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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La Venere di Anzio
 
 
 


Questa è una storia maledetta, una storia d’altri tempi con il classico triangolo: marito, moglie e amante. Un triangolo amoroso e passionale che è anche il terribile movente per un omicidio. Siamo nell’estate del 1991, ad Anzio. Nei juke-box del litorale Marco Masini quell’estate canta “Perché lo fai” e sulle spiagge e al porto della cittadina in provincia di Roma si sente ancora la voce gracchiante di Riccardo Cocciante che si domanda: “Se stiamo insieme ci sarà un perché?” A quel tempo non c’era ancora internet, per telefonare in strada si va alle cabine, Sofia Loren ha ricevuto da poco il Premio alla carriera ad Hollywood e Diego Armando Maradona è stato trovato positivo alla cocaina e squalificato.

Sì, dicevamo, una storia maledetta, e come in ogni storia maledetta alla fine spunta il morto, un cadavere sul pavimento freddo di un garage trafitto da decine di coltellate. La vittima è Franco Foschi, un facoltoso pseudo uomo di affari di 62 anni, marito e vittima della Venere di Anzio. La sua colpa? È sposato con un’avvenente donna più giovane di lui di 15 anni, tra loro non c’è più passione e vivono di fatto come separati in casa. La coppia ha due figli e lui forse sa dell’infedeltà della donna ed è per questo che frequenta un’altra donna che entrerà solo marginalmente in questa storia maledetta.

Milena, sua moglie, la Venere di Anzio, invece ha 47 anni e se li porta decisamente bene, bionda come il grano, esuberante e formosa come un’anfora romana, non passa di certo indifferente agli sguardi appetitosi degli uomini quando passeggia su quei tacchi impossibili per le vie della piccola città. Tutti sanno che è in rotta col marito, tutti sanno che quel corpo ha ancora bisogno di attenzioni, forse a causa della differenza di età e la voglia di vivere di lei, di sentirsi ancora giovane, di non arrendersi al tempo, alle rughe e agli inestetismi della pelle. Insomma lei è un’autentica preda, molti single del posto ed anche uomini sposati, cercano di avvicinarla, di avere un minimo approccio, ma lei con i suoi occhiali da sole scuri cammina dritta, lei sa quello che vuole, il suo desiderio sono i ragazzi giovani, belli ed aitanti, e forse alla fine di questo racconto sapremo anche il motivo di questa singolare passione.

Ma Milena ha anche un'altra grande passione, oltre ad apparire bella e sensuale, ha la passione della magia. Lei teme l’invidia e l’ostilità della gente, teme la maldicenza per cui sin da ragazza si è appassionata a questa arte con la quale si illude di dominare le forze malefiche generate dall’essere umano. Per questo motivo frequenta cartomanti del posto e di Roma per avere consultazioni e per difendersi dal prossimo.

Il terzo elemento del triangolo maledetto, ovvero l’altro, è Renato Bratti, un giovane e aitante pallanuotista della locale squadra che milita nella serie A nazionale. Fisico imponente e robusto, ha 24 anni ovvero circa la metà degli anni dell’amante. Milena e Renato si sono conosciuti nella piscina comunale dove solitamente lei va a vedere gli allenamenti del figlio Davide, promessa del nuoto italiano. Sta di fatto che Renato non ha un lavoro stabile e con la pallanuoto non si mangia e non si costruisce un futuro! Ovvio è ancora giovane, ma per il momento è solo uno sportivo, e forse crede che il suo futuro possa passare per la bella Milena, donna e moglie ricca, per cui accetta le sue avances oppure è lui, colpito dal fascino della donna sposata e matura, che non perde tempo, ma noi questo non lo possiamo sapere.

Un maledetto mercoledì di questa estate del ’91 e di questa storia maledetta Renato durante una partita si fa male. In uno scontro di gioco con un avversario si frattura il braccio sinistro. Il primo a soccorrerlo è il figlio di Milena e subito dopo è lei stessa che prende la palla al balzo. Forse già lo aveva adocchiato e quella è di sicuro l’occasione giusta. Renato non è di Anzio, lui è originario di Fiuggi, un paese della Ciociaria, vive in famiglia ed è fidanzato con una ragazza del posto da sei anni, ma il braccio è rotto, ha bisogno almeno di quaranta giorni di gesso, e i medici della squadra per seguirlo meglio nella riabilitazione gli consigliano di rimanere ad Anzio. Il ragazzo è dispiaciuto, ma guarda oltre, sa che quella permanenza forzata è un segno del destino, allora si stabilisce in una piccola pensione vicino alla piscina comunale, dove ogni giorno la bella Milena trova il tempo di andare a trovarlo insieme al figlio Davide e a l’altra figlia Stefania.

