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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il vuoto
 





Photo Alexander Titov
 
 


18 APRILE 2018 MERCOLEDI
INTERNO GIORNO ORE 16:15 STUDIO DELLO PSICHIATRA JACOB BRASS
GISELLE E DR. BRASS


Giselle: Buongiorno.
Dr. Jacob Brass: Si sieda.

I due si siedono sulle due poltrone di fronte. Silenzio assoluto, passano alcuni minuti. Giselle imbarazzata guarda fuori attraverso le tende bianche. L’uomo la osserva.
Giselle: Mi scusi dottore, come funziona qui? È la prima volta che partecipo a questo tipo di sedute. Immagino debba essere io a parlare per prima…
Brass, calmo: Se lo desira...

La donna accavalla le sue gambe lunghe. È alta, affascinante, porta una camicetta traforata e un leggerissimo trucco. Il rosa delle labbra è appena accennato. Aspetta di nuovo, forse aspetta che il dottore le dica qualcosa, forse che la riconosca. Nulla.
Giselle: Allora le dico che non so per quale motivo sia qui. Stavo camminando in cerca di un taxi, quando ho visto la sua targa: “Dottor Psichiatra Dr. Brass”. Avevo tempo ed ho citofonato. La sua segretaria molto gentile mi ha fatto entrare e lei incredibilmente mi ha ricevuta subito.
Brass: Perché lo ha fatto?
Giselle: Avevo solo voglia di parlare con qualcuno…
Brass: Ed ha scelto uno psichiatra?
Giselle: Ho scelto una persona che mi ascoltasse…
Brass: A pagamento?
Giselle: Anche l’amore a volte si sceglie a pagamento…
Brass: Prima di iniziare le rammento che per la prima seduta non percepisco alcun compenso, ma per le successive il mio onorario ammonta a 250 euro per ciascuna seduta all’incirca di 30 minuti.
Giselle: Bene, posso iniziare?
Brass: Ha voglia di parlare?
Giselle: Di ascoltarmi.
Brass: Allora lo faccia…
Giselle: Immagino che debba raccontare la mia vita…
Brass: Dica quello che desidera.
Giselle: So che in questi casi si comincia sempre dall’infanzia…
Brass: Qui non ci sono canoni prestabiliti.
Giselle: Ho 27 anni, vivo sola col mio cane Antoine, faccio la giornalista free-lance per riviste scientifiche, ma si guadagna ben poco… sono stressata e non è facile in questi casi trovare un lavoro più remunerativo. Da ragazza facevo la modella ed ho guadagnato una barca di soldi, per cui al momento vivo ancora di rendita.
Brass: Perché ha lasciato quel lavoro?
Giselle: Per lo stesso motivo per il quale ora sono qui.
Brass: Capisco.

Giselle si guarda intorno in cerca di parole, le sue mani sono giunte come se cercasse comprensione.
Giselle: Vivo in uno stato di perenne attesa ed inquietudine. Come se da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Dico il contrario di quello che devo dire, sbaglio i congiuntivi, spesso sono dislessica. Ho avuto delle storie d'amore, ma niente di importante, forse perché credo di non sapere amare o forse perché quelle storie le ho subite tutte come violenze. Ecco sì, ho il timore che ogni uomo si approfitti di me e mi prevarichi. Credo di non essere capita, quando affermo un concetto so in anticipo che dovrò ripeterlo. A volte sento le mie parole vuote, senza forza e senza significato. Forse è questo il mio vero problema. A volte piango senza ragione, altre per troppa ragione. Ecco tutto, crede di potermi aiutare?
Brass: Vedo che ha già individuato il problema, ha anche una soluzione?
Giselle: Dottore io sento un vuoto dentro, esattamente qui.

La donna porta la sua mano sinistra all’altezza del basso ventre.
Giselle: A volte però si espande e non riesco più a localizzarlo.
Brass: Quindi più che un dolore fisico è una sensazione?
Giselle: Credo di non avere autostima a sufficienza, forse non credo in me stessa o forse sono solo diffidente verso il genere umano. La mia presenza, spesso e volentieri, è insignificante non aggiungo e non tolgo nulla alle situazioni.
Brass: Questa non è né la causa e tantomeno la soluzione, potrebbe essere la coscienza fotografica del proprio malessere.
Giselle: Crede di potermi aiutare, dottore?
Brass: Il vuoto è solo una sensazione, effetto di una mancanza, di un’assenza, penso che insieme si possa riempire.

