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Adamo Bencivenga
Un amore lungo un anno
Photo Adolfo Valente
...
.Dicevo, dalla mia casa sento fischiare il treno, ma non sono vicino alla
stazione, è solo il vento che, quando cambia direzione, accorcia le
distanze. Mi ripeto che certamente ho sbagliato io, ma spesse volte avevi
torto tu dentro questa casa ormai troppo grande anche per i miei racconti,
anche per i tuoi ritorni. Lo sai che non sono mai riuscito a dormire
solo, la sera mi preparo la borsa di acqua calda per scaldare il letto,
poi però faccio il giro di casa cinque volte e mi siedo sul divano
aspettando l’alba. Lo so che esagero, che a Rimini in questo periodo non
servirebbe scaldare il letto, ma sento tanto freddo dentro e in fin dei
conti la solitudine non dà il minimo tepore. Specialmente di sera
percepisco ovunque la tua assenza, la casa è troppo grande, ma il ricordo
di te occupa ogni angolo. Alle volte addirittura sento la tua presenza, il
tuo odore, allora penso: “E se dovessi tornare mentre dormo?” Allora
lascio la luce accesa perché tu possa orientarti meglio. Io intanto ti
aspetto. Ti amo amore mio e vorrei che tu lo sapessi! Lo so è infantile
dirlo adesso, lo so è stupido recriminare. Del resto di errori ne abbiamo
fatti tanti, ma non sempre la consapevolezza è bastata per ammettere di
aver sbagliato. Alle volte lo stato d’animo è più forte di qualsiasi altra
verità e purtroppo, amore mio, questo è successo a noi.
Dicevo, di
solito esco la mattina e faccio delle piccole spese, compro il giornale e
mi godo l’inizio del giorno con un sorso di caffè seduto ai tavolini
all’aperto nei bar sul lungomare, raramente invece, come oggi, mi capita
di rimanere in pigiama e di prolungare il giorno dentro casa per poi
uscire nelle ore che volgono all’imbrunire. Sono ore più lente che si
allungano come le ombre degli ombrelloni chiusi sulla spiaggia, sole le
ore in penombra e rossastre che marcano i profili delle persone. Ed allora
sì che mi accorgo quanto sia triste, come in questo giorno di fine
ottobre, guardare questo scolorito tramonto all’orizzonte, queste palme
sballottate dal vento, un uomo in bicicletta che arranca, un ombrello che
si perde sulla spiaggia, e come sono malinconici quei due sposi in posa
davanti al fotografo, e questi vecchi hotel lungo il mare, intrisi di
salsedine, che sembrano delle vecchie signore imbellettate e a malapena
coprono gli anni e le rughe come le crepe e le grondaie che cadono dritte
lungo le facciate.
Dicevo, qualche stanza ha le luci accese, ma
dentro non ci sono più villeggianti, questo freddo improvviso ha scacciato
via quell’effimero e chiassoso via vai di gente costretta per obbligo e
moda a cercare un forzato divertimento. Curioso rallento e guardo questi
giardini, coperti da incuria ed aghi di pini, e indiscreto scruto dentro
le stanze, sono pensioni che non pretendono nulla, ammobiliate alla buona
per un breve soggiorno. Come sono tristi quelle sedie di plastica
scolorita dal sole e come quegli armadi di finto legno. Mi lascio
trascinare dal mio gusto, dal ricordo di un hotel a Budapest, da dame e
cavalieri vestiti eleganti sotto lampadari a gocce lucenti di cristalli.
