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Adamo Bencivenga
Amore, gelosia,
infanzia e tradimento
Nella suggestiva cornice del mare di
Sorrento un incontro d’amore, tenerezza e ricordi tra
un’affascinante donna sessantenne e un uomo in crisi, tradito
dalla propria moglie.
Ecco il SUV nero di Valerio
che sta sfrecciando lungo l’Autostrada del Sole,
direzione Napoli, direzione Sorrento. Ha messo una scusa
a Francesca, sua moglie, due giorni di lavoro per
incontro di lavoro con dei clienti cinesi, ma lui sta
andando da tutt’altra parte, in una piccola pensione a
Sorrento, il suo antico rifugio, il suo pensatoio. Un
piccolo alberghetto a due piani con otto stanze fronte
mare e una meravigliosa veranda ombrata di limoni e da
una bougaville sulla facciata che si arrampica fino al
tetto. Quand’era bambino passava lì, insieme a suo
fratello, le vacanze estive, sua madre era morta e suo
padre aveva conosciuto una ragazza tedesca di nome Eva.
Si erano innamorati a prima vista nonostante ci fosse
molta differenza di età, passavano insieme i tre mesi
estivi poi d’inverno ognuno per proprio conto. Lei
tornava in Germania e suo padre nella sua azienda di
legnami. Era un amore senza legami, lei col suo
carattere indipendente e lui ancora devoto alla memoria
della moglie.
In quella pensione Eva faceva la
cameriera a tempo pieno. Le sue giornate lavorative
duravano dalle 14 alle 16 ore, poi il destino volle che
il proprietario senza eredi se ne andasse per un male
incurabile e lei, insieme ad altri dipendenti, rilevasse
l’attività. Poi alcuni si defilarono, altri preferirono
tornare a fare i dipendenti, altri ancora accettarono
altre offerte. Lei da buona tedesca si rimboccò le
maniche e con enormi sacrifici dopo qualche anno diventò
l’unica titolare. Si stabilì definitivamente a Sorrento
e nei mesi invernali non tornò più in Germania. Forse a
quel punto avrebbe preferito un legame più stretto con
il papà di Valerio, ma le cose andarono diversamente.
Durante quelle estati Eva si era affezionata ad
entrambi i ragazzi, ma per Valerio nutriva un debole
particolare, diceva che assomigliava tanto a suo padre
che da grande sarebbe diventato tale e quale a lui.
Quando il padre se ne andò definitivamente, Valerio
ormai ventenne non dimenticò mai Eva e continuò per
brevi periodi a frequentare quel posto finché non
conobbe Francesca, la sua futura moglie.
*****
Valerio aveva chiamato Eva durante il viaggio e lei,
sempre con quel caratteristico accento tedesco, mai
perso, gli aveva risposto: “Valerio, per te qui c’è
sempre posto.” Ed ora era proprio in quel posto dove
stava andando. Ovviamente per dimenticare, per
riflettere sul suo rapporto con Francesca e perché mai
lei lo avesse tradito. Cos’è che non andava? Dove aveva
sbagliato? Dopo due ore di folle corsa era già lì.
Aveva percorso ad occhi chiusi l’autostrada e poi le più
impegnative strade scoscese della costiera. Nonostante
l’ora tarda, Eva aveva apparecchiato per lui la tavola
in fondo alla piccola sala. Due candele accese, una
bottiglia di Fiano fresco, una fiamminga di tagliata di
pesce spada in agro dolce e per l’occasione un
limoncello artigianale fatto con le proprie mani.
Eccolo Valerio che torna bambino, quasi si commuove,
eccola Eva che appena sorride. È un sorriso apprensivo,
materno. “Che c’è Valerio? Hai una faccia…” Sono
passati tanti anni, il viso più scarno di lei, il fisico
appesantito di lui… Ma lui la guarda come se fosse la
prima volta, è bella Eva, di una bellezza antica, con i
suoi occhi incavati azzurro mare, col suo trucco viola e
celeste, con le sue rughe perfettamente allineate a due
a due come fossero uscite da un pittore metafisico.
Eccola lei ancora più apprensiva: “Che c’è Valerio?”
E lui dopo un sorso di vino fresco parla, come un fiume
in piena parla, racconta la sua misera storia, dettaglio
per dettaglio senza trascurare alcunché. Eva non conosce
Francesca, al tempo, nonostante Valerio l’avesse pregata
per giorni, non era voluta andare al matrimonio e
Valerio, da quando si era sposato, non aveva più passato
un giorno in quella pensione.