Silenzio. La donna gioca con i propri capelli, lui invece ha qualcosa da dire.
Brass: Ha avuto ultimamente una forte delusione d’amore?
Giselle: Ho avuto più volte la sensazione di deludere. Quando facevo la fotomodella ero ancora adolescente e mi sentivo libera, il lavoro era divertente e mi piaceva avere tutti gli occhi addosso. Ovviamente sono stata a letto con tutti i fotografi che mi hanno ritratta... Nessuno escluso. Era un gioco per me e volevo sedurre, affascinare tutte le persone attorno a me… soprattutto gli adulti, gli amici di mia madre, più erano vecchi e più i loro sguardi, i loro commenti mi eccitavano... Poi sono cresciuta e...
Brass: Alt, si fermi, rimanga per un attimo ancora adolescente…
Giselle: Mi piaceva sentire gli stessi apprezzamenti che facevano a mia madre, volevo assomigliarle, anche se lei era molto più bella di me. Insomma mi piaceva essere corteggiata, viziata, ma poi inevitabilmente arrivavano al dunque e le cose cambiavano. Subentrava la paura di deludere, di non essere all’altezza, allora cercavo altri occhi, altri sguardi e ricominciavo… Ho sempre usato il sesso per compiacere, per non deludere gli altri.
Brass: Quanti anni aveva?
Giselle: Avevo 15 anni quando ho posato per la prima volta. Ecco sì mi faccia lei le domande, dottore.
Brass: Mia cara non funziona così, io sono qui per guidarla… A volte intervengo solo per dare un filo logico ai suoi pensieri… Non altro.
Giselle: Ok, comunque ero timida, impacciata e non so cosa attraesse loro, forse perché ero solo adolescente e soprattutto bella…
Brass: Anche ora lo è…
Giselle: Grazie, ma la consapevolezza di esserlo non mi ha più aiutata.
Brass: Mi ha raccontato di sua madre, immagino ci siano altre figure importanti…
Giselle: Sono figlia unica. A 14 anni, quando le chiesi di mio padre, mia madre mi raccontò che ero nata per una coincidenza, da una vecchia sua conoscenza incontrata per caso una notte in un locale. Le sue parole però erano evasive ed ogni volta che mi rivenivano in mente, avevo la netta sensazione di essere nata da una contrattazione, insomma che lui l'avesse pagata per fare l’amore, come una puttana.
Brass: Ora però da grande potrebbe confidarle i suoi dubbi…
Giselle: Sono cresciuta con una vecchia zia, perché mia madre non aveva mai tempo per me. Era bellissima, libera ed indipendente. Non so se facesse la professione, forse solo la mantenuta. Veniva a trovarmi raramente, poi l'ho rivista dopo tanti anni, ma dentro una bara. Ora in ogni istante della giornata mi guarda, il suo sguardo è severo, mi giudica, mi dice che non sono buona a nulla, che lei non ha mai avuto complessi di colpa, che la vita è quella che è, che lei mi ha dato la sua stessa bellezza ed io non ho saputo approfittarne... Mi illudo che mi voglia bene, ma sinceramente non lo so...

L’uomo guarda l’orologio e si alza.
Brass: Mi spiace signorina, ma devo comunicarle che siamo fuori tempo massimo.
Giselle: Mi cura dottore?
Brass: Ci vediamo la prossima settimana, stesso giorno, stessa ora.
Giselle: Grazie.


*****

MERCOLEDI 16 MAGGIO 2018
INTERNO GIORNO ORE 16:15 STUDIO DELLO PSICHIATRA JACOB BRASS
GISELLE E DR. BRASS

Giselle puntuale bussa alla porta. Le apre direttamente il Dr. Brass.
Brass: Buongiorno Giselle.
Giselle: Buongiorno a lei.
Brass: Le faccio strada… si accomodi.
Giselle: La sua segretaria si è presa un giorno di permesso?
Brass: Un contrattempo… Lei come si sente?
Giselle: Oggi pensavo che è esattamente un mese che ci conosciamo. Se non sbaglio questa è la quinta seduta…
Brass: Non sbaglia. Lei ha notato dei miglioramenti dalla prima seduta ad oggi?
Giselle: Come le altre volte, durante il giorno ho la netta convinzione di sprecare tempo e denaro, e che forse non è la terapia giusta per me, ma quando la sera mi raccolgo o mi siedo qui su questa poltrona scompare ogni malessere.
Brass: Quindi non ci sono miglioramenti?
Giselle: Oh sì… mi sembra un vuoto più fisico e quindi più circoscritto.
Brass: Riesce a descriverlo più dettagliatamente? Cambia posizione? È più intenso o non muta durante il giorno?
Giselle: Le ripeto, lo sento qui nel ventre, soprattutto quando sono sola. È un disagio sordo, ma anche intenso. Sono anni ormai che ci convivo…
Brass: Ma ultimamente riesce a localizzarlo…
Giselle: Essendo un vuoto fisico si può riempire…