Guardo distrattamente quando da una delle finestre al pian terreno scorgo
nell’oscurità un’ombra, credo sia immobile e allora guardo meglio per
distinguere la forma, ma all’improvviso dall’ombra esce una mano che mi
saluta accennando ad un timido invito. Mi fermo. L’ombra apre i vetri ed
esce sul terrazzino. È una donna bionda, avrà sì e no quarant’anni ed il
tipico viso di ragazza dell’est. Appoggia i gomiti sulla ringhiera e
dice: “Buonasera…”
Rispondo al saluto con un leggero inchino e mi
tolgo il cappello. Per un attimo mi chiedo dove l’abbia incontrata o se
quell’invito sia d’altra natura. Ora alla luce la guardo meglio, è
decisamente un fiore di donna, è alta, la pelle liscia e rosa, le labbra
carnose, porta una gonna corta a fiori e un top scollato. Saranno i
capelli sciolti, sarà l’apparenza lasciva, ma i miei pensieri vanno oltre
e azzardano che abbia fatto da poco l’amore. Sta fumando e mi sorride,
non perché sia contenta di vedermi, ma perché, immagino, abbia voglia di
scambiare due parole e all’occorrenza che noti le sue labbra rosse. Certo,
penso, basterebbe poco salire quei cinque gradini e trovare il paradiso a
portata di mano, ma mi sento stanco, ancora non pronto e la mia mente è
satura di troppi ricordi.
Dicevo, prima o poi dovrò decidermi a
cancellarne qualcuno, almeno quelli più vecchi, o quelli fasulli o quelli
inservibili. Da quando è successo non ho più fatto l’amore e le mie
giornate scivolano lentamente. Ho i miei punti fermi, i miei orari fissi e
questa è l’ora di tornare a casa, accendere la tv e mettere sul fuoco
qualcosa per la cena. Oggi ho fatto un po’ di spesa e ora lentamente sto
tornando a casa. Penso e saluto educatamente la donna e faccio per
riprendere la mia passeggiata, ma, con la coda dell’occhio, intravedo la
delusione sul suo viso. Forse è solo un’impressione, forse è il mio stato
d’animo che desidera vedere quel velo. Penso che quell’angelo biondo
meriti qualcosa di meglio che un vecchio stanco con problemi di cuore e
non meriti affatto di essere delusa. Sento il bisogno di spiegarmi e
allora, incerto, mi avvicino alla ringhiera per dirle che il mio rifiuto
viene da molto lontano e di certo non riguarda la sua persona, anzi…
Vedendomi avvicinare mi sorride, forse crede di aver fatto colpo: “Mi
chiamo Elena, piacere.” Ed io: “Edoardo, molto lieto di conoscerla.”
“Ho visto che stava andando via, ha da fare?” “Oh signora Elena, da
un po’ di tempo non ho assolutamente nulla da fare, ho solo degli orari da
osservare, loro sono la mia unica compagnia.” “L’ho vista passeggiare e
mi sono permessa di disturbarla, sa molti uomini non hanno il coraggio…”
“Grazie per il suo aiuto, ma sinceramente non è il mio caso. Di coraggio
ne avrei da vendere…” “Mi scusi se l’ho importunata.” “Sono io a
scusarmi per non aver risposto con entusiasmo al suo saluto.” “Allora
immagino che non voglia entrare, vero?” Lei si sporge dalla ringhiera ed
io non posso non notare il suo seno generoso. “Sto rientrando a casa,
come vede, ho fatto un po’ di spesa.” Indico i sacchetti del supermercato.
E poi ancora: “Sarà per un’altra volta…” Dico con aria quasi
rassegnata. “Lei ha l’aria di essere solo, non è sposato vero?” “No,
non lo sono da ormai un anno.” La donna rimane in silenzio e preferisce
non fare altre domande, del resto non può sapere perché io sia solo e che
cosa sia successo. Sa solo che non sarebbero discrete altre domande, ma io
mi sento in dovere di chiarire. “Non si preoccupi, nulla di tragico,
solo una banale storia d’amore, finita prima del tempo!” “Perché c’è un
tempo preciso per la fine di un amore?” “L’unica fine concessa ad una
straordinaria storia d’amore è la morte di uno dei due.” Forse mi sono
spinto troppo, cerco di sorridere. “La sua lo era?” “Se lo fosse
stata non sarebbe finita, non le pare?” La donna si sente in dovere di
risollevare la situazione. “Suvvia signor Edoardo, una vita può
comprendere più storie d’amore!” “Sarebbe bello pensare al contrario,
ovvero che una storia d’amore comprenda più vite anche quelle oltre i
limiti della natura…” “Adoro la sua anima romantica…” E subito dopo non
si fa sfuggire l’occasione: “Se ha bisogno di compagnia io rimango in
questo hotel fino a fine ottobre.” Faccio mente locale: “Allora solo
domani…” “Oh sì, che sbadata! È finita la stagione e torno in Ucraina,
mio marito, i miei figli e il lavoro mi aspettano.” “È tanto tempo che
è qui?” “Da giugno scorso.” “Di cosa si occupa?” “Sono
insegnante di letteratura al liceo, ma la paga è quella di uno statale,
praticamente una miseria!” “E allora l’estate viene qui per integrare
la paga…” Mi mangio la lingua. “Non potrei farne senza.” Dice come
fosse la cosa più naturale di questo mondo. “Mio marito fa il portantino
nel più grande ospedale di Kiev.” “Non è geloso?” “Lei sarebbe
geloso di sua moglie che nei mesi estivi fa la cameriera in un hotel?”