Però con Eva ogni
tanto si scrivevano. A Natale, Pasqua, ai compleanni, ma
niente di più. Ora sono seduti uno di fronte all’altra,
Eva ha fatto preparare un’orata con patate novelle al
forno e l’ha tenuta in caldo, Valerio l’ha appena
assaggiata, ma è troppo preso dal suo racconto, dalle
sue disgrazie. Le parla della vita insieme a Francesca,
di quel lungo placido fiume che scorreva tranquillo fino
ad un po’ di tempo prima. Lei ha qualche dubbio:
“Scusa Valerio, ma perché non hai affrontato tua moglie
in modo diretto?” E lui: “Non ora, le sue parole non
avrebbero alcun valore!” E’ deciso Valerio. Lei non
risponde, non commenta. Da donna, da persona che ha
vissuto intensamente la sua vita, ma senza mai legarsi,
sa che una relazione così perfetta non può e non poteva
durare a lungo. Dice soltanto di non prendersela con
Francesca, anche lei è vittima e di sicuro non è la
causa del suo malessere. Valerio l’ascolta e lei lo
guarda, l’espressione non è cambiata, è ancora quel
bambino che giocava sulla spiaggia e fino a sera tarda
non voleva mai tornare. Si preoccupa solo del suo
dolore. Non vorrebbe che soffrisse così. Farebbe ogni
cosa per alleviare quella pena evidente dentro il suo
cuore.
Poi lei parla del padre, di quando sua
madre venne a mancare. “Tu e tuo fratello eravate
piccoli e non capivate.” Sospira. “Sai che una volta mi
hai anche chiamato mamma?” Sorride, poi riprende seria.
“Devi reagire Vale. Tuo padre venne qui, aveva da
poco seppellito tua madre, era distrutto, ma reagì,
trovò immediatamente la sua ragione di vita, tu hai un
figlio, non sei solo.” Lui la fissa. “Io ho te.
Grazie.” Ma Eva sa che è un modo di dire, che certe
cose sono dettate dall’atmosfera, dalla situazione,
dallo stato d’animo e sicuramente non dalla convinzione.
Abbassa gli occhi. Gioca con una mollica di pane.
“No Valerio, io sono vecchia, tu hai ancora una vita
davanti ed hai bisogno di forza, di energia.”
Valerio le prende la mano. Lei stringe quella mano:
“Devi far leva sulla tua autostima, so che ora è a
pezzi, ci vuole tempo.” È una stretta ferrea, un’enfasi
della sua voce, la coda dei suoi pensieri, come per
trasmettergli tutta la vitalità possibile. “Sarai
stanco. Ti ho fatto preparare la stanza con il
balconcino di ferro. La tua preferita.” Lui non parla
più, per quella sera ha già detto a sufficienza.
“Buonanotte Eva.” “Buonanotte Valerio.”
*****
È una notte agitata, una notte di vento che annuncia
cattivo tempo. Valerio non riesce a prendere sonno. Una
coppia al piano superiore sta facendo l’amore. Eva ha
detto che solo cinque stanze sono occupate: una coppia
russa, un ufficiale di Marina in pensione, un
commerciante d'Ancona con suo figlio e la tata, un
pittore con la sua modella, ma occupano stanze diverse.
Tira a indovinare, sarà sicuramente la coppia russa. Lui
non ha nessuna voglia di fare l’amore, lui pensa a
Francesca. “Chissà cosa starà facendo?” Vorrebbe
chiamarla, ma poi ci ripensa. No, no! Chi è tradito ha
bisogno di solitudine, chi tradisce di andare fino in
fondo.
Saranno le tre, dalla finestra entra
impetuoso il continuo strascicare del mare, è un suono
di risacche e risucchi che si trascinano stanchi, a
volte leggeri che muoiono a riva, a volte irruenti
contro gli scogli e lasciano interminabili vuoti
d’attesa per poi ritornare nel loro ventre più molle,
come se nulla fosse successo, come Francesca docile e
tenera dopo l’amore.
Nonostante dalla finestra
entri una leggera brezza fredda sta sudando e sta
pensando a lei, ai loro attimi dopo l’amore, alla sua
voce incredula quando le ha comunicato che avrebbe
passato la notte fuori di casa. Ma poi si convince di
aver fatto la cosa migliore, c’è sempre tempo per
chiarire, c’è sempre tempo per morire… E questa non è
una fuga, ma il proposito di guardare la situazione da
lontano e più si è distanti più nell’inquadratura non si
lascia nessun dettaglio fuori, compreso lui, compreso
suo figlio, compreso l’amante di lei. Non sarebbe
mai voluto arrivare a questo punto, ma si giustifica
ripetendosi che non è colpa sua, anzi no, poi ci
ripensa, come dice Eva, anche lui ha le sue colpe e lui
ora è qui per scovarle, per guardarsi dentro. Anche se
poi tutto ciò non ha nessun significato, è solo un
animale ferito che è andato a morire dall’altra parte
della foresta.
Tra poco sarà giorno, non ha
ancora deciso come lo passerà, ha intenzione di
scrivere, di fissare i suoi pensieri come quando da
ragazzo si era messo in testa di essere uno scrittore di
romanzi. Già, poi ne scrisse solo una parte, e guarda
caso parlava di amore, gelosia, infanzia e tradimento.