Non sono ancora amanti, perché siamo all’inizio di questa storia maledetta. Lei fa di tutto per alleggerire quella sua permanenza forzata, per quel dolore al braccio che fa ancora male. Gli fa dei piccoli regali, alle volte escono per un gelato, altre lo invita a pranzo a casa sua presentandolo a suo marito come amico del figlio. Ma si sa che il paese è piccolo e la gente mormora e gli occhi indiscreti guardano, al punto di credere che sia la ventitreenne Stefania, fotocopia della madre con i capelli biondi e il trucco vistoso, ad avere delle mire sul pallanuotista. Ma questa è una storia maledetta, così maledetta che subito dopo la maldicenza si deve ricredere perché non è Stefania, la coetanea del giovane, ad avere quelle mire.

Comunque i quattro, lui, lei e i due figli di lei cominciano a frequentarsi, fino a fare gruppo fisso. Sono sempre insieme al ristorante, in piscina, al porto, in gita in barca e in discoteca. Chissà se i due ragazzi sanno e fanno finta di non sapere oppure sono totalmente ignari di quell’intesa che a poco a poco diventa una vera e propria relazione e che giorno dopo giorno si consuma alle spalle del marito di lei.

Chi organizza e tira le fila di questa singolare compagnia è sempre lei, Milena, è lei che decide dove andare la sera, dove recarsi per passare delle ore e divertirsi, e poi scaricare i figli per passare le ore più calde da sola con l’amante. Noi non sappiamo come sia iniziata, forse quella sera al Delfino, un lussuoso ristorante di pesce, quando sono stati visti per la prima volta insieme da soli. Lei è bella, bella come una dea, ha i capelli raccolti, il rossetto ciliegia e un vestito rosso di seta così corto, che lo stesso cameriere non può non confidare ai suoi amici che la bella Venere quella sera si è dimenticata di indossare gli slip.

Abbiamo detto che il paese è piccolo e pieno di occhi indiscreti e questi sguardi non possono non vedere la bella Venere che si trasforma la sera in amante calda e nascosta da un paio di occhiali scuri sale le scale di quella piccola pensione dopo aver accompagnato i figli a casa. Gli stessi occhi si chiedono come faccia il marito a non accorgersene e come faccia lei ad inventare scuse per quelle uscite. C’è chi la vede tornare a notte fonda, altri addirittura all’alba, chi giura di aver sentito con le proprie orecchie il portiere d’albergo parlare di gemiti e focose notti d’amore.

Ma noi sappiamo che anche Franco Foschi, il finanziere miliardario, ha il suo divertimento notturno, una donna divorziata, che fa la cassiera in un bar del porto dove ogni mattina il buon Franco si reca per fare colazione. Anche lei è una donna appariscente, non ha figli e passa il suo tempo libero tra centri estetici e parrucchieri per essere pronta, bella e disponibile per il suo amante facoltoso. C’è chi giura che lui le abbia comprato una casa come regalo del suo quarantesimo compleanno, chi invece ha visto il contratto firmato di una villa poco fuori dalla cittadina.

Comunque in una storia maledetta che si rispetti c’è anche una sera diversa dalle altre, appunto quella Sera con la s maiuscola, la sera maledetta, la sera del fattaccio, durante la quale l’allegro quartetto è alla Palma, un locale alla moda della zona sulla spiaggia verso Nettuno. Stanno ballando e cantando al karaoke, bevono qualche drink, ma soprattutto si stano procurando un alibi salutando gli altri avventori, facendo baldoria in modo di essere visti, quando a circa due km da lì, Franco Foschi, il facoltoso finanziere di 62 anni, sta stramazzando a terra trafitto da decine e decine di coltellate, nell’autorimessa della sua abitazione.

Chi troverà il cadavere sarà la stessa Venere, ovvero Milena, intorno alle 2 di notte tornando a casa. Dà subito l’allarme. Quando gli inquirenti si presentano nel garage del delitto trovano uno spettacolo raccapricciante, il corpo di Franco Foschi è riverso a terra in un lago di sangue, ucciso da 27 colpi di coltello di cui quelli più profondi all’altezza del cuore e quelli di striscio più numerosi sulle braccia, segno che la vittima si è difeso durante l’aggressione. La donna in un angolo del garage, appoggiata ad un pilastro e confortata dal giovane, piange, si dispera, dice frasi senza senso. Il rimbombo e l’eco delle sue urla arriva fino all’ultima casa del paese, nessuno mai, benché meno i carabinieri, crederebbero che la donna possa essere coinvolta in qualche modo in quell’efferato delitto.