Sorridiamo. “Ma la scuola in Ucraina non è ancora iniziata?” “Oh sì,
ma io non ho una cattedra di ruolo, sono solo una supplente e vengo
chiamata all’occorrenza.”
Rivolgo lo sguardo verso il cielo ed
indico il tempo. “Mi spiace, ma l’autunno mite non è durato molto
quest’anno. Questo freddo intenso ha spazzato tutti i villeggianti
comprese le zanzare, non c’è più anima viva qui, tranne i residenti.”
“Lei vive qui?” “Abito in quella casa rossa, dopo la pineta.” Mentre
lei guarda oltre io ammiro i suoi splendidi occhi chiari. “È una casa
grande, ma ci vive da solo?” “Il destino ha voluto così!”
Allargo le braccia e rimetto il cappello. “La saluto signora Elena.
Sarà per un’altra volta…” Dico di nuovo. “Dice il prossimo anno?” Ha
l’aria quasi ingenua. “Mi ascolti, in un solo giorno i fiori non
maturano.” “Ha bisogno di tanto tempo?” “Ho bisogno di dimenticare.”
“Ed io non sono adatta a far dimenticare? Non le piaccio?” “Lei è
bella, ma la bellezza non è un antidoto e non sto cercando quel tipo di
amore per dimenticare.” “Oh mio signore quel tipo di amore è un mero
dettaglio, il mio scopo principale è farla stare bene. Se vuole posso
tenerle compagnia…” “Una specie di infermiera?” Provoco. “Se a lei
fa piacere…” La scruto, rimango in silenzio e lei in attesa, poi dice:
“Vuole che l’accompagni?” Non rispondo e per lei è più che un assenso.
“Mi aspetti la prego, il tempo di prendere il soprabito e scendo.” “E
anche l’ombrello, tra poco pioverà.” Ma lei è già rientrata.
Dicevo, solo ora mi accorgo che le giornate si sono accorciate
notevolmente e l’autunno ha anche portato la pioggia e questo vento
fastidioso. Comunque cammino e non l’aspetto, lentamente cammino. Lo so,
non è educato da parte mia, ma non voglio darle alcuna aspettativa, i miei
pensieri sono altrove, i miei occhi oltre quel mare che inevitabilmente mi
ricordano paesi esotici, una vacanza con lei, momenti felici. Sospeso
tra i miei pensieri improvvisamente sento il rumore di tacchi
sull’asfalto, mi raggiunge, poi, in uno slancio di ingenuità, mi prende
sottobraccio e ride. Sembra felice. Io invece mi sento imbarazzato. È
la prima volta, dopo un anno esatto, che una donna mi prende sotto
braccio. Attraverso la stoffa il mio gomito sente il suo seno, è una
sensazione nuova di calore e famiglia. “Lei è consapevole di essere un
tipo interessante vero? Con quel cappello, quella barba bianca, la pelle
del viso liscia… Così magro, così alto…” “Oh la prego signora, lasci
perdere i complimenti.” “La imbarazzano? Eppure mi sembra un uomo pieno
di vita!” “Intende passata vero?” “Beh no, anche ora… di cosa si
occupa se non sono indiscreta?” “Io sono uno scrittore o meglio un
novelliere. Mi diletto per quanto possibile ad abbellire la vita.”