Chissà forse già al tempo lo aveva previsto, perché
il tradimento sta nelle cose, s’alimenta sotto la cenere
e si ciba dell’amore. Che sciocco non pensarlo prima,
che sciocco illudersi che a lui non sarebbe mai
capitato. Perché Francesca era diversa da tutte le altre
donne, Francesca un essere celeste, Francesca un angelo
sceso in terra, Francesca incontaminata, aria pura di
montagna, Francesca acqua di sorgente.
Francesca, Francesca, ma che ti è saltato in mente? Come
hai potuto tradire? Ecco, pensa di nuovo. “Ma si
esce mai fuori da un tradimento?” Forse no, forse è
simile a quelle malattie silenti, apparentemente
guarite, ma che rimangono sempre lì e covano, covano…
covano rabbia e orgoglio ferito, raschiano la vita,
finché un bel momento riappaiono in tutta la loro
potenza distruttiva. O forse no, con la forza del
perdono si riaggiusta tutto, ma lui vuole perdonarla?
E i suoi pensieri si accartocciano come le
lenzuola, si ripetono come le nenie, come i suoi stati
d’animo che diventano inquiete figure che al buio vagano
e mai si posano, mai prendono sonno. Sono pieghe di seta
nell’insonnia d’amore, romantiche e senza una forma come
i sogni che si nutrono di passato, come i desideri nudi
che mai torneranno, ma lui ostinatamente cerca, anche in
questa notte, la prima che li vede distanti, la prima
senza Francesca.
*****
Ecco ora è
giorno, Valerio si alza, fa una doccia e si veste, in
valigia ha solo un vestito di lino color bianco panna e
una camicia celeste. È più che sufficiente, del resto ha
intenzione di rimanere solo un giorno. Ma oggi è brutto
tempo, seduto in veranda fuma il suo Cohiba. Guardalo il
Grande Gatsby come si lascia trascinare dalla coda dei
pensieri, dalle note della gonna della russa appena
alzata. Dalla descrizione che gli ha fatto Eva deve
essere proprio lei. Chissà suo marito è ancora a letto e
lei passeggia lungo la spiaggia in riva al mare. Spinta
da quella brezza ogni tanto le vola il cappello e lei lo
rincorre e lo riprende, sembra una bambina, sembra un
gioco e infatti ride, da sola ride. Non è giovane, ma
questo la fa ancora più affascinante. Ora lei si
sente osservata, si volta e vede quel signore dal
vestito bianco panna. Si limita ad un semplice: “Buon
giorno!” I suoi denti sono bianchi, i suoi occhi due
lampare. Ha la pelle del viso rilassata, i capelli
raccolti, danza leggera come una piuma. Si vede che
stanotte ha fatto l’amore. Lui risponde a quel saluto
così intenso e gioviale. Poi si alza, si solleva appena
il cappello e fa un lieve inchino. Anche lui si sente
leggero, la pesantezza della notte sembra passata, ma
non si illude, sa che sarà breve.
Eccolo si sta
gustando un croissant, un’arancia e un cappuccino, si
sta rilassando e cede a quel giorno di ferie non
previsto. Guarda fisso nel vuoto. La russa riappare. Ora
sale i gradini della veranda, è in carne, ma si muove
leggiadra. Lui accenna ad un sommesso: “Buongiorno!”
Lei ad un gioioso: “Arrivederci.” Sta rientrando in
albergo, forse sta andando a svegliare il suo uomo,
forse a fare di nuovo l’amore…
Ah l’amore,
l’amore è la cura che guarisce qualsiasi malanno,
l’amore è un ombrello per ripararsi quando piove, è
l’energia che ti scalda quando non c’è il sole, l’amore,
l’amore è un bordello per uomini traditi, l’amore è un
coltello infilzato dentro il cuore. Ah l’amore, l’amore
è una luce che foggia il vestito, sono lampi di notte
che truccano il viso, di tutte le piogge che cadono in
mare, di tutti quei soli che scaldano il cuore e
intiepidiscono gli echi dei tuoni incupiti. Perché
l’amore è una luna che inarca le curve e smussa le pene
e spiana i dolori, come i cani che abbaiano al buio di
notte, come tornanti che a gomiti vanno, e lasciano il
gusto di meta e fatica, fin sopra le vette che piene e
fiorenti, danno l’essenza, danno la forma.
È
fragile Valerio, vorrebbe che la sua sofferenza si
appianasse come quando si esce da un brutto sogno. Un
colpo di spugna, una sveglia che suona e tutto è di
nuovo pulito, innocente. Perché lui sa che affrontare
ora sua moglie significa per ovvi motivi far precipitare
gli eventi. Lui cerca l’origine, la causa, senza
compromettere il suo rapporto, ma finora si è reso conto
che questo suo modo di agire non lo ha per nulla
aiutato. Si alza di scatto, ora passeggia lungo la riva
del mare, ha in mano il suo cappello.
