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STORIE VERE
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LE SPOSE CLANDESTINE
Siamo noi, le amanti, che vivono una
vita da clandestine e la vergogna ci fa nascondere, disprezzate
dal moralismo galoppante di una società ipocrita, ma alla fine
salviamo i matrimoni, facciamo belle e più attraenti le loro
mogli e cresciamo inconsapevolmente i loro figli.
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Mi chiamo Ambra ed ho 54
anni, vivo a Roma e da cinque anni sono separata, potrei
dire felicemente, ma non so quanto possa essere felice
davvero una donna quando le circostanze l’hanno
costretta a vivere da sola. I miei figli avevano già
preso le loro strade ed erano andati a vivere fuori casa
quando il mio matrimonio è entrato ineluttabilmente e
ufficialmente in crisi. All’inizio erano banali
incomprensioni che via via sono diventate insopportabili
litigi e settimane di resistenza durante le quali
ciascuno dei due si rifugiava in un completo mutismo.
Ci siamo ridotti a vivere come estranei in casa e il
motivo principale, riconosciuto da ambo le parti, non
era altro che la perdita di qualsiasi desiderio e
l’assenza totale di entusiasmo. Anche a letto, nelle
rare volte che succedeva, non c’era più il minimo ardore
e i timidi tentativi di rimanere a galla alla fine
equivalevano a un penoso naufragio di rassegnazione in
mare aperto.
Un bel giorno, mentre portavo un
piatto di tagliatelle col ragù in tavola, lui, senza
alcuna partecipazione emotiva, mi ha annunciato la buona
novella. Aveva conosciuto un’altra donna e dopo sei mesi
di clandestinità avevano deciso di uscire allo scoperto
ed andare a vivere insieme, mancava solo una piccola
noia ovvero il fastidio di darmi la notizia. Ricordo
ancora quel momento e soprattutto il frastuono provocato
dal piatto di tagliatelle che è caduto rovinosamente a
terra frantumandosi in mille pezzi. La cena sparsa lì
sul pavimento era senza dubbio il simbolo e l’istantanea
della nostra morte coniugale. Nonostante i tanti
problemi e il nostro non-rapporto mi sono sentita
comunque ingannata e tradita. Quello che mi bruciava
dentro non era la separazione, ma il fatto di non avere
per nulla intuito che le cose stessero cambiando, mi
bruciava molto l’essere lasciata fino a pensare che
forse quelle incomprensioni e quei litigi erano stati
creati ad arte per il classico pretesto. Insomma ci ero
cascata con tutte le scarpe!
Con il morale a
pezzi ho ripreso in mano la mia vita, mi sono rimboccata
le maniche ed ho iniziato a vivere da sola. Sempre
sorridente davanti ai miei figli e al mio ex marito mi
concedevo qualche pizza con le amiche, un cinema, la
palestra, le lezioni di ceramica, un corso di spagnolo,
una giornata al mare finché tramite Facebook iniziai a
parlare con un vecchio amico conosciuto ai tempi della
scuola. Lui era stato il mio primo amore vero, ma poi ci
eravamo persi di vista e in quel lungo periodo lui aveva
avuto il tempo di sposarsi con una nostra compagna di
scuola che conoscevo molto bene, di diventare un grosso
dirigente di un’azienda privata e di fare un figlio.
Ero così sola che la sera cercavo di cenare in
fretta per poi mettermi davanti al pc e sperare che lui
entrasse in Messenger per parlare del più e del meno.
Dopo i primi messaggi sono iniziate le prime email dove
scandagliavamo più profondamente i nostri abissi di
cuore, i nostri fallimenti e i nostri reciproci rapporti
coniugali. Poi sono venute le prime telefonate, qualche
caffè insieme al bar sotto il suo ufficio, qualche
passeggiata nel verde del mio quartiere, finché lui,
spiazzandomi, mi invitò una domenica nella sua casa al
mare, ovviamente con la moglie, il figlio, Rushie, il
loro Labrador Retriever rosso volpe, e la fidanzata del
figlio.
Vedendolo come il mio rifugio e pensando
al nostro trascorso fui molto sorpresa per quell’invito,
ma inevitabilmente dovetti accettare per non svelare
quelle che ormai erano le mie intenzioni nascoste.
