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Adamo Bencivenga
Chi ha ucciso Maren Grethe Nilsen?
Londra, 15 Marzo
2008, ore 4:25. Ronald Marso venne svegliato
in piena notte da un suo sottoposto. Gli
uffici di Scotland Yard erano già in subbuglio.
Il tenente ancora addormentato cercò di
capire invano cosa stesse succedendo. Appoggiò
la sua testa calva alla spalliera del letto,
poi stropicciandosi gli occhi, disse a sua
moglie di preparargli un doppio caffè
bollente. Fuori, dalla finestra della stanza, si
intravedeva una fitta coltre di nebbia e
quella telefonata aveva ufficialmente esaurito
le sue ore di sonno e il piacevole tepore
nel letto con sua moglie.
Cosa stava succedendo la notte del 15 marzo 2008 a Londra? Una voce
anonima aveva chiamato la polizia riferendo con voce concitata che nel
seminterrato di un elegante condominio di Great Portland Street era stato
trovato nascosto sotto le macerie di una cantina in rifacimento il
cadavere di una giovane donna bionda e di bell’aspetto.
Ronald
Marso con il suo impermeabile color topo si recò immediatamente sul posto
senza passare per gli uffici di Scotland Yard. Parcheggiò la sua Austin
nera a qualche centinaio di metri, ma qualcuno aveva già avvertito i
giornali e il tenente senza alcuna sorpresa trovò davanti al civico 65 un
gruppo di fotoreporter infreddoliti ad aspettarlo. Si fece largo e con
l’aiuto di un omino grasso e pelato in pigiama, che indentificò
successivamente come un inquilino dello stabile, scese una rampa di scale
e ispezionò il corpo della ragazza. Da vecchio esperto del crimine e senza
toccare il cadavere intuì immediatamente la causa del decesso: la ragazza
era morta per strangolamento in seguito ad una forte compressione del
collo.
Il medico legale, arrivato sul luogo qualche minuto dopo,
esaminò il corpo e non ci mise molto a stabilire che la donna, di un’età
compresa trai 23 e i 27 anni, poco prima di morire aveva fatto l’amore e
che molto probabilmente la morte risaliva a ventiquattrore prima, ossia la
notte precedente. Sul corpo della giovane non ci evidenziavano altri segni
di violenza, ma naturalmente disse al tenente che sarebbe stato più
preciso dopo le prime analisi di laboratorio. Partirono subito le
indagini e con l’aiuto di qualche testimone residente nel palazzo, Marso
scoprì che la donna, una studentessa di nazionalità norvegese, abitava da
circa un anno in quello stesso stabile. Marso salì allora al terzo piano
dello stabile e con l’aiuto dei pompieri riuscì ad entrare nel minuscolo
appartamento. Risultava tutto perfettamente in ordine. Tramite un’agendina
telefonica, trovata in bella mostra sul davanzale dell’angolo cottura,
Marso chiamò tutti i numeri nell’elenco chiedendo se avessero visto o
sentito la ragazza nelle ultime 48 ore.
Scoprì a quel punto che il
suo nome era Maren Grethe Nilsen ed era stata vista viva per l’ultima
volta tra le tre e le quattro di notte del 14 marzo al nightclub Maddox,
nel ricco distretto di Londra di Mayfair, a circa un chilometro e mezzo da
dove Marso aveva ritrovato il corpo. Il tenente conosceva di nome quel
locale notturno, definito in tutta Londra il nightclub più esclusivo di
tutta la città e frequentato perlopiù dai giovani rampolli della Londra
benestante. Il fatto guadagnò sin dal giorno seguente le prime pagine dei
giornali e Marso, visto il clamore, si vide costretto a bruciare le tappe,
interrogando sin dalla mattina seguente quasi tutti i presenti di quella
sera nel locale.
Indagando venne a sapere che quella notte la
ragazza norvegese aveva lasciato il locale Maddox tra le 3 e le 4 in
compagnia di un uomo di aspetto arabo. I due, in evidente stato di
ebbrezza, erano stati visti salire insieme su un taxi. Non ci volle molto
a rintracciare il taxi e il tassista, interrogato in seguito, aveva
confermato che i due erano piuttosto ubriachi, che durante il breve
tragitto avevano avuto qualche approccio sessuale nella sua vettura e che
in seguito ad una richiesta esplicita, ma a dir poco insolita dell’uomo,
aveva fermato l’auto in un anfratto di Park Square ed era uscito lasciando
soli i due amanti e facendosi un giro a piedi nella zona sempre tenendo
d’occhio il suo taxi.
