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Adamo Bencivenga
Atlantide
. Lui
adesso vive in California lungo la strada che porta a
San Pedro, ha la faccia di uno che ha capito e anche un
principio di tristezza in fondo all'anima. È diventato
un grosso coltivatore di fiori di zucca e stravede per
la sua donna che chiama Lisa. La conobbe un giorno
d’agosto e le cambiò il nome quando lei, passando di lì
per caso, lo vide sotto la veranda a suonare il suo
banjo e, calpestando la terra arida, gli chiese se
avesse bisogno di aiuto.
Lui forse la riconobbe e
la fece accomodare nel cono d’ombra per vederla più
bella, poi le preparò una bevanda calda di miele, zucca,
cannella con due gocce di Havana Club ed insieme si
misero ad ascoltare le nuvole. Non erano molte in quella
stagione, ma erano bianche e correvano veloci e allora
lui le disse che ognuna di loro somigliava ad un accordo
del suo banjo e se avesse ascoltato quel cielo con
attenzione avrebbe sentito il frusciare di quel
passaggio dentro il suo cuore.
Lisa allora
obbedì, posò la sua borsa di corda sul tavolo, posò il
suo pacchetto di Lucky Strike senza filtro e le venne
spontaneo canticchiare una vecchia ballata irlandese che
grosso modo faceva così:
Where have all the
flowers gone? Long time passing Where have all the
flowers gone? Long time ago Where have all the
flowers gone? Girls have picked them every one When
will they ever learn?
Lei aveva un vestito lungo
non adatto alla stagione, a strisce verticali color
arancio come le zucche, aveva un accento come quello di
San Pedro e la sua faccia ricordava il crollo di una
diga. Portava un bracciale nero al polso di peli
d’elefante, un vecchio ciondolo con l’effige della
Madonna di San Pedro e un cappello giallo a falde larghe
pieno di ricordi. E allora lui iniziò a suonare il suo
banjo, ma lei smise di cantare. Le venne naturale
parlare del suo Joe, suo unico grande amore, morto
ammazzato dentro un bar della route 66 per mano di un
coltello infilzato nella sua pancia. Lei scappava dal
suo matrimonio e da suo marito e il destino aveva voluto
che anche quell’uomo scappasse dalla sua vita.
Nonostante fossero passate poche ore dall’alba avevano
già bevuto quattro boccali ciascuno di birra scura
quando lei pensò per la prima volta di farci l’amore,
non perché ne fosse attratta, non perché fosse bello,
anzi era piuttosto grasso e quasi obeso, ma solo perché
vedeva nei suoi occhi il destino beffardo e alla lontana
il suo viso le ricordava quello di suo fratello morto da
soldato, tra il fango e le zanzare, dentro un bordello
lungo la riva del Mekong. Joe intuì il
suo desiderio e sorrise, poi si alzò e la trascinò
sollevandola fino al bancone. In piedi consumarono altri
due boccali di birra scura quando lei a quel punto si
decise e gli chiese di fare l’amore. Lui sollevò i suoi
capelli, le baciò il collo e le disse: “Lo avevo capito,
piccola!” Poi eccitato iniziò a toccarla, prima i
fianchi, poi il sedere e infine tutto il resto. Stordito
dal piacere le mise una mano sotto la gonna e si accorse
che il suo paradiso era già caldo, umido, disponibile ed
accogliente, ma il locale era pieno di gente e allora
lei si ribellò, o fece finta di farlo, perché non era il
momento, perché in fin dei conti era pur sempre una
donna sposata o solo perché non voleva che gli altri si
accorgessero che fondamentalmente le piaceva farsi
toccare il seno e soprattutto il sedere. Lui però,
incurante di quelle suppliche, continuò a baciarla
alzandole la gonna oltre i fianchi e lasciandola
praticamente nuda, e allora fu un attimo, quando tutte
le voci si placarono, quando nonostante fosse mattina il
sole fuori si tinse di un rosso tramonto e tutti smisero
di bere e tutti rimasero a guardare quando qualcuno
pensò bene di sentirsi un eroe, di avvicinarsi a lui e
di difendere la donna agitando il suo coltello.