Comunque conoscevo già sua moglie per cui dopo i primi
imbarazzi quella domenica trascorse piacevolmente.
Seguirono altri inviti ai quali non dissi di no, nella
speranza che lui in qualche modo si svelasse, da parte
mia invece avvertivo ogni volta una strana sensazione e
sicuramente un’attrazione, simile a quella dei tempi
della scuola, con la variante che ciascuno ora recitava
la sua parte stando al proprio posto.
Dopo due
mesi finalmente, durante una pausa pranzo, ci trovammo
da soli. In qualche modo fui io a prendere l’iniziativa
cercando di capire velatamente le sue intenzioni. Lui,
al contrario di altre volte, mi prese sottobraccio e si
comportò in maniera più spigliata e decisamente in modo
affabile. Dopo due giorni, sulle scale della fermata
Flaminio della Metro mi diede il primo bacio a cui seguì
un altro più intenso su una panchina di Villa Borghese.
Non parlammo, ma il sapore di quei baci mi rimase nella
mente per giorni e giorni.
Ovvio che la stessa
sera, mentre tornavo a casa mi chiesi più volte cosa
stessi facendo, visto che da una parte non aspettavo
altro, ma dall’altra, essendo lui sposato, ero più che
convinta che tra noi non ci sarebbe mai stato un futuro.
Nella mia condizione cercavo ben altro che un uomo
impegnato, ma erano convinzioni senza sostanza, domande
senza risposte, vanificate da quell’entusiasmo simile a
quello adolescenziale di quarant’anni prima. Insomma mi
sentivo di nuovo una ragazzina e il mio cuore batteva
senza controllo ad ogni suo messaggio, ad ogni cuoricino
demenziale, ad ogni immancabile “Buonanotte tesoro!”
Trascorse ancora una settimana quando, complice un
viaggio di sua moglie da alcuni parenti, ci ritrovammo
un pomeriggio nudi abbracciati distesi nel letto
matrimoniale della mia casa a guardare il soffitto. Sarà
stata la prima volta, sarà stata la mia astinenza, sarà
stato il suo ardore, sarà stato quel desiderio di
unirci, cercato e non trovato ai tempi di scuola,
insomma sarà stato tutto questo ed altro, ma fu davvero
magnifico al punto che sarei stata pronta a giurare che
mai e poi mai ero stata coinvolta in amore in quel modo.
E non era sicuramente un modo di dire e men che meno un
atto di compiacenza da parte mia, bruciavo davvero per
quell’attesa, per quei baci pieni, per la voglia di
sentirmi di nuovo amata. Lui scivolò dentro di me
silenzioso come un aliante tra i versanti scoscesi e
passionale come il maschio che non avevo mai avuto.
Generoso ed altruista cercò il mio piacere prima del suo
non trascurando alcun dettaglio per farmi sentire
importante. Fu davvero indimenticabile, ma anche intenso
quanto la sofferenza nel vederlo rivestirsi, baciarmi
sulla fronte, fare una telefonata al figlio e andare
via. Non era il mio uomo ed io dovevo rendermene conto.
Da quel giorno la mia mente, le mie sensazioni, il
mio cuore, i miei respiri salirono su una immensa
altalena, andavano su e giù cambiando umore anche trenta
volte in un solo giorno. Alternavo dentro di me la paura
di non sentirlo più con la voglia impossibile di
perdermi tra le sue braccia, di sentirmi unica e
sentirlo unico sopra di me. Avvertivo un bisogno
patologico dei suoi respiri profondi, delle sue parole
piccanti e coinvolgenti quando incredula non riuscivo a
capire dove finisse il suo corpo e dove inevitabilmente
cominciava il mio. Mi intestardivo nel dargli piacere,
nell’esaudire ogni suo desiderio, ogni dettaglio del suo
piacere infinito, cercando ogni volta di non sbagliare
vestito, di indovinare ogni sfumatura del suo gusto,
dalla scarpa, al trucco, al colore della lingerie.
Volevo insomma essere la sua donna, sentirmi bella e
soprattutto appagante a letto pensando e sperando che il
resto sarebbe venuto da solo senza forzare modi e tempi.
