanze, il commerciante di Ancona e l’ufficiale di Marina gradiscono un amaro in veranda parlando di belle donne e di sport.

Verso le dieci scende Eva, nel frattempo è andata a cambiarsi d’abito e a raccogliere i capelli. È un incanto, indossa un lo stesso vestito di tanti anni fa, di stoffa grezza di lino con un foulard giallo e verde, un trucco perfetto, carico per questa serata, e una collana di gusci, di nicchi e conchiglie.
Ora sono seduti entrambi al tavolo in veranda, lei gradisce un'insalata di tonno, con uova, gamberi e un velo di aceto, lui una tagliata di pesce con una salsa di timo ed un’erba di campo con sale e limone. Lui le sorride e lei ricambia. Abbozzano insieme quattro parole tanto per dire, e lei dice che il tempo sarebbe cambiato, e lui dice “speriamo” senza trasporto, anche perché il giorno dopo sarebbe partito, anche perché ora ha altro nella mente. Poi nulla, tranne a due passi, il rumore del mare. La senti? C’è un’aria diversa tra i due, una formalità quasi inspiegabile.

Certo sì, è una meravigliosa serata, la crema chantilly appena tiepida è servita prima della frutta, il limoncello è al giusto punto di freddo. Sta bene Valerio, perché lì di fronte c’è il mare e sente il continuo strascicare dell’acqua, che gli dà calma ed infinito, come se le sue pene potessero diluirsi di fronte a quella natura, a quella grandezza. E sta bene Eva, che non si è mai sposata, perché ha voluto vivere una vita libera, ogni tanto qualche amico, ogni tanto qualche leggera relazione, ma nulla di più. Da quando il padre di Valerio è morto, lei ha buttato via la chiave del cuore. Valerio ora la guarda, sì che sta bene Eva con la sua bocca ciliegia che sussurra parole, di resina e miele, di seta e d’amore, il seno abbondante s’impone e traspare e tutto il resto è contorno, tutto il resto è uno spicchio di velo e di mare. La conosce da anni, la conosce da sempre, da quando a vent’anni era ancora un ragazzo e non sapeva apprezzare. E qui non è cambiato niente, lo stesso intonaco mangiato dal sale, gli stessi lampioni accesi di giorno, la passeggiata serale prima di cena, lungo i costoni scoscesi a dirupo, sulla strada che porta in paese.

Ora lei ne ha sessanta, l’età giusta per essere nido, tana ed alcova, giusta per essere insieme madre ed amante, per essere ventre caldo, per raccogliere le pene e le lacrime del cuore. Ha le unghie lunghe scarlatto, le labbra grandi ed il viso vissuto. È perfetta stasera, uscita d’incanto dal sogno prima di cena, se meglio lui la guarda vede tracce di sonno, se meglio la guarda vede solo la brama, che non sono né rughe, né grinze di pelle, forse un gioco di luce, forse righe sfumate nello stesso miraggio che lo illude e lo abbaglia. Guarda il suo trucco e risente l’odore, di lei che non sa le intenzioni di Valerio o forse sì e le piace giocare, ma di sicuro sa che, se si calmasse questo vento tornerebbero a breve i clienti. Il commerciante di Ancona e l’ufficiale di Marina appena rientrati, il pittore e la modella dopo l’amore, la coppia russa che ride e si gode la vita.

Ed in effetti lui si guarda intorno. Anche lei lo fa. Sono soli e lei ora guarda lui, le mani di lui hanno un leggero tremore, le sue labbra un deciso sorriso, che è anche tristezza, forse destino. Perché entrambi sanno che non ci sarà altra occasione, che tra altri vent’anni sarebbe troppo tardi. E poi ora c’è il mare, questa penombra priva di luce, striata a distanza da un fulmine lilla che a rami divampa, a tronchi s‘immerge.
“Su Capri sta piovendo.” Lei dice tanto per dire, ma poi un attimo di paura vela il suo viso. Allora si alza e gli va vicino, lo abbraccia, e lui sente il caldo del seno, ne sente l’odore, questo tuono che fa tremare le canne, questo mare che arriva fin dentro il suo cuore. Ma è un gesto materno, un caldo abbraccio di culla e di tana perché lei non sa che faranno l’amore, come ignora che anche lui non lo ha previsto.