Il cielo
ora si è aperto, la giornata è quasi gradevole, alcuni
addirittura stanno facendo il bagno, incontra il pittore
e la modella, sono seduti su uno scoglio, lui parla
d’arte, lei si guarda intorno. Lui conosce quel pittore,
un vecchio amico di suo padre, cerca di ricordarsi il
nome, se non ricorda male, suo fratello ha un suo quadro
appeso in corridoio. Sì ci sono una barca, una modella a
seno nudo, ma non ricorda il viso. In un altro
momento si sarebbe fermato, è un gesto gentile scambiare
un saluto e due parole con gli ospiti dello stesso
hotel. Ma Valerio pensa ad altro, ora cammina con la
giacca sulle spalle e le scarpe in mano. In albergo
evita addirittura Eva. Lui sta salendo le scale, lei gli
va incontro. “Valerio all’una e trenta serviamo il
pranzo.” Le basta un’occhiata per capire il suo umore.
“È successo qualcosa? Hai saputo notizie?” Lui non
risponde, non ride e non è serio, ha solo una faccia di
pietra. Lentamente sale in camera, si distende sul letto
e si addormenta vestito.
*****
Durante quel sonno profondo sogna, e stranamente sogna
Eva, quando ancora ventenne venne qui da solo. Suo padre
era morto, era inverno, l’albergo deserto. Il mare in
tempesta sbatteva furioso sugli scogli. Una parte della
veranda era crollata, qualche sedia risucchiata dal
mare, i tavolini sparsi sulla spiaggia, Valerio l’aiutò
a salvare il salvabile. Poi tornarono dentro,
infreddoliti e completamente zuppi, si scaldarono con
una minestra di verdure calda e un buon vino rosso. E
poi successe. Ah sì, le barche in balia di quelle
raffiche, il piccolo porticciolo sottosopra, fu facile
guardare fuori dalla finestra attraverso i vetri bagnati
e sentire dentro un grande calore di casa, di famiglia.
Fu facile poi sedersi sul quel divano e consolarsi a
vicenda nonostante i venti anni di differenza. E
successe perché Eva era bella e donna fatta, corteggiata
e vezzeggiata, e non c’era occhio mondano che non si
poggiasse sul suo seno. Ma lei portava il lutto dentro
il cuore e mai e poi mai avrebbe tradito la memoria di
suo padre.
Successe perché prima o poi sarebbe
successo e con Valerio fu diverso e per questo successe,
perché era un atto consolatorio e non era previsto
quell’oltre. Successe per il desiderio incontrollato
dello stesso sangue e della stessa tana, per la tragedia
che tempestava notte e giorno quel cuore inconsolabile.
E lei era lì donna libera e signora irraggiungibile,
sapeva di cuore e albergo da riparo, e lui era il molo,
l’approdo e la salvezza, lì davanti a lei, identico a
suo padre, la bocca dallo stesso sapore, gli occhi dallo
stesso sguardo, le stesse pause, lo stesso respiro. Se
Eva avesse chiuso gli occhi dentro quell’alcova avrebbe
potuto giurare che nulla era cambiato, nessuna
differenza, stessa voce calda, stessa passione. Suo
padre era lì, dentro di lei, non c’era stato nessun
evento tragico, nessuna morte, ancora amanti, suo padre
era lì e lei godeva del suo profumo, come sempre.
Successe perché per lui era la prima volta e per giunta
con una donna matura, innamorato della propria infanzia,
dei giorni tranquilli e spensierati, della vacanza e
dell’estate. Successe perché era orfano d’ogni affetto,
nessuno più l’avrebbe sgridato, nessuno più amato
incondizionatamente. Successe e fu un amore senza
parole, e furono le ore del silenzio e quelle mute delle
fate, che si riempirono di baci buoni, a strappi ed
insicuri, saziandosi di quegli odori, di inverno
inoltrato, di muffa all’imbrunire.
*****
Eccolo Valerio adesso assonnato su quel letto,
guarda l’ora, sono quasi le cinque, ha dormito per
quattro ore di fila se non di più. Ma è possibile che un
sogno duri così a lungo? Eppure non ne ricorda altri. Ha
l’aria stupita, come è possibile che dentro quel sogno
abbia ricordato chiaramente il colore del vestito di
Eva, i suoi capelli raccolti, quei passi sulle scale, il
fiatone e l’emozione? Valerio aveva quasi rimosso quella
notte, o forse no, e forse per questo non ci ha pensato
due volte e il primo pensiero dopo la scoperta del
tradimento è stato quello di prendere l’auto e correre
qui. Ma è solo un pensiero, labile per quanto possa
essere un ricordo di una notte. Per ora è lì seduto
sulla poltrona di vimini su quel terrazzino che guarda
il mare. Il sole sta tramontando, una palla rossa si
immerge nell’acqua. Fissa l’orizzonte ed aspetta. Vuole
cogliere il momento esatto. E se a contatto con l’acqua
il sole si spegnesse? Sorride per il pensiero bizzarro,
ora va in bagno, fa una doccia, poi la barba. Si guarda
allo specchio, la sua faccia ora è più distesa, si sente
quasi sollevato.