E così andammo avanti per mesi e lentamente mi
accorsi di non poter fare a meno di lui fino al punto di
farmi ripetere e giurare, ogni volta fino alla noia, che
con sua moglie non aveva più alcun rapporto sessuale. Ci
credevo sì ed io immancabilmente godevo, toccando il
cielo con un dito, quando nelle nostre intimità mi
sussurrava: “Tu sei più bella, sensuale e affascinante
di lei!” E ancora: “Tu hai classe, stile, tu sei la
femmina che ho sempre desiderato.” E poi, presi dalla
voglia, correvamo all’impazzata per cercare un posto, in
macchina, in albergo, a casa mia, sotto una pineta o
davanti al tramonto di Ostia, insomma ovunque ci fosse
un posto che ci riparasse da occhi indiscreti. E
allora sì che erano baci intensi, voglie scomposte
quando mi sussurrava: “Sto bene con te, ringrazio il
destino per averti incontrato, tu fai bello il mio
giorno.” Mesi e mesi indimenticabili di un sogno ad
occhi aperti, anche perché la realtà era di fatto
diversa ed io non volevo svegliarmi. Perché la realtà
era anche la parte della sua vita che ostinatamente
volevo ignorare, testardamente relegavo nella parte meno
importante del suo giorno, ma quella realtà c’era e
correva parallela, come il suo barcamenarsi sempre e
comunque, il non cercare di scontentare le due donne, il
suo senso del dovere, la crisi con la moglie e le mie
vane speranze, le sue attenzioni nei confronti di lei,
le sue vacanze, le preoccupazioni per suo figlio, le sue
vigilie di Natale, il suo compleanno e ultima, ma la più
importante, la sua spietata sincerità che mi trafiggeva
ogni volta come una lama insanguinata: «Non ho nessuna
intenzione di separarmi».
*****
Scrivo
perché ho letto in internet altre lettere di altre donne
nella stessa mia condizione, le ho lette avidamente
cercando curiosa di trovare una soluzione al mio
bellissimo e doloroso rapporto e alla fine mi sono
accorta che il risultato è sempre lo stesso, gira che ti
rigira la musica non cambia ed ha sempre una nota
granitica di verità in sottofondo: le amanti vivono una
vita da clandestine, la vergogna le fa nascondere,
relegate al ruolo di sfascia famiglie e disprezzate dal
moralismo galoppante di una società ipocrita, ma alla
fine sono loro che salvano i matrimoni, sono loro che
crescono inconsapevolmente i figli dell’altra, loro che
fanno belle e più attraenti le mogli, perché sono sempre
loro che fanno in modo che i rispettivi mariti non si
lascino andare, che non diventino quell’animale odioso e
informe di mezzo divano e mezzo pantofole. E sono sempre
loro, le amanti, le spose mancate, che ridanno energia a
quegli uomini che altrimenti naufragherebbero nel mare
della noia, spezzando l’abitudine mortale del matrimonio
facendoli tornare rinfrancati e sereni a casa, in pace
con il mondo resistenti a qualsiasi incomprensione ed a
ogni minima asperità.
Per quanto riguarda la mia
storia, oramai sono passati tanti anni, ma quante volte
sono scappata da lui e quante volte ritornata, quante
volte ho provato ad impormi, negandomi, facendolo
ingelosire, minacciandolo, dandogli ogni tipo di
ultimatum ed inventandomi storie parallele mai vissute.
Ho letto tanti libri, sono andata due volte in terapia,
ho rivoluzionato la mia vita, ho cercato conforto in
altre religioni dal sapore orientale, e il tutto per
uccidere la cosa più bella che mai mi era capitata nella
vita, ovvero la nostra relazione. Quanto a lui invece è
rimasto sempre nello stesso posto, nel suo impeccabile
stile di uomo rispettabile e maturo, nella sua bella
villa a pochi passi dal mare, invecchiando serenamente
tra i suoi hobbies, la sua pensione, il suo cane Rushie
e il conforto della sua bella famiglia. Nulla lo ha
smosso, nulla ancora lo smuove, tranne quando il giovedì
pomeriggio esce di casa, prende la macchina e mi viene a
trovare. Ovvio sì, passiamo due ore magnifiche, poi
tutto ricomincia.
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Pur basato
sull'osservazione di temi sociali questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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