“Ossia? Lei abbellisce la vita con i racconti?” “Oh sì… forse è un
azzardo, ma credo che non sia la vita ad ispirare i racconti, ma sono i
racconti a scrivere la vita! Sono loro a darci le immagini, i ricami e le
sfumature che altrimenti mai troverebbero spazio dentro i nostri giorni.”
“L’avevo immaginato che fosse uno scrittore. ” “Quando?” “Quando
ha parlato dei fiori.” Rallento, la guardo in viso. “Sa signora
Elena, anche questo nostro incontro sa di racconto del resto. Come se io e
lei lo stessimo vivendo per scriverlo.” “È meravigliosa questa cosa…”
“Se fossimo stati nella vita reale, chissà, forse avrei accettato il
suo invito in quella pensione o forse lei non sarebbe dovuta partire
domani. Invece un racconto ha altri canoni evocativi, altri tempi
narrativi tipo il fatto che io e lei ci siamo incontrati il giorno prima
della sua partenza o che il suo invito diretto sia caduto nel mare
dell’autunno. Non le sembra che risponda esattamente all’ineluttabilità
delle cose?” “Già i suoi fiori non maturano in un giorno o peggio in
poche ore…” “I miei fiori sono fragili e pigri, perché non hanno
concime e forzature, ma quando sbocciano hanno dei petali resistenti dai
colori magnifici.” “Si sente che è uno scrittore.” “E lei una
bellissima donna!” “Dice?” “Dico.” “Quindi siamo dentro un
racconto, me lo conferma?” “L’uomo e la donna passeggiano, si guardano,
si piacciono, ma come nei racconti non hanno un legame, tutto è legato al
destino, alla caducità del caso che ha fatto incontrare loro.” “In un
certo senso sono stata io a forzare il destino e lei ora, non mi sembra
intenzionato di correre a casa, ci ha ripensato vero?” “Beh mia cara
signora, anche se l’andatura è lenta, la direzione è quella giusta.”
“Vuole portarmi a casa sua.” “Lei non lo desidera?” “È un anno che
la sera mangio da solo, potrebbe essere un diversivo!” “Mi sta
invitando a cena? Cosa dice il suo racconto?” “Che non è facile
cancellare i ricordi, ma che la vita è talmente arida da averne in ogni
istante uno sfrenato bisogno.” “Lei ha avuto un passato intenso da come
parla…” “Oh no mia cara, non è che abbia avuto chissà quale passato,
diciamo che lo rammendo con i racconti in modo che, se qualche ricordo
fosse per caso difettoso, allora come una paziente merlettaia lo riparo.”
“Ripara i ricordi con ago e filo?” “Diciamo che infiocchetto il passato
di passioni e d’amanti a volte.” “Perché di amanti?” “Perché gli
amanti sono i veri ricordi, i quali come gli amanti non torneranno più.”
“Lei pensa che un’amante per essere vera debba vivere nell’alone
dell’incertezza, promettere, ma poi non tornare?” “La promessa fa parte
del gioco. Lei tornerà?” “Perché no! In fin dei conti non sono la sua
amante…” “Mia cara non siamo nella vita reale. Nel racconto per essere
amanti è sufficiente un profilo, un contorno, un ammiccamento da parte di
lei, uno sguardo di lui interessato che guarda lei nella penombra, o
meglio l’ombra intravista nel gioco di una candela. Sarà quella donna a
farci sognare, anche se poi non l’abbiamo mai conosciuta, ma le assicuro
che la ricorderemo come una serata indimenticabile! Vero mia signora?”
“Mi ricorda una vecchia canzone di un cantautore italiano…” “La
conosce? Più o meno diceva così: E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato, per un amore nuovo…” “Lei
mi vede così?” “Non avrei potuto trovare migliore protagonista. E tutto
ad un tratto nel racconto spunterà la luna, una terrazza, il mare, quel
vento leggero che fa bello il vestito, che fa danzare la gonna, e allora
sì che ci sarà un pianista, una musica, la stessa che avremmo sempre
desiderato che ci fosse, forse proprio La canzone dell’amore perduto. E
allora sì che balliamo, e allora sì che lui la fascia col suo braccio, la
prende per i fianchi e lei leggera come una farfalla si lascia
trasportare…” “Come lei, signore Edoardo, ora sta facendo con me!”