*****
Eccolo in veranda
tra gli alberi d’arancio ed i fichi appena nati, vestito
bianco panna respira quella brezza, e si gusta una menta
ghiacciata al limone, e in disparte osserva la coppia
russa e la giovane modella e il pittore con la barba.
La bella modella porta un cappello di paglia a tesa
larga, lui dipinge i dettagli colmando spazi e attese,
perché lui è di questi posti ed intinge il suo pennello
con le tinte di quel mare, d’azzurro e di celeste, e
colora le pieghe della gonna, come fossero dei bioccoli
dei pioppi d’oltremare. Perché da grande artista lui
vede quella gemma e le forme di un bel seno e lei non
dice nulla, conosce il suo ardire, conosce le pose, i
silenzi delle muse, le manie degli artisti in cerca
dell’ispirazione. E sa che i suoi gesti sono accordi,
note e suoni, come sono seta i suoi capelli, velluto le
sue labbra, con lo strascico del mare, e un signore che
la guarda.
Ed il signore è proprio lui, Valerio.
È preso da quella scena, è in estasi lo vedi? E allora
scrive, ha bisogno di fissare i suoi pensieri, le pieghe
dolenti della sua anima. Sono appunti in terza persona,
parole che si cercano e si accoppiano, che cercano il
bacio della propria rima. Come se ventenne avesse
azzerato la sua vita, come se uno start gli ridesse un
altro inizio. E allora vorrebbe che la modella lo
degnasse di uno sguardo, oppure se ostentasse il seno
sodo e grande, vorrebbe entrare nella tela, far parte
della scena, perché così mai diverrebbe autunno, né mai
solo inverno, come le stoffe del dipinto, sfumate oltre
la tela, che mai s’intiepidiscono e perdono la luce, e
fanno ruote e fanno cerchi, canti e versi, e curve e
suoni, come onde di farfalle che zigzagano nell’aria, e
ricamano l’intorno aggraziando il passeggiare.
Vedi quanto è romantico? Che animo gentile? Ma proprio a
lui doveva capitare questa tragedia? Sposare una donna
che forse anche in questo momento lo sta tradendo?
Eccolo lì in veranda, sta pensando, e sì in effetti non
è solo un problema di infedeltà, ma di fiducia tradita.
Non riesce a capacitarsi. E allora ecco che ritornano i
ricordi, quando a vent’anni avrebbe potuto fare scelte
diverse, magari rimanere per sempre lì a Sorrento, e
torna nei suoi pensieri Eva, madre e donna rivista
quella sera, pronta come il grano maturo per la falce,
pronta come i fichi dolci e settembrini, con il suo
vestito bianco ed un ciondolo turchese, che danza tra le
sponde e si lascia coccolare, dai rigogli di merletti
che spuntano vezzosi, in uno sfondo d’acqua e vele e
cerchi di gabbiani, ed un soffio di quel vento carico di
sale, accarezza quelle gambe lisce e snelle per l’amore.
Non c’è nulla da fare, il suo animo romantico
prende il sopravvento e allora nel suo sogno si
confondono i visi di due donne, ma lui cerca quella che
non lo abbia mai tradito, e cerca le sue grazie, per
rivivere le attese, l’espressione del momento, l’odore
di quel vento che addensa le sue vene, ed i lembi della
gonna che si lasciano guidare. Cerca la sua bocca che si
schiude in un sorriso, cerca le sue gambe invitanti come
nidi, quella seta bianca, leggera come il fumo,
intrigante come un velo per farsi confessare. Cerca quel
passato e cerca quel profumo, odore di muschio bianco
che confonde con la brezza, quando s’alza all’ora tarda
e poi ritorna verso il mare.
*****
“Valerio ci sei?” Eva è lì davanti a lui, ma lui sembra
quasi non vederla, come se non ci fosse, come fosse
trasparente. Imbambolato dalla scena ci mette qualche
secondo per realizzare. “Oh Eva, buonasera!” Lui
sorride. “Vedo che stai meglio, avevi una faccia a
pranzo…” Ora si stropiccia gli occhi. “Beh sì… ero
colpito dalla scena…” “… e dal seno della modella
immagino… Ascolta, fai il serio per favore, ti ho fatto
preparare la tavola in fondo alla sala. Hai fame?
Pensavo, se vuoi, possiamo cenare insieme da dopo le
dieci, così posso sedermi a tavola con te e possiamo
stare più tranquilli.” Valerio ci pensa. “Eva per me
possiamo fare anche più tardi, ma vorrei cenare fuori.”