Jacob Brass, ha un leggero ghigno di insofferenza come se non capisse, come se nella donna ci fosse un qualcosa di inafferrabile, ora la guarda intensamente negli occhi.
Brass: Riesce ad avere una normale attività sessuale?
Giselle: Sin dal primo giorno, da quando ho avvertito questa sensazione, non ho più fatto l’amore. Ci ho provato, ma lui è sempre lì e mi impedisce qualsiasi abbandono. Ora però sento che dentro di me le cose in qualche modo stiano cambiando…
Brass: Perché? Ha neutralizzato il vuoto? Lo riempie con le sue aspettative?

La donna cerca le parole, ma non risponde.
Brass: Ha mai desiderato un bambino?
Giselle: A volte penso che non potrei mai essere madre perché un bambino non nasce nel nulla.
Brass: Ma ci pensa?
Giselle: No.
Brass: Cos’è l’amore per lei?
Giselle: L’attenzione.
Brass: E la maternità?
Giselle: Un’incombenza.
Brass: Ora si concentri, sente quel vuoto?
Giselle: Non sento il malessere.
Brass: Non c’è perché non ci pensa o effettivamente non lo sente?
Giselle: Le altre volte quando mi capitava di pensarci avvertivo un minimo disagio, ora no.
Brass: Come terapia, dopo la quarta seduta, non potevamo sperare di meglio…
Giselle: Percepisco il vuoto, ma le ripeto non sento il malessere, come se riuscissi a dominarlo o quanto meno conoscessi la cura e nel contempo mi sento meno debole, sento la mia presenza, occupo uno spazio e le mie parole le sento più forti, vive, convincenti, come se abbiano un senso, forse perché lei mi sta ascoltando, mi dà attenzione ed oggi per la prima volta mi ha chiesto come mi sentissi.
Brass: E’ importante per lei?
Giselle: Chi me lo chiede di solito ha altri fini. Quindi non produce alcun effetto.
Brass: Ed io?
Giselle: Lei vuole curarmi. So che è interessato a me e non solo come paziente...

L'uomo è dubbioso.
Brass: Perchè dice questo?
Giselle: Lo sappiamo tutti e due dottore!
Brass: Crede che fuori da qui torni di nuovo quella sensazione di malessere?

La donna si agita, è irrequieta. Cerca qualcosa nella borsa, si soffia il naso con un Kleenex.
Giselle: Vuole che le dica la verità dottore?
Brass: Scelga sempre la strada più appropriata alla situazione…
Giselle: A questo punto ho paura di guarire troppo in fretta.
Brass: Perché?
Giselle: Se rimango debole, se persiste quel vuoto, avrò sempre bisogno di qualcuno che mi ascolti.
Brass: Tutte le terapie hanno un esito, a volte positivo.
Giselle: La prego non mi faccia guarire, senza queste sedute mi sentirei di nuovo persa.
Brass: Se così fosse lei ha sempre la scelta e il diritto di fingere.
Giselle: Non fingo ora, mi sento felice. Il pensarla mi procura un benessere sia fisico che mentale. A volte travalico e vado oltre e in quell’oltre lei è presente come se avesse un ruolo nella mia vita di tutti i giorni.
Brass: Si spieghi…
Giselle: Non nascondo che mi capita di pensarla anche in quei momenti… Lei invece dottore?
Brass: Prego?
Giselle: Lei mi sembra un tipo freddo e mi domandavo se uno psichiatra partecipi o meno emotivamente con la sua paziente…
Brass: Quando accade non è mai un bene, professionalmente parlando...
Giselle: Non capisco…
Brass: Occorre mantenere a tutti i costi una certa distanza, ma alle volte mi rendo conto che alcune fragilità, alcuni vuoti possano essere riempiti con fantasie molto intime le quali prima o poi esploderanno. Ovviamente sta al medico non approfittare di certe situazioni o esserne quanto meno coinvolto.
Giselle: Non sbaglia sulle fantasie.