Dopo il referto medico legale i carabinieri iniziano subito le indagini indirizzandole lontano da quella casa, da quelle grida strazianti, ovvero negli ambienti degli affari loschi del marito visto il notevole patrimonio della vittima, valutato in circa dodici miliardi di lire tra immobili, titoli, barche, società offshore e denaro depositato in vari istituti di credito. Scoprono tra l’altro che il defunto presta soldi “a strozzo”, ossia a tassi non proprio legali, e gli stessi carabinieri vengono a sapere dalla moglie che il Foschi è solito andare in giro con un portafoglio gonfio di banconote. Dalla perquisizione in casa e sul corpo della vittima sembra che quel portafoglio si sia letteralmente volatizzato. Ovvio che la prima domanda che si fanno i carabinieri, viste le circostanze, è la più banale, ovvero: Omicidio per rapina?

Già, tutto è possibile, ma noi sappiamo che questa è una storia maledetta, così maledetta che solo dopo tre settimane dal delitto c’è la svolta. Tutti i giornali ne parlano in prima pagina. Una pattuglia dei carabinieri si presenta a casa di lei e nell’albergo dell’amante. In poche parole vengono arrestati con l’accusa di omicidio volontario. I due, oltre che ammettere la loro relazione, però non ammettono altro.

Nel corso delle indagini il Procuratore incaricato scopre un mondo torbido, fatto di tradimenti, affari sporchi e ambigui personaggi a caccia di soldi facili. Ed allora si viene a sapere che la vittima ha una relazione fissa ed altre saltuarie a pagamento e la donna invece, prima del pallanuotista, ha avuto altre relazioni sempre con uomini più giovani di lei. Ma si sa, alle volte, la bellezza non basta per cui la bella signora attira i suoi amanti con costosi regali e spesso con cospicue cifre in contanti. Gli incontri spesso avvengono nella mansarda di una pensione chiamata La Marina il cui titolare compiacente e forse amante di lei non ha mai registrato i documenti. Ma quelle storie sono brevi, troppo brevi per non avere dei dubbi. Forse la signora oltre il sesso pretende altre complicità?

I carabinieri si fanno più volte questa domanda e andando avanti con le indagini scoprono che la signora è solita pagare, oltre gli amanti con i quali fa sesso, anche alcuni maghi della zona. La richiesta è molto specifica e circostanziata, lei desidera che, attraverso gli influssi maligni, a cui crede ciecamente, venga appagato il suo unico obiettivo ovvero quello di togliere dalla faccia di questo mondo l’odiato marito.

Lo ripete a più maghi, forse loro in cambio dei soldi la illudono che sia possibile, che la magia nera possa arrivare anche ad uccidere un uomo, ma sta di fatto che questi tentativi si rivelano inefficaci al punto che la Venere, stanca di essere presa in giro, è costretta a pagare a un mago di sua conoscenza una cifra pari a dieci milioni di lire al fine di eliminare il consorte con metodi più terra terra tramite il braccio armato di un killer assoldato per l’occasione. Il risultato finale è che il marito continua a vivere tranquillamente la sua vita ed allora la donna torna dal mago pretendendo che le venga restituito l’intero pagamento.

Interrogata più volte la Venere di Anzio nega che quella cifra sia servita per assoldare il killer, secondo la sua versione quell’importo non è altro che la somma delle tante consulenze mai pagate prima. Il giovane pallanuotista, interrogato più volte, invece fa scena muta giurando di non essere a conoscenza di quel criminale progetto della bella amante. Comunque non prende le distanze e non la contraddice. Sarà anche lui coinvolto in quel delitto?

Passano settimane e nonostante neghino qualsiasi coinvolgimento i due rimangono in carcere. Vengo ascoltati vari testimoni tra i quali i numerosi amanti della donna che ammettono e non ammettono confermando tuttavia che la donna avrebbe voluto separarsi dal marito, giudicato insopportabile e un essere immondo, ma che non lo avrebbe mai fatto a causa della sua volontà di non rinunciare neanche ad una piccola parte di quell’ingente patrimonio.

Ma è una storia maledetta che ha bisogno di un morto e di un assassino o forse di due oppure di un plagiatore e un plagiato, ebbene sì perché il giovane è pazzamente innamorato della donna e per lei sarebbe disposto a tutto. Gli inquirenti scoprono anche che nonostante Milena sia in menopausa precoce fa credere al giovane amante di essere in attesa di un figlio da lui. E non è finita! Davanti al giovane lei si lava la coscienza dicendogli che i due figli sono stati concepiti con un altro amante, quindi non sono i figli di suo marito, quindi non sta ammazzando il padre dei suoi figli. Forse sono balle, forse voli pindarici di una donna spregiudicata che vuole il patrimonio tutto per sé ed è per questo che non vuole separarsi, ma uccidere! Vuole diventare vedova e ricca e solo dopo, in caso, sposare quel giovane sprovveduto. Non è un elemento da poco questo, praticamente questa storia maledetta dimostra quanto il giovane sia ingenuo e fino a che punto creda alla donna e fino dove sia disposto a seguirla. Quindi potrebbe essere lui l’esecutore materiale del delitto?