Lei è sorpresa da quell’idea bizzarra, non è ancora
stagione, ma accetta. “Ai suoi ordini mio bel
cavaliere.” Poi scompare tra i tavoli. In quel
momento il suo telefono si sveglia, un bip di sms in
arrivo. Per un attimo confonde tablet e cellulare, poi
si rende conto. È Francesca: “Ciao caro, non ho tue
notizie da ieri, dove sei? Tutto bene con i cinesi?”
Lui risponde. “Sì tutto ok. Torno domani.”
*****
L'albergo sembra una bomboniera posto tra due lingue
di mare, un antico edificio a torretta normanna,
circondato da siepi di gelsomino cinese, e immerso nella
roccia tra i fiori d'ibisco e limoni, con una grande
terrazza merlata, e sotto i merli le dodici stanze. Sono
circa le otto, l’ora di cena, ed ecco gli ospiti che
scendono dalle loro stanze. Tutti insieme come se si
fossero dati appuntamento. Attraverso la veranda si
dirigono all’interno, il tempo fuori è ancora incerto e
la brezza marina soffia leggera, sui tavoli tondi, sulle
tovaglie di raso, sulla giacca di Valerio, sul buon vino
fruttato bianco frizzante, sul menù fisso a base di
pesce. Rimane lì solo soletto per tutto il tempo
della cena. Pensa ad Francesca, allo scarno messaggio,
all’apprensione di lei. Certo, voleva solo essere
rassicurata, magari per sentirsi rilassata e correre dal
suo amante. Se davvero avesse tenuto a lui avrebbe
scritto altro, non si sarebbe bevuta la scusa dei
cinesi. Lei sa che è una balla, ma le fa comodo crederci
perché non vuole arrivare al dunque. Ma il dunque ormai
è dietro l’angolo e forse Francesca se ne sta rendendo
conto. Guardalo Valerio ora sta scacciando quei
pensieri cattivi, a lui serve altro, quell’sms è solo un
lavaggio di coscienza. Non c’è considerazione e non c’è
amore solo la paura che il mondo le crolli addosso e per
causa sua.
Lo vedi? Si sente forte stasera, non
ha bisogno di una moglie, lui ora vuole solo godersi
questo mare, questa terrazza, questo paradiso in terra.
Intanto gli ospiti hanno finito di cenare, stanno
andando via e scelgono strade diverse, la coppia russa
si dirige in paese, il pittore e la sua modella salgono
le scale verso le loro stanze, il commerciante di Ancona
e l’ufficiale di Marina gradiscono un amaro in veranda
parlando di belle donne e di sport.
Verso le
dieci scende Eva, nel frattempo è andata a cambiarsi
d’abito e a raccogliere i capelli. È un incanto, indossa
un lo stesso vestito di tanti anni fa, di stoffa grezza
di lino con un foulard giallo e verde, un trucco
perfetto, carico per questa serata, e una collana di
gusci, di nicchi e conchiglie. Ora sono seduti
entrambi al tavolo in veranda, lei gradisce un'insalata
di tonno, con uova, gamberi e un velo di aceto, lui una
tagliata di pesce con una salsa di timo ed un’erba di
campo con sale e limone. Lui le sorride e lei ricambia.
Abbozzano insieme quattro parole tanto per dire, e lei
dice che il tempo sarebbe cambiato, e lui dice
“speriamo” senza trasporto, anche perché il giorno dopo
sarebbe partito, anche perché ora ha altro nella mente.
Poi nulla, tranne a due passi, il rumore del mare. La
senti? C’è un’aria diversa tra i due, una formalità
quasi inspiegabile.
Certo sì, è una meravigliosa
serata, la crema chantilly appena tiepida è servita
prima della frutta, il limoncello è al giusto punto di
freddo. Sta bene Valerio, perché lì di fronte c’è il
mare e sente il continuo strascicare dell’acqua, che gli
dà calma ed infinito, come se le sue pene potessero
diluirsi di fronte a quella natura, a quella grandezza.
E sta bene Eva, che non si è mai sposata, perché ha
voluto vivere una vita libera, ogni tanto qualche amico,
ogni tanto qualche leggera relazione, ma nulla di più.
Da quando il padre di Valerio è morto, lei ha buttato
via la chiave del cuore. Valerio ora la guarda, sì che
sta bene Eva con la sua bocca ciliegia che sussurra
parole, di resina e miele, di seta e d’amore, il seno
abbondante s’impone e traspare e tutto il resto è
contorno, tutto il resto è uno spicchio di velo e di
mare. La conosce da anni, la conosce da sempre, da
quando a vent’anni era ancora un ragazzo e non sapeva
apprezzare. E qui non è cambiato niente, lo stesso
intonaco mangiato dal sale, gli stessi lampioni accesi
di giorno, la passeggiata serale prima di cena, lungo i
costoni scoscesi a dirupo, sulla strada che porta in
paese.