I due, rimasti in macchina, si erano
lasciati andare ai piaceri dell’amore e dopo circa un quarto d’ora avevano
richiamato il tassista. Lui a quel punto, sempre secondo la testimonianza,
avrebbe ripreso la corsa e fatto scendere la coppia davanti allo stabile
di Great Portland Street, ovvero dove il giorno dopo era stato ritrovato
il corpo della ragazza senza vita. Marso non voleva credere alle sue
orecchie e guardò il tassista con un’aria allibita. Lui prontamente
rispose che quell’uomo aveva pagato quanto promesso, ovvero il triplo del
costo della corsa compreso il quarto d’ora di Park Square.
Purtroppo però nessuno conosceva quell’uomo, nessuno lo aveva visto prima
di quella sera e nessuno tra i presenti del locale era in grado di fornire
riferimenti circa la sua identità. Dalle descrizioni del tassista e dei
presenti nel locale fu fatto immediatamente un indenti-kit distribuito ai
giornali nella speranza che qualcuno lo riconoscesse. Gli amici della
vittima furono tutti concordi ad affermare che Maren aveva conosciuto
quell’uomo solo quella sera. Lui, seduto in disparte e senza amici, aveva
a lungo e insistentemente guardato la ragazza. Poi si era deciso ad
invitarla a ballare tendando un primo approccio. Finita la serie di
balli lenti avevano consumato un drink seduti al bancone del bar per poi
appartarsi sui divanetti rossi della sala interna. Il gestore del locale,
interrogato dal tenente, aveva dichiarato che ad un certo punto i due si
erano lasciati andare ad effusioni amorose, così spinte che lui in persona
si era visto costretto ad intervenire, raccomandando ai due amanti un
atteggiamento più adeguato al locale e all’atmosfera di quella serata.
Quindi ricapitolò Marso, i due si erano conosciuti per la prima
volta nel locale, evidentemente attratti sessualmente si erano
immediatamente dati da fare, ma viste le rimostranze del gestore, avevano
lasciato il locale e preso un taxi con l’intenzione di proseguire nella
loro attività poi consumata in un anfratto di Park Square. A Marso venne
in mente la prima domanda spontanea. In considerazione del breve tragitto
tra il locale e la casa di Maren perché i due avevano deciso di appartarsi
dentro un taxi scomodo e di non andare nella casa di lei? Forse la ragazza
aveva un’altra relazione e temeva che, una volta in casa, qualcuno avrebbe
potuto sorprenderla?
Christopher Clifton, un giallista
discretamente famoso, che abitava al piano terra dello stabile, qualche
giorno dopo si fece avanti e interrogato come testimone oculare riferì
alla polizia che quella notte, a causa della sua insonnia cronica, mentre
era affacciato nell’unica finestra che dava sulla strada, aveva visto la
coppia scendere dal taxi e poi entrare nel portone di casa, ma stranamente
non aveva poi sentito l’ascensore salire. Incuriosito aveva origliato
prestando attenzione ai loro movimenti all’interno del palazzo. A suo
parere i due, dopo aver sostato per qualche minuto nell’androne del
palazzo, si erano recati direttamente al seminterrato e molto
probabilmente, visti i rumori inconfondibili, avevano fatto l’amore. Con
l’andare dei minuti quei gemiti, sempre secondo l’insonne, erano diventati
più intensi e prolungati, ma non così forti da allarmarlo. Insomma secondo
il suo racconto non aveva sentito urla soffocate o qualsiasi altro lamento
che potesse far pensare ad uno strangolamento. Concluse il suo
racconto dicendo al tenente che lui conosceva la donna in quanto inquilina
dello stesso stabile e che aveva avuto modo di apprezzare la sua bellezza
nordica tanto che quando aveva deciso di andare a dormire aveva invidiato
quell’uomo definito anche da lui di aspetto elegante e con caratteri
somatici decisamente arabi.