L’uomo scuote la testa. Silenzio. Si alza va verso la finestra, la donna lo segue con gli occhi. Poi lui torna, si rimette seduto.
Brass: Penso che dovremmo porre fine alle nostre sedute.
Giselle: Perché dottore?
Brass: Quel tipo di fantasie sono incompatibili con la terapia. O meglio la maggior parte dei pazienti non riesce a distinguere la fantasia dalla relazione affettiva che ineluttabilmente si istaura nella propria sfera emotiva.
Giselle: Relazione affettiva?
Brass: Sì
Giselle: Quindi?
Brass: Visto che è guarita…
Giselle: Non credo di esserlo…
Brass: Allora diciamo che non avverte più la sensazione di malessere, ma solo un vuoto localizzato.
Giselle: Ecco esatto.
Brass: Giselle voglio essere chiaro con lei. Credo che il suo desiderio di considerazione la porti quanto meno ad esagerare. E il suo presunto vuoto non abbia più bisogno di terapia, ma che possa essere riempito da normalissime relazioni interpersonali. Occorre solo trovare la persona giusta in questi casi.
Giselle: Quindi dottore?
Brass: E’ sulla strada del miglioramento definitivo per cui le raccomanderò un altro collega per la terapia di mantenimento.
Giselle: No grazie, non si disturbi, non ne ho bisogno.

La donna si alza e prende la borsa.
Giselle: Quanto le devo?
Brass: Sono io a rinunciare, non si disturbi, oggi non mi deve nulla.
Giselle: Crede di avermi guarita?
Brass: Io non guarisco nessuno. Ho solo ascoltato.
Giselle: Lei si sente coinvolto?
Brass: Non avrei rinunciato.
Giselle: Ora capisco…
Brass: Cerco di essere sempre onesto con le mie pazienti.
Giselle: Ma non può farmi questo, lei fa parte della terapia, credo davvero che lei sia la mia medicina, posso spogliarmi?

La donna si rimette seduta.
Brass: E’ per questo che sto rinunciando. Oltre la terapia non ci potrebbe essere altro. Non si gioca con queste cose. Il mio ruolo mi conferisce un potere enorme nei suoi confronti, mi capisce?
Giselle: Non gioco. La sto insidiando? Perché mi rifiuta?
Brass: Non la rifiuto come paziente, la rifiuto per quello che potrebbe accadere e per quello che potrebbe rappresentare.
Giselle: Lei è sposato? Ha dei figli?
Brass: Sono separato ed ho due figlie. Perché me lo chiede?
Giselle: Perché se fosse stato un coinvolgimento personale o come dice lei affettivo le avrei già fatto queste domande…
Brass: E quindi?
Giselle: Forse non mi riesco a spiegare, io non voglio diventare la sua amante e non desidero altro che continuare ad essere la sua paziente… E quel potere, che lei dice di avere nei miei confronti, credo sia esattamente la terapia giusta di cui ho bisogno.
Brass: Desidera sedersi al mio posto?
Giselle: Risultati ne abbiamo avuti, non fosse altro per il fatto che abbiamo circoscritto quel vuoto, che essendo ora soltanto fisico è presente nella misura in cui non venga debellato col suo contrario…
Brass: Quella era una mia vecchia terapia.
Giselle: Lo so!
Brass: In poche parole mi sta chiedendo di fare sesso con lei…
Giselle: E’ diverso dal chiederle di essere la sua amante.

Giselle fissa l’uomo e lentamente si spoglia. Toglie la camicetta bianca e poi il reggiseno nero ed entrambi li getta sulla poltrona vuota. L’uomo la guarda e nota il suo seno appena accennato. Lei inizia ad accarezzarlo.
Giselle: Non è grande dottore, ma le assicuro molto, molto sensibile…