Si alzano. Il cameriere solerte ha messo qualcosa che assomiglia al Chiaro di luna. Senti il piano? I tasti bianchi? I diesis neri? Fanno due passi ed eccoli ora affacciati alla ringhiera che guardano il vuoto, respirano a fatica, a piccoli sorsi, come in attesa del prossimo tuono, per abbracciarsi di nuovo, per trovare una scusa, un pretesto e il perdono, per il dolce sapore del rossetto scarlatto, perché è così che è previsto, perché è il destino che ora vuole. A dispetto dei dolori, delle pene di lui e le attese di lei, a dispetto di Francesca e della morte che ti toglie il più bello. E così ormai sarà, come ora che un lampo squarcia il cielo lontano.
“Sta piovendo su Capri” Ripete lui. E così sarà come ora che lui piano le sussurra parole che non significano niente, non hanno senso, ma smuovono i sensi, solo fiato vicino all’orecchio, solo brividi lungo la schiena. Impalpabili hanno la consistenza della carta velina, come in questo momento, perché imboniscono, plagiano, illudono. Le senti? Non fanno alcun volume, non hanno suono, non hanno odore, sono buone solo per l’amore, per questo le dice, per questo le sussurra.



*****



Le luci interne dell’albergo sono spente, anche l’ultimo inserviente è andato a dormire. La coppia russa è rincasata da poco e loro sono soli, lì vicino a quella ringhiera, anima e cuore. Ora lui s’allontana, no non ha dubbi, non pensa a Francesca, non pensa al tradimento, vorrebbe solo vedere i suoi occhi, vorrebbe il tacito assenso. E allora ora è lei che si avvicina e lo prega di sedersi, lo prega di restare, e piano si china e si prostra, poggiando il bicchiere sul tavolo accanto.
E come il destino ha già scritto lei scosta i capelli, poi la lampo dei pantaloni di lui che scende guidata dal fiato, poi di nuovo lo guarda enfatizzando l’attesa, facendogli un dono, ma senza parlare.
Lui lo sa che è un regalo e non un atto d’amore, oppure sì, ma è un amore infinito che non riguarda cose terrene, forse una cura, un ringraziamento, o forse qualcosa di più ed in effetti lo sente, come il vento che sbatte, come il mare di strascichi e vuoti, respiri e risucchi e turbini e gorghi. La vedi? La senti? Ora è in sintonia con tutto l’intorno, come la sua bocca che cerca di andare a tempo col mare, che cerca di imitare, come ora i suoi occhi che fissano lui e si fanno penetrare, mentre esperta continua a dargli piacere. Lo prende, lo bacia e lo avvicina al suo seno, come fosse un bambino che ha bisogno di caldo, bisogno d’amore e ancora cure. Continua a fissarlo, ora è perfettamente sincrona al mare, all’arte, alla tragedia, al piacere, liberando parole che corrono lisce, che corrono altrove, su questa notte incantevole, sulla sabbia intatta, sugli ombrelloni bagnati dal mare, sul destino che ha preso ormai forma e uno stile.

Ecco, lo chiama, gli dice tesoro, trasuda parole che sanno di carne, gli dice che è il mare, che è colpa del vento, di questo vestito che a velo traspare, ma lei non sa che è solo destino, che è solo un segreto, un miraggio che affiora, galleggia e si mostra.
Ed il fato è dentro di lui, di lei che si prodiga ad arte. Ora le mani di lui le sfiorano i capelli, la testa, e lei si fa accompagnare leggera guidata dall’onda ed ora è lui che accompagna il destino, la prega di rientrare per fare l’amore, Eva ora indietreggia, gli dice di restare, ma non è la sua voce, è come se fosse di un’altra persona, di Francesca con un’anima, un corpo, un respiro, come se fosse il sogno ad avere una bocca di velluto e di seta, come fossero dodici le stanze d’albergo, come fosse reale la torta al limone, e qui per davvero non ci fosse nessuno, la coppia russa e il pittore con la scusa dell’arte, e l’intonaco mangiato dal sale…