Ora lei ne ha sessanta, l’età giusta per
essere nido, tana ed alcova, giusta per essere insieme
madre ed amante, per essere ventre caldo, per
raccogliere le pene e le lacrime del cuore. Ha le unghie
lunghe scarlatto, le labbra grandi ed il viso vissuto. È
perfetta stasera, uscita d’incanto dal sogno prima di
cena, se meglio lui la guarda vede tracce di sonno, se
meglio la guarda vede solo la brama, che non sono né
rughe, né grinze di pelle, forse un gioco di luce, forse
righe sfumate nello stesso miraggio che lo illude e lo
abbaglia. Guarda il suo trucco e risente l’odore, di lei
che non sa le intenzioni di Valerio o forse sì e le
piace giocare, ma di sicuro sa che, se si calmasse
questo vento tornerebbero a breve i clienti. Il
commerciante di Ancona e l’ufficiale di Marina appena
rientrati, il pittore e la modella dopo l’amore, la
coppia russa che ride e si gode la vita.
Ed in
effetti lui si guarda intorno. Anche lei lo fa. Sono
soli e lei ora guarda lui, le mani di lui hanno un
leggero tremore, le sue labbra un deciso sorriso, che è
anche tristezza, forse destino. Perché entrambi sanno
che non ci sarà altra occasione, che tra altri vent’anni
sarebbe troppo tardi. E poi ora c’è il mare, questa
penombra priva di luce, striata a distanza da un fulmine
lilla che a rami divampa, a tronchi s‘immerge. “Su
Capri sta piovendo.” Lei dice tanto per dire, ma poi un
attimo di paura vela il suo viso. Allora si alza e gli
va vicino, lo abbraccia, e lui sente il caldo del seno,
ne sente l’odore, questo tuono che fa tremare le canne,
questo mare che arriva fin dentro il suo cuore. Ma è un
gesto materno, un caldo abbraccio di culla e di tana
perché lei non sa che faranno l’amore, come ignora che
anche lui non lo ha previsto.
Si alzano. Il
cameriere solerte ha messo qualcosa che assomiglia al
Chiaro di luna. Senti il piano? I tasti bianchi? I
diesis neri? Fanno due passi ed eccoli ora affacciati
alla ringhiera che guardano il vuoto, respirano a
fatica, a piccoli sorsi, come in attesa del prossimo
tuono, per abbracciarsi di nuovo, per trovare una scusa,
un pretesto e il perdono, per il dolce sapore del
rossetto scarlatto, perché è così che è previsto, perché
è il destino che ora vuole. A dispetto dei dolori, delle
pene di lui e le attese di lei, a dispetto di Francesca
e della morte che ti toglie il più bello. E così ormai
sarà, come ora che un lampo squarcia il cielo lontano.
“Sta piovendo su Capri” Ripete lui. E così sarà come
ora che lui piano le sussurra parole che non significano
niente, non hanno senso, ma smuovono i sensi, solo fiato
vicino all’orecchio, solo brividi lungo la schiena.
Impalpabili hanno la consistenza della carta velina,
come in questo momento, perché imboniscono, plagiano,
illudono. Le senti? Non fanno alcun volume, non hanno
suono, non hanno odore, sono buone solo per l’amore, per
questo le dice, per questo le sussurra.
*****
Le luci interne dell’albergo sono
spente, anche l’ultimo inserviente è andato a dormire.
La coppia russa è rincasata da poco e loro sono soli, lì
vicino a quella ringhiera, anima e cuore. Ora lui
s’allontana, no non ha dubbi, non pensa a Francesca, non
pensa al tradimento, vorrebbe solo vedere i suoi occhi,
vorrebbe il tacito assenso. E allora ora è lei che si
avvicina e lo prega di sedersi, lo prega di restare, e
piano si china e si prostra, poggiando il bicchiere sul
tavolo accanto. E come il destino ha già scritto lei
scosta i capelli, poi la lampo dei pantaloni di lui che
scende guidata dal fiato, poi di nuovo lo guarda
enfatizzando l’attesa, facendogli un dono, ma senza
parlare. Lui lo sa che è un regalo e non un atto
d’amore, oppure sì, ma è un amore infinito che non
riguarda cose terrene, forse una cura, un
ringraziamento, o forse qualcosa di più ed in effetti lo
sente, come il vento che sbatte, come il mare di
strascichi e vuoti, respiri e risucchi e turbini e
gorghi. La vedi? La senti? Ora è in sintonia con tutto
l’intorno, come la sua bocca che cerca di andare a tempo
col mare, che cerca di imitare, come ora i suoi occhi
che fissano lui e si fanno penetrare, mentre esperta
continua a dargli piacere. Lo prende, lo bacia e lo
avvicina al suo seno, come fosse un bambino che ha
bisogno di caldo, bisogno d’amore e ancora cure.
Continua a fissarlo, ora è perfettamente sincrona al
mare, all’arte, alla tragedia, al piacere, liberando
parole che corrono lisce, che corrono altrove, su questa
notte incantevole, sulla sabbia intatta, sugli
ombrelloni bagnati dal mare, sul destino che ha preso
ormai forma e uno stile.