La donna ora chiude gli occhi ed emette dei piccoli gemiti.
Giselle: Le assicuro che fin dal primo giorno, quando ho bussato alla sua porta, ho sperato che la terapia non fosse solo di parole ed avesse questo epilogo.
Brass: Il fine giustifica i mezzi, perché non lo ha fatto prima?
Giselle: Ritenevo logico che quando ci si apre così profondamente davanti ad un uomo, raccontando ogni proprio dettaglio di vita e sensazione al limite della possessione mentale, quella fisica fosse una naturale conclusione. Ma nonostante i miei ammiccamenti lei imperterrito è rimasto impietrito nel suo camice bianco.
Brass: Non si hanno limiti se si mantiene il limite dei propri ruoli.
Giselle: Anche da bimbi al gioco del dottore si mantenevano rigidamente i ruoli, non credo sia un problema.
Brass: Posso chiederle perché desiderava farlo proprio con me?
Giselle: Perché passavo di qui per caso e il destino ha voluto che sulla targa ci fosse scritto il suo nome, e la sua bellissima segretaria fosse molto gentile e lei fosse inspiegabilmente libero…
Brass: Questa è una risposta che non risponde…
Giselle: Mi stava aspettando dottore?
Brass: Mi dica la verità...
Giselle: Ah già, dimenticavo che sto parlando con uno psichiatra… Allora le dico che non si trova tutti i giorni un uomo disposto ad ascoltarti per quattro settimane e poi acconsente a fare l’amore…
Brass: Ne è sicura?
Giselle: Sì, altrimenti che senso avrebbe il continuo richiamo alla deontologia professionale sapendo benissimo che gioco forza si instaura tra dottore e paziente un rapporto di dipendenza. Lei ne è sicuramente cosciente, ha la capacità di penetrarmi ogni volta con le parole e del resto in giro non ci sono molti uomini capaci di questo.
Brass: Lei quindi crede che io abbia una mente che possa in qualche modo sottometterla?
Giselle: No dottore, non lo credo, credo invece che lei abbia il ruolo per farlo.
Brass: Quindi è sicura di voler fare l’amore con me?
Giselle: Sicurissima dottore, altrimenti che senso avrebbe dirmi che sono guarita proprio il giorno in cui ha concesso un giorno di ferie alla sua bella segretaria? Voleva mettermi alla prova dicendomi di chiudere? Aspettava una mia reazione? E soprattutto il fatto che sin dalla prima seduta mi abbia deliberatamente ignorata fingendo di non conoscermi? Due indizi fanno una prova, no?
Brass: Quale prova?
Giselle: Chissà perché quando ho visto quella targa e ho letto il suo nome mi è venuta in mente la frase: “Le occasioni sono sempre dietro l’angolo.” Non le ricorda nulla?

Giselle sempre fissando l’uomo, ora alza la gonna ed apre le sue belle gambe magre lasciando salire con studiata maestria le sue mani fino al suo piacere completamente nudo.
Giselle: Vede dottore anche io oggi sono arrivata qui preparata!
Brass: Lo avevo immaginato.
Giselle: È scientificamente provato che alla quinta seduta le sue pazienti non portino gli slip vero? E mi dica aspetta sempre la quinta prima di farci l’amore? O devo dire farci del buon senso terapeutico?

La donna ora è completamente abbandonata su quella poltrona.
Giselle: Ecco mi guardi dottore, guardi il mio vuoto. Finge ancora di non ricordarlo? Come vede è un posto ben preciso, localizzato e fisico. Sta assistendo a ciò che ogni sera, dalla prima volta che l’ho incontrata, faccio davanti allo specchio pensando a lei, ma lo specchio purtroppo non è il mio contrario, lei invece sì. Ricorda la teoria del vuoto e il pieno? Forse no ed invece io sì e la penso da quando lavorando come free lance l’ho intervistata per quel mensile scientifico. Non lo ricorda dottore, vero? Eravamo in quella saletta in penombra e la intervistai a margine del convegno. Anche allora sentivo quel vuoto e lei mi parlò della terapia d’urto dei contrari e quale fosse il punto di rottura e come gestirlo. Di certo sul rapporto medico paziente non la pensava esattamente come oggi! Non so forse voleva solo convincermi, o forse aveva trovato la sua preda quotidiana. Sta di fatto che insistette e non poco su come il rapporto fisico tra medico e paziente sia parte integrante e fondamentale della cura. Ricordo che mi fissava le gambe esattamente come sta facendo adesso. Poi mi ha preso per mano e mi ha condotto nella toilette dell’albergo. Lo ricorda vero? Forse no. Chissà da quel giorno quante cliente avrà dovuto curare, chissà quanti vuoti avrà dovuto riempire… Anche allora non portavo le mutandine e dentro quel bagno di un metro per due lei mi ha alzato la gonna, mi ha tastata tra le cosce per poi leccarsi le dita e dicendomi quanto fosse sublime riempire un vuoto così disponibile. Ero in estasi e lei non si è fatto pregare. Sarà stato per la voglia o forse perché le piacevo davvero e infatti ricordo come fosse oggi che esplose ben prima che io venissi. Subito dopo la chiamarono al telefono e lei mi disse che era davvero un peccato non continuare l’intervista da qualche altra parte ed io prontamente le risposi sorridendo che le occasioni sono sempre dietro l’angolo. Sarà durato in tutto non più di due minuti, ma per quanto mi riguarda quella è stata la migliore scopata della mia vita. Le sembra assurdo vero? Sta a lei ora continuare la terapia nei modi che ritiene più opportuni. Ah dimenticavo, può anche rimanere comodamente seduto davanti a me oppure esaudire appieno il mio desiderio come ha fatto in quella toilette che ovviamente ha finto di non ricordare, ma la prego non si spogli di quel camice bianco, è parte integrante del trattamento. Non è vero dottore?





 





Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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