E il vortice sale, è un turbinio, un gorgo, una spirale, guardali ora che salgono le scale, guarda la mano di lui che fascia quei fianchi, guarda le forme di lei perfettamente aderenti a quella passione. Ora che entrano in una stanza vuota a caso, eh sì in albergo c’è questo di bello, c’è sempre un posto dove fare l’amore. Guardali si muovono leggeri, quasi danzano come se quel pavimento fosse fatto di nuvole. Saranno l’incanto del mare, gli effetti del buon vino, guardali aggrapparti alla coda della luna, al profilo di quel raggio distante, alla magia della notte per un tempo infinito per poi abbracciarsi ancora frementi di desiderio.
Ecco, ora sono in penombra, solo uno squarcio di luce lontana illumina la pelle sensuale di lei, il viso, i capelli, la passione di lui e lui vorrebbe accendere la luce, vorrebbe ammirarla, ma lei lo prega di non farlo.
“No Valerio, non guardarmi, non sono quella di un tempo, sono vecchia ora.” Senti come sussurra?
Lui ascolta.
“Fortunato tuo padre che mi ha vista giovane, alle volte la morte ha i suoi lati positivi. Lui mi ricorda così, e vorrei che anche tu ora facessi l’amore con quella donna.”
Eccola Eva alle prese con lo scorrere del suo tempo inesorabile. Non si sente più all’altezza per l’amore, per quel desiderio giovane, ma forse solo per intrattenere gli ospiti dell’albergo, per quattro chiacchiere e un pettegolezzo sorseggiando un thè allo zenzero con poco limone. “Ti prego no, non accenderla.”

Ed Valerio ubbidisce, non accende, è troppo preso, ma non si accorge che Eva non sta facendo l’amore con lui, ma con il mondo dei suoi ricordi, con le ombre del suo passato, con l’uomo che il destino le ha sottratto troppo presto. Ed Valerio non lo percepisce, è solo impegnato a soffocare il suo passato recente, perché Eva è il suo dimenticatoio, fatto di carne e di seno esperto, di anche abbondanti e forme rotonde, come la luna che a fatica si mostra coi riflessi argentati specchiati dal mare.

Ed è sfogo, passione, come il sesso di prima mattina, come la voglia di sentirsi vitali, di contare qualcosa nella brama dell’altro, per gli anni di lei, per la tragedia di lui.
Senti ancora il Chiaro di luna? Ma è solo uno strascico di musica che viene dall’acqua, un riverbero, un’eco lontana, è solo il pianobar di una balera vicina. Eccoli che si stringono le mani, ecco le spalline di lei che si sciolgono come ali di farfalla, ecco il vestito che scende lezioso e ad onde di luce si adagia sull’ombra, ecco quei baci che valgono meno di una promessa, ma sono caldi e sono buoni sul seno di lei, sulla bocca di lui. Eccoli ora sul letto, ecco lui maschio, ecco lei femmina.

Lui la bacia, la stringe, da uomo ora adulto. Quante volte da adolescente ci ha fatto l’amore? Quante volte a vent’anni avrebbe voluto? Quante volte nel suo letto ha consumato quella brama? Che ora è tutta lì e con una facilità sconvolgente la volta come fosse una piuma, poi la bacia ancora, perché questo è il momento, il trascendente e l’assoluto, attimi infiniti che fanno toccare con un dito l’universo. Le raccoglie i capelli, le bacia il collo, il seno, poi affonda di nuovo naufragando in quel mare di voglie, in quell’oceano di sensualità, s’inabissa, nuota, trattiene il respiro e torna a galla, impetuoso come un’onda, travolgente come il mare d’inverno, poi giura d’amarla per sempre, per ora…

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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo Anna Koudella












 
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