La fonte era senz’altro veritiera,
constatò Marso, ma quando ebbe modo di entrare nella casa del giallista si
rese conto che, dall’angolazione di quell’unica finestra, Christopher
Clifton non avrebbe potuto vedere tutta la scena, ma solo dedurre che i
due fossero entrati effettivamente nel portone. Certo poi c’erano stati i
gemiti e quant’altro, ma nell’ipotesi più assurda l’arabo avrebbe potuto
non entrare, ma salutare la donna sulla soglia per poi proseguire per
chissà dove. Lei invece, una volta sola, avrebbe potuto incontrare
un’altra persona, magari un conoscente, amico o fidanzato, il quale, in un
raptus di gelosia, dopo averla aggredita, avrebbe consumato il delitto nel
seminterrato. Certo sì, era una ipotesi assurda, ma il vicino di casa non
poteva con certezza affermare di aver visto la coppia entrare nell’androne
di casa.
Nell’ipotesi di una vendetta per gelosia, Marso indagò
sul passato recente della ragazza, ma a detta dei suoi amici, la bella
Maren era uno spirito decisamente libero e da quando si era stabilita a
Londra non aveva mai avuto una relazione fissa. Tra le altre cose, pensò
Marso, era molto strano che alcuni oggetti che la Nilsen indossava quando
fu vista per l'ultima volta nel locale, non furono poi trovati né indosso
alla ragazza né nel suo appartamento al terzo piano dello stabile. Il
corpo della ragazza al momento del ritrovamento era seminudo e aveva
indosso soltanto un paio di mutandine di pizzo rosa salmone, un reggiseno
coordinato, un paio di calze nere con evidente smagliatura sulla gamba
sinistra e un reggicalze dello stesso colore. Quindi risultavano mancanti
un paio di orecchini di Christian Dior, un paio di scarpe in pelle di
serpente, una borsa Marc Jacobs, un orologio Guess, un anello d'argento
con diamante incastonato, il suo telefono Nokia, una camicetta di seta
chiara e un paio di jeans di colore viola acceso. Il tenente Marso ne
dedusse immediatamente che l’uomo, chiunque fosse stato, forse per il
timore di essere rintracciato, sottraendo quegli accessori, avesse voluto
simulare una specie di rapina. Ma subito dopo le venne in mente un altro
grosso dubbio. Perché i due amanti sarebbero andati nello
scantinato visto che avendo fatto l’amore da poco? Non c’era di certo
un’esigenza impellente e comunque sia sarebbero potuti salire
tranquillamente e con calma nell’appartamento al terzo piano.
Marso scosse la testa, lui sapeva benissimo che al momento l’unica cosa
certa era che quella donna era morta per cui occorreva senz’altro partire
da lì. Quindi cercò di reperire qualsiasi notizia riguardante la vittima.
Già, ma chi era Maren Grethe Nilsen? La ragazza era nata a Larvik
nella contea di Vestfold in Norvegia. Il padre lavorava nelle vendite e
nel marketing e nel settore IT di una grande azienda danese e il fratello
di dieci anni più grande lavorava in una piccola attività familiare che
produceva slitte con sci per trasportare le persone sulla neve. Maren, ex
studentessa al Kristelig Gymnasium di Oslo, una scuola privata cristiana,
aveva lavorato per un certo periodo nell’azienda di famiglia e poi come
commessa in alcuni negozi di abbigliamento ad Oslo. Nel 2006 si era
trasferita in Svezia, a Stoccolma, per studiare medicina, ma aveva
lasciato gli studi solo sei mesi dopo. All’inizio del 2007 si era
stabilita a Londra, dove aveva iniziato a lavorare per mantenersi gli
studi al Regent Business School.
Nonostante queste informazioni
Scotland Yard brancolò nel buio per circa un mese, l’uomo arabo si era
letteralmente volatizzato e nessun’altra persona era entrata nell’elenco
dei sospettati. Ma fu proprio il gestore del Maddox a riaccendere la
fiammella della speranza quando si presentò nell’ufficio di Ronald Marso
con un porta sigaretta d’oro rosso. L’oggetto era stato ritrovato dalla
donna delle pulizie qualche giorno dopo il delitto tra l’intercapedine dei
due divanetti rossi. Il gestore lo aveva messo da parte in attesa che
qualcuno lo reclamasse e giurò a Marso di non aver pensato minimamente che
potesse appartenere al presunto assassino. Il tenente esaminò
immediatamente l’oggetto e gli brillarono gli occhi quando in basso a
sinistra, sul retro della graziosa scatolina in metallo, vide le tre
iniziali in rilievo: F.A.S.