“È la natura umana che è sempre in cerca d’amore, pur essendo una cosa
labile e senza alcun affidamento.” “Non ci crede più vero? Qualcosa mi
dice che ha subito una profonda delusione.” “Non si tratta di
delusione. Dico solo che non c’è amore felice, non c'è amore che non sia
doloroso.” “Mai, mai?” “Sarebbe banale parlare degli addii
struggenti…” “Allora parliamo di quando due si conoscono… Come noi
ora!” “Forse sì, forse è quello il momento più bello durante il quale
racconti chi sei e dici tutta la verità su di te e sul tuo passato. Ma
dura poco, forse un giorno, poi però subentra l’abitudine, la finzione, e
allora ti rendi conto che non sei stato più sincero e non hai più parlato
come il primo giorno.” “E allora si cerca altro? Un’altra
sconosciuta?” “Sarebbe un altro fallimento se prima non comprendi il
motivo, se non passi in rassegna tutte le cose che hai sbagliato e non fai
del tutto per correggerle. Sì credo davvero che ci sia un momento della
vita dove senti il bisogno di rimettere tutto in ordine, in cui cerchi di
rimarginare le ferite e di ripartire da zero per una vita migliore di
quella che hai vissuto. Ecco forse è proprio quello il momento in cui
pensi di essere ancora in tempo di essere felice.” “Lei è una persona
buona signor Edoardo…”
Davanti alla casa rossa i due si fermano.
Dopo un attimo di silenzio è lui a parlare. “Cosa dice? Oltrepassiamo
il cancello e saliamo quei tre gradini?” “Non me lo chieda la prego,
rimaniamo nel racconto.” “Ma un racconto che finisce con i due che
fanno l’amore è banale!” “Non ci avevo pensato…” “La fine è sempre
un qualcosa di incerto che costringe i protagonisti a rimanere in sospeso,
in attesa di un qualcosa che ovviamente non dipende dallo loro volontà, ma
appunto da qualcosa che viene dall’esterno…” “Quindi non ci può essere
libero arbitrio…” “In amore non si sceglie.” “Quindi se accetto di
salire non faremo l’amore?” “Per rispetto verso il lettore questo non
lo possiamo dire ora. Diciamo che i due ora prima di entrare si baciano in
giardino, lui è impaziente e lei non riesce ad arginare quella passione… e
che dentro casa l’amore diventa più maturo perché si ricerca la bellezza
nelle piccole sfumature. Comunque sia è sempre il racconto che detta i
tempi alla vita e non il contrario…” “Passerò la notte con lei?”
“Ci alzeremo prima dell’alba ed io l’accompagnerò in albergo.” “È
scritto così?” “Un racconto non può prescindere dalla visione
suggestiva dei due amanti che camminano sul lungo mare in contro all’alba,
una macchina che passa, una pubblicità scolorita, note di un pianoforte
che provengono dall’altra parte del mare, le luci di un locale che tirano
fino all’alba. La scena è piena di significati e uno scrittore per sua
stessa natura è ghiotto di simboli.” “Quindi non faremo l’amore…”
“Se non lo faremo lasceremo al lettore l’amaro in bocca e quindi quel
senso di incompiuto che nutre la voglia di leggere il prossimo racconto…”
“E quando lo scriverà? Di cosa parlerà o dove sarà ambientato e quando?”
“I racconti non sono condizionati dal tempo, si posso scrivere anche ora e
descrivere quello che succederà tra un anno quando la rivedrò!” “Lei lo
ha tutto nella sua mente il racconto vero?” “Penso di sì.”
“Esattamente la scena di cosa accadrà il prossimo anno?” “Credo di sì…”
“Anche i suoi fiori saranno sbocciati?” “Immagino di sì.” “Questa
storia nasce sotto un buon segno.” “Beh siamo fortunati, durerà almeno
un anno.” “Allora salgo.”
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Photo Adolfo Valente
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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