Ecco, lo chiama, gli
dice tesoro, trasuda parole che sanno di carne, gli dice
che è il mare, che è colpa del vento, di questo vestito
che a velo traspare, ma lei non sa che è solo destino,
che è solo un segreto, un miraggio che affiora,
galleggia e si mostra. Ed il fato è dentro di lui,
di lei che si prodiga ad arte. Ora le mani di lui le
sfiorano i capelli, la testa, e lei si fa accompagnare
leggera guidata dall’onda ed ora è lui che accompagna il
destino, la prega di rientrare per fare l’amore, Eva ora
indietreggia, gli dice di restare, ma non è la sua voce,
è come se fosse di un’altra persona, di Francesca con
un’anima, un corpo, un respiro, come se fosse il sogno
ad avere una bocca di velluto e di seta, come fossero
dodici le stanze d’albergo, come fosse reale la torta al
limone, e qui per davvero non ci fosse nessuno, la
coppia russa e il pittore con la scusa dell’arte, e
l’intonaco mangiato dal sale…
E il vortice sale,
è un turbinio, un gorgo, una spirale, guardali ora che
salgono le scale, guarda la mano di lui che fascia quei
fianchi, guarda le forme di lei perfettamente aderenti a
quella passione. Ora che entrano in una stanza vuota a
caso, eh sì in albergo c’è questo di bello, c’è sempre
un posto dove fare l’amore. Guardali si muovono leggeri,
quasi danzano come se quel pavimento fosse fatto di
nuvole. Saranno l’incanto del mare, gli effetti del buon
vino, guardali aggrapparti alla coda della luna, al
profilo di quel raggio distante, alla magia della notte
per un tempo infinito per poi abbracciarsi ancora
frementi di desiderio. Ecco, ora sono in penombra,
solo uno squarcio di luce lontana illumina la pelle
sensuale di lei, il viso, i capelli, la passione di lui
e lui vorrebbe accendere la luce, vorrebbe ammirarla, ma
lei lo prega di non farlo. “No Valerio, non
guardarmi, non sono quella di un tempo, sono vecchia
ora.” Senti come sussurra? Lui ascolta.
“Fortunato tuo padre che mi ha vista giovane, alle volte
la morte ha i suoi lati positivi. Lui mi ricorda così, e
vorrei che anche tu ora facessi l’amore con quella
donna.” Eccola Eva alle prese con lo scorrere del
suo tempo inesorabile. Non si sente più all’altezza per
l’amore, per quel desiderio giovane, ma forse solo per
intrattenere gli ospiti dell’albergo, per quattro
chiacchiere e un pettegolezzo sorseggiando un thè allo
zenzero con poco limone. “Ti prego no, non accenderla.”
Ed Valerio ubbidisce, non accende, è troppo
preso, ma non si accorge che Eva non sta facendo l’amore
con lui, ma con il mondo dei suoi ricordi, con le ombre
del suo passato, con l’uomo che il destino le ha
sottratto troppo presto. Ed Valerio non lo percepisce, è
solo impegnato a soffocare il suo passato recente,
perché Eva è il suo dimenticatoio, fatto di carne e di
seno esperto, di anche abbondanti e forme rotonde, come
la luna che a fatica si mostra coi riflessi argentati
specchiati dal mare.
Ed è sfogo, passione, come
il sesso di prima mattina, come la voglia di sentirsi
vitali, di contare qualcosa nella brama dell’altro, per
gli anni di lei, per la tragedia di lui. Senti
ancora il Chiaro di luna? Ma è solo uno strascico di
musica che viene dall’acqua, un riverbero, un’eco
lontana, è solo il pianobar di una balera vicina. Eccoli
che si stringono le mani, ecco le spalline di lei che si
sciolgono come ali di farfalla, ecco il vestito che
scende lezioso e ad onde di luce si adagia sull’ombra,
ecco quei baci che valgono meno di una promessa, ma sono
caldi e sono buoni sul seno di lei, sulla bocca di lui.
Eccoli ora sul letto, ecco lui maschio, ecco lei
femmina.
Lui la bacia, la stringe, da uomo ora
adulto. Quante volte da adolescente ci ha fatto l’amore?
Quante volte a vent’anni avrebbe voluto? Quante volte
nel suo letto ha consumato quella brama? Che ora è tutta
lì e con una facilità sconvolgente la volta come fosse
una piuma, poi la bacia ancora, perché questo è il
momento, il trascendente e l’assoluto, attimi infiniti
che fanno toccare con un dito l’universo. Le raccoglie i
capelli, le bacia il collo, il seno, poi affonda di
nuovo naufragando in quel mare di voglie, in
quell’oceano di sensualità, s’inabissa, nuota, trattiene
il respiro e torna a galla, impetuoso come un’onda,
travolgente come il mare d’inverno, poi giura d’amarla
per sempre, per ora…
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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