Beh era sicuramente un indizio, tanto
che Marso, qualche sera dopo, mentre cenava con sua moglie Betty, ebbe
un’intuizione. Chiamò subito il suo sottoposto e gli ordinò di recarsi la
mattina successiva negli uffici dell’Aeroporto di Heathrow e di
raccogliere l’elenco di tutti i nominativi in partenza nel giorno
successivo al delitto. Se fosse stato l’arabo l’assassino era evidente che
avesse lasciato di fretta Londra, ma ovviamente era solo un tentativo
visto che l’uomo avrebbe potuto essere tranquillamente a Londra oppure
essersi allontanato senza però prendere un aereo.
Sta di fatto che
l’intuizione di Marso si rivelò proficua. Tramite la collaborazione di un
interprete passò in rassegna ed evidenziò tutti i nomi di origine araba.
Certo fu un’impresa quasi impossibile, visto anche la difficoltà di
comprendere la scrittura, ma la testardaggine del tenente fu premiata
quasi subito, trai partenti verso i paesi arabi risultava un certo Farouk
Ahmed Semiz, studente e figlio di un miliardario tra i più ricchi dello
Yemen di nome Khemal Ahmed Semiz. Il biglietto per il Cairo era stato
acquistato direttamente all’aeroporto nella stessa giornata e qualche ora
prima del volo. Approfondendo le ricerche Marso venne a sapere che il
giovane arabo aveva soggiornato per circa un mese al Mad Hatter Hotel al
centro di Londra. L’incaricato dell’hotel aveva, senza ombra di dubbio,
confermato la somiglianza con l’identi-kit e cosa ancora più importante
che la stanza risultava prenotata per un soggiorno di tre mesi. Non ci
volle molto a Marso dedurre che l’ospite era stato costretto a lasciare la
stanza in fretta e furia e guarda caso il giorno dopo il delitto.
Si trattava quindi di Farouk Ahmed Semiz, originario dello Yemen e
residente a Sana'a. Interpellate le autorità egiziane si era saputo
inoltre che, arrivato al Cairo, lo studente, dopo aver soggiornato una
notte all’Empire Hotel, aveva preso un aereo privato di proprietà del
padre per raggiungere la capitale yemenita.
Beh sì qualcosa si era
fatto, le indagini stavano procedendo, ma Marso si rese immediatamente
conto che ora sarebbe arrivato l’ostacolo più duro in quanto il Regno
Unito non aveva alcun accordo di estradizione con lo Yemen e quindi
sarebbe stato impossibile interrogare il giovane anche emettendo a suo
carico una formale accusa di omicidio. Nonostante questo le autorità
inglesi presero contatti con quelle yemenita e qualcosa si smosse anche
per il clamore internazionale che la vicenda stava assumendo. Forse, per
il timore di infangare il proprio onore e i propri affari, la famiglia
dello studente tramite l’avvocato Ohmmad el Kafia prese contatti con Marso
dicendo che il giovane, vista la sua innocenza e il dispiacere per la
morte della ragazza, si sarebbe reso disponibile per un colloquio, ma che
quell’eventuale incontro sarebbe dovuto avvenire nello Yemen.
Ovvio che con quella richiesta la famiglia del ragazzo voleva assicurare
tutti della propria disponibilità, ma allo stesso tempo ritardare il corso
della giustizia. Alcune fonti di stampa inglesi riferirono che i media
locali nello Yemen non avevano mai parlato del fatto che il figlio di uno
degli uomini più ricchi del paese, fosse sospettato di omicidio. Quindi a
Sana'a il caso era come se non fosse mai accaduto. Un consulente
internazionale asserì che lo Yemen era uno dei paesi più poveri del mondo
arabo e che il padre di Farouk Ahmed Semiz era il fondatore e il
proprietario di una grossa compagnia petrolifera con stretti legami con il
governo del paese. Alla fine dopo ulteriori contatti con l’avvocato si
decise che la mattina del 6 Maggio si sarebbe svolto un colloquio a
distanza tramite un collegamento internazionale via web.