Poi andò come andò, ma Lisa mentre raccontava la sua
storia sotto quella veranda pensò che il suo racconto
non fosse poi così interessante e allora prese dalla
borsa il suo rossetto e si dipinse le labbra di un rosso
intenso quasi scarlatto. Continuò senza smettere finché
lui le confessò che da sette anni aspettava quel
momento, aspettava che qualcuno le raccontasse quella
storia, e fu proprio in quell’istante che la chiamò
Lisa, il nome della protagonista del suo romanzo, che
avrebbe intitolato Atlantide, ma che non aveva ancora
scritto. Poi quando le disse: “Tu sei quella con cui
vivere!” Gli si formò una ruga sulla guancia sinistra.
E quando fu il suo momento le raccontò dei suoi
sette anni nel terzo raggio di San Quentin, dove aveva
imparato a non fare più domande del tipo: “Conoscete per
caso una ragazza di San Pedro, la cui faccia ricorda il
crollo di una diga?” Quando Lisa le chiese il motivo,
lui si ritrasse, ma poi le disse che quella ragazza
portava un cappello giallo pieno di ricordi e un vestito
lungo non adatto alla stagione, a strisce verticali
color arancio come le zucche. Poi continuò a parlare
di quella mattina quando entrando in un bar della Route
66, vide, in piedi al bancone, un uomo importunare la
donna, era grasso quasi obeso e stava affondando la mano
destra nel sedere di lei e l’altra mano non vedeva l’ora
di farle lo stesso lavoretto dalle parti del seno. Andò
come andò e finì come finì con un coltello nella pancia
di quell’uomo grasso e lo scorrere lento del sangue
lungo il pavimento di finto linoleum. Lui ancora
oggi ritiene di essere stato un eroe, e ancora oggi si
sorprende come quando il poliziotto nero le mise le
manette ai polsi perché quell’uomo di nome Joe era il
fratello del Governatore e nessun avventore testimoniò a
suo favore. La ragazza nel frattempo era uscita dal
locale e lui fece solo in tempo a vederla correre lungo
il ciglio della strada, poi salire dentro un camion di
passaggio e volatizzarsi lungo la strada che portava a
San Pedro.
Lisa capì e non capì, dubbiosa se
credere a quell’uomo o lasciarsi rapire dal destino, ma
le piaceva stare dentro quel cono d’ombra sotto quella
veranda ad ascoltare le nuvole. Correvano bianche e
prendevano forme strane d’uccelli ed a lei ricordavano
quando bambina con il viso rivolto verso l’alto giocava
corredo per metri lungo la ferrovia per poi perdere
l’equilibrio e cadere sul prato. Ma in realtà aspettava
solo che lui le dicesse di rimanere lì e di aiutarlo ad
annaffiare le zucche. Lui se ne accorse e allora le
offrì un boccale di birra scura, e allora le chiese,
semmai fosse rimasta, cosa avrebbe preferito per cena e
cosa la mattina per colazione.
Allora lei intonò
di nuovo la sua canzone preferita pregandolo di
accompagnarla con il suo banjo.
Where have all
the young girls gone, long time passing? Where have
all the young girls gone, long time ago? Where have
all the young girls gone? Gone for husbands everyone.
Oh, when will they ever learn?
Lui allora si
lasciò andare con qualche accordo, poi si sedette vicino
a lei, nell’unico cono d’ombra sotto la sua veranda, il
cono era piccolo e allora lei si strinse per fargli
posto. Lui la baciò su quelle labbra e sentì il sapore
del rosso scarlatto e sentì il sapore metallico di una
lama insanguinata. Comprese in quel momento quanto fosse
impossibile opporsi a quell’attrazione, comprese quanto
l’amore sia più energico di ogni forza fisica e allora
l’abbracciò e le toccò prima il seno e poi il sedere e
allora le chiese il permesso di chiamarla ancora Lisa e
senza aspettare risposta le disse che avrebbe finito il
suo romanzo perché finalmente aveva capito il suo gesto,
il suo destino, il terzo raggio e quelle zucche,
aggiungendo sottovoce che solo ora era in grado di
chiedere perdono a quell’uomo.
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Il presente racconto è liberamente ispirato
dal brano “Atlantide” di Francesco De Gregori I versi
in inglese sono tratti dalla ballata folk "Where Have
All the Flowers Gone?" di Pete Seeger Il pezzo sulle
Nuvole è ispirato dal brano le Nuvole di Frabrizio de’
André
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