E quindi la storia maledetta non si interrompe perché le indagini vanno avanti, finché al processo spunta un fatto nuovo, bada bene mio caro lettore, nessun testimone, nessuna persona che si faccia avanti per amore di giustizia, nessuna confessione o pentimento, perché come sai è una storia maledetta ed i carabinieri devono andare avanti con le sole proprie forze.

E allora chiedono aiuto alla scientifica di Roma, viene riesumato il corpo, analizzate le 27 ferite, una ad una e dopo un’attenta analisi del luogo del delitto gli inquirenti vengono a capo della scottante verità. Quella maledetta sera i due amanti lasciano per qualche decina di minuti il locale la Palma e fanno ritorno a casa di lei. Occorre fare in fretta e sanno cosa fare. Chissà durante quel tragitto cosa pensa la donna, chissà il giovane, forse si illudono di uscire dalla clandestinità e di poter vivere la loro storia d’amore alla luce del sole, chissà se in quel breve tratto riescono a parlare, ma di una cosa sono certi, ossia che la loro libertà passa attraverso quell’omicidio. E quindi lei non ferma la macchina, non fa inversione e lui non la convince a desistere fino a quando imboccano la rampa in discesa del garage.

A quel punto parcheggiano la macchina dietro una colonna dell’autorimessa privata e da lì con una scusa chiamano il marito di lei. Franco Foschi è in casa, sente la voce della moglie, forse pensa ad un’aggressione, comunque scende dalla scala interna collegata direttamente col garage. Dal momento che non ha con sé le chiavi, ritrovate poi dagli inquirenti su una mensola di casa, possiamo suppore che lasci la porta aperta dell’appartamento.

A questo punto entrano in azione i due amanti assassini. Il giovane accoltella per 27 volte il marito di lei e, dopo che insieme si sono assicurati della morte dell’uomo, salgono in casa per ripulirsi delle macchie di sangue. Qualche minuto certo, poi, uscendo per tornare al locale la Palma, dove sono ancora i due ragazzi ad attenderli, lei, con un gesto abitudinario, chiude la porta di casa con le sue chiavi, facendo fare alla serratura quattro mandate. Tornano nel locale e dicono ai ragazzi di essere stati fuori il tempo necessario per fumare una sigaretta, fare quattro chiacchiere e due passi sulla spiaggia.

Ecco. Ora sono rilassati, dentro quel locale seduti sul proprio alibi. Ma questa è una storia maledetta che non ammette il delitto perfetto, infatti se la bella Milena non avesse chiuso la porta a chiave dando quattro mandate, lei e il suo complice ne sarebbero usciti senza macchia, ma non è andata così, quell’elemento, le chiavi ritrovate in casa, ha messo gli inquirenti sulla strada giusta. In effetti non poteva essere stata la vittima a chiudere la porta. Lui in caso avrebbe avuto solo due possibilità chiuderla senza mandate oppure lasciarla aperta, quindi, visto che le copie delle chiavi erano soltanto due, solo l’assassino, ovvero il possessore dell’altro mazzo, ha potuto chiudere la porta in quel modo!

Siamo alla fine della nostra storia maledetta, all’epilogo o forse all’inizio, perché magari non finisce qui e le nostre convinzioni potrebbero essere annientate da una sola, cretina, stupida deduzione. Siamo tutti convinti a questo punto che la Venere di Anzio sia la mandante e il giovane amante l’esecutore materiale. E se è questa la conclusione che ci fa dormire tranquilli, noi assetati di giustizia, c’è un però… Mio caro lettore ricordi vero che il giovane amante è stato vittima di un incidente di gioco? Ricordi vero che per questo motivo non è tornato nel suo paese, ma è rimasto ad Anzio appunto per curarsi da quell’incidente? Ebbene se ricordi tutto questo, allora c’è un però, un grosso però. Ovvero come abbia fatto il giovane amante, presunto accoltellatore, ad uccidere Franco Foschi? Avrebbe potuto aggredire e uccidere un altro uomo con un braccio ingessato e una mano sola? Gli amanti del resto hanno sempre negato e nessuno ha mai dato una spiegazione logica a questo piccolo, stupido dettaglio. È una storia maledetta sì, anche perché nessuno saprà mai come siano andati realmente i fatti. Il mistero continua.


 







Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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