La
mattina del 6 Maggio avvenne finalmente l’interrogatorio che durò
all’incirca un’ora. Farouk Ahmed Semiz si presentò vestito secondo il
costume tradizionale arabo, ma oltre a pronunciare il suo nome e cognome,
non disse altra parola. Nel corso di quell’ora alle volte annuì, altre
fece no con la testa. Parlò per tutto il tempo il suo avvocato asserendo
che il suo assistito respingeva tutte le accuse rifiutandosi sdegnosamente
di essere considerato un sospettato, ma di aver accetto quel colloquio al
fine di aiutare la giustizia inglese a risolvere il caso.
Farouk,
tramite il suo avvocato, che parlava un perfetto inglese, confermò di aver
conosciuto la ragazza quella sera e di essere molto dispiaciuto per la sua
morte. Maren, secondo la sua versione, si dimostrò subito molto
disponibile nei suoi confronti per cui senza alcuna forzatura si
lasciarono andare ad effusioni amorose prima nel locale e poi dentro un
taxi. Confermò inoltre di aver accompagnato la ragazza a casa, ma, come
aveva già intuito Marso, di non aver mai varcato la soglia di quel
portone. Circa il suo allontanamento da Londra disse che la mattina
seguente aveva ricevuto una telefonata dal padre che lo pregava di tornare
immediatamente a casa per un grave lutto famigliare, per cui si era recato
subito all’aeroporto e preso il primo volo disponibile.
Ovvio che
la modalità dell’interrogatorio e il rifiuto del giovane a rispondere
direttamente aveva reso difficoltoso l’interrogatorio. In circostanze
diverse Marso avrebbe sicuramente approfondito ogni dettaglio, ma al
momento dovette constatare che il piano e i modi attuati dall’avvocato
arabo avevano avuto i suoi effetti positivi per la controparte.
Nei giorni seguenti il tenente quasi sconsolato tornò più volte nel luogo
del delitto cercando quale prova che potesse accusare di fatto l’arabo e
quanto meno costringere il padre, in nome dell’onorabilità della propria
famiglia, a consegnare il figlio alle autorità britanniche. Marso sarebbe
stato perfino disponibile ad andare nello Yemen, ma a quel punto sarebbe
stata necessaria un formale atto d’accusa, che visti i rapporti
diplomatici, la Procura inglese non concesse, secondo la quale Farouk
Ahmed in assenza di elementi probatori non poteva essere accusato
direttamente dell’omicidio, fatto necessario per qualsiasi rogatoria
internazionale.
Durante uno di quei sopralluoghi nello stabile
Marso parlò più volte con Christopher Clifton, il giallista discretamente
famoso, che abitava al piano terra dello stabile e che con la sua
testimonianza aveva accusato, ma allo stesso tempo scagionato il ricco
arabo. Lui ovviamente confermò la sua versione senza rendersi conto di
essere entrato nella mente di Marso come uno dei possibili sospettati.
Christopher Clifton era una persona a dir poco eccentrica, da giallista
incallito, raccontava i dettagli di quella serata con un gusto
particolarmente cinico e senza alcuna pena per la ragazza. In vena di
confidenze dichiarò al tenente di essere attratto dalle situazioni
insolite e in aggiunta di essere di indole molto curiosa.
A detta
di Christopher Clifton, Maren risultava all’apparenza una persona
enigmatica e piuttosto misteriosa, il classico personaggio intorno alla
quale ogni scrittore di noir avrebbe desiderato costruire una storia. Lei
conduceva una vita estremamente solitaria e per quanto gli era dato sapere
nel corso di quei mesi non aveva mai invitato nessuno nel suo
appartamento. Sui suoi rapporti con Maren, Clifton confermò di avere avuto
con lei una conoscenza da inquilini dello stesso palazzo, per cui oltre a
salutarsi alle volte si fermavano qualche secondo parlando del più e del
meno. Lui, attratto da quel tipo di bellezza nordica e da quel velo a
suo dire equivoco ammise che avrebbe volentieri approfondito quel
rapporto. A domanda specifica di Marso escluse qualsiasi coinvolgimento
sentimentale non escludendo però che la sua natura di giallista lo portava
a chiedersi cosa realmente ci fosse dietro quell’aria misteriosa.
Pane per i suoi denti pensò Marso. E se fosse stato lui il tizio nascosto
nell’ombra dell’androne del palazzo? Lui stesso aveva confermato di
esserne attratto e che la donna in quei mesi non aveva mai frequentato
altri uomini per cui il giallista vedendola quella sera in compagnia
dell’arabo era uscito dal suo appartamento al piano terra e visto il
rifiuto della donna l’aveva con la forza costretta a scendere quelle
scale. Era un giallista ed era ovvio che non l’avrebbe mai portata in casa
per il timore di lasciare tracce e prove. Lui forse, preso da un raptus di
gelosia, avrebbe cercato di approfittare di lei o quanto meno di rivelarle
tutta la sua passione. La ragazza a quel punto si sarebbe rifiutata ed
avrebbe cominciato ad urlare e lui, per il timore di essere scoperto,
avrebbe agito di conseguenza, strangolandola. Del resto la donna non
era stata violentata, il suo sesso, come avevano stabilito i rilievi
scientifici, presentava solo tracce di un’attività sessuale che sia il
tassista che l’arabo avevano confermato. Comunque fosse andata, se
fosse stato l’arabo o un’altra persona, Clifton che occupava l’unico
appartamento al piano terra, non avrebbe potuto non sentire quelle urla,
per cui Marso, convinto della nuova tesi, interrogò gli altri inquilini
dello stabile nella speranza che alcuni di loro avessero sentito qualcosa
di insolito, ma da nessuno di loro ebbe informazioni utili, tutti
dichiararono di non aver sentito nulla, tutti dissero che conoscevano la
ragazza e tutti confermarono il suo atteggiamento riservato.
Quando Christopher Clifton fu dichiarato ufficialmente sospettato del
delitto, la polizia requisì il suo computer. In un file word salvato sul
desktop fu trovato un meticoloso elenco degli orari delle entrate e delle
uscite della ragazza dal palazzo compresi alcuni dettagli su com’era
vestita, l’acconciatura, il profumo, gli accessori ed alcune annotazioni
su dove potesse andare o dove potesse essere stata. Marso pensò in quel
preciso istante di essere all’epilogo del giallo, ma il giallista si
giustificò affermando che tutto ciò serviva per il suo lavoro e non c’era
alcuna morbosità nei confronti di Maren. Quell’elenco sarebbe servito, in
un futuro prossimo, ad impostare una trama analitica per un racconto su
quel delitto.
Ma visto che le annotazioni risalivano a molto
tempo prima, ovvero da quando la ragazza era andata ad abitare in quello
stabile, come faceva a sapere l’inquilino del piano terra che sarebbe
morta o meglio che qualcuno l’avrebbe uccisa? “Oh tenente, lei sa
meglio di me che per scrivere un giallo non occorre la presenza di un
morto o che si consumi necessariamente un delitto.” Aveva risposto Clifton
con un’aria beffarda.
Le indagini proseguirono per diversi mesi,
poi la Procura di Londra chiuse il caso con un nulla di fatto. Era la
vigilia di Natale, Marso prese il suo cappello e schiacciò il suo sigaro
sul posacenere del suo ufficio con vista su Trafalgar Square. Sì, era
proprio ora di tornare a casa. Quella sera avrebbe avuto ospiti la figlia,
suo genero e i suoi tre amatissimi nipotini. Mentre usciva diede ancora
uno sguardo a quella mole di documenti prodotti dall’inutile indagine. La
cosa incredibile pensò, che per la prima volta in assoluto, non aveva la
benché minima idea di chi fosse l’assassino! Allargò le braccia
sconsolato, ripensò all’arabo ed al giallista, o magari ad una terza
persona che non era mai entrata in quell’indagine. Da quel momento,
chiunque fosse stato, poteva dormire sonni tranquilli, nessuno lo avrebbe
più disturbato. Chiuse la luce ed accostò la porta a vetri. Già, ma chi
aveva ucciso Maren Grethe Nilsen?
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.. |
Il racconto è frutto di
fantasia. e liberamente ispirato allla vicenda di Martin Vik
Magnussen.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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