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APPUNTI DI VIAGGIO
 

 

Reportage dal Kalash
Un’isola montuosa e ostile circondata dal mare dell’Islam e popolata da pagani










DISTRETTO DI CHITRAL – PAKISTAN
DIARIO DI VIAGGIO
15 Aprile
TERZO GIORNO



Reportage dalle terre del Kalash, un’isola pagana nell’oceano dell’Islam. Tremila individui che vivono di allevamento di ovini ai confini tra Pakistan e Afghanistan. Le loro donne sono bellissime, portano il velo e vestono abiti coloratissimi con copricapi ornati di conchiglie, campanellini, bottoni e perle di corallo, si truccano pesantemente, ballano e parlano in pubblico e possono divorziare a loro piacimento.
Dai vicini musulmani vengono chiamati con disprezzo kafiri, cioè infedeli, poiché seguono una religione politeista, coltivano la vite, bevono vino e fanno uso di canapa. I Kalash hanno la pelle chiara, lineamenti fini, nasi sottili, occhi e capelli tipicamente europei, parlano una lingua non scritta.

Safiya mi accompagna tra le strade montuose e impervie tra il Pakistan e l'Afghanistan. Lei è sicura che stiamo andando in direzione di Chitral, la città più grande nell’area delle Kalasha Desh, ma all’orizzonte non si vede ancora nulla. Qui non c’è anima viva e lo scenario è così emozionante che sembra di essere oltre la fine del mondo. Le bestie sono stanche, il mio cavallo, un turcomanno imbastardito con qualche asino locale, avrebbe solo voglia di riposarsi. Nonostante le mie resistenze Safiya decide di proseguire fino al tramonto. Già il fatto che mi abbiano assegnato una donna come guida dimostra che gli abitanti di queste terre hanno una mentalità molto diversa rispetto ai popoli confinanti.

Safiya mi dice che solo i folli intraprendono questo viaggio, lei parla senza mezzi termini e sicuramente non attudisce i miei timori. Dice che la zona è chiamata anche Kafiristan e prende il nome da kafir, termine arabo che sta per “miscredente” o “infedele”. Non è un gran posto in cui vivere, per quasi settant’anni, fino al 1896, l’emiro dell’Afghanistan offrì tangenti alla gente del Kafiristan al fine di dissuaderli dal derubare i forestieri e gettarne i corpi giù dalle montagne.

Infatti qui vive un popolo le cui origini hanno radici nella mitologia greca. Praticamente un’isola pagana in un mondo islamico. I Kalash sono una popolazione di circa tremila abitanti radicalmente diversa dal Pakistan e dall’Afghanistan sia per religione che per etnia.
Safiya mi spiega durante il viaggio che questa mitica terra, secondo la tradizione, venne popolata dallo stesso dio Dioniso il quale durante un viaggio nelle Indie si insediò da queste parti accompagnato da un corteo di festosi baccanti. Da quel giorno questa terra rappresenta l’ebbrezza, l’amore, la poesia, tutti i sentimenti e le pratiche pagane annesse. Anche storicamente ci sono delle testimonianze e lo stesso Alessandro Magno soggiornò su queste terre con il suo esercito, ma ebbe a pentirsene in quanto gli effluvi del mosto e delle belle donne bionde con la carnagione bianca catturarono i suoi soldati al punto che durante il soggiorno preferirono disertare e sposare le donne native.
Oggi i Kalash stessi sostengono di essere di origine Macedone e di essere i discendenti di soldati di Alessandro Magno. Questa tesi è suffragata da alcune ricerche sul DNA le quali hanno accertato la loro stretta parentela genetica con gli europei.

Sempre Safiya mi racconta che i Kalash sono antichi produttori di vino, raccolgono l’uva dalle viti a settembre, facendola pigiare esclusivamente da bimbi maschi. Il vino prodotto viene bevuto durante una grande festa del solstizio d’inverno. Durante quei giorni tutta la popolazione si ubriaca, sia uomini che donne, col pretesto di avvicinarsi a Dio.
Al contrario degli abitanti delle terre adiacenti le donne dei Kalash sono libere e non indossano il chador, anche Safiya ha il volto scoperto e i suoi occhi sono di un azzurro intenso. Si sposano molto giovani a 14/15 anni anche perché non vivono molto. La donna da queste parti ha il diritto di chiedere il divorzio, è sufficiente presentare ai notabili del villaggio un altro uomo con il quale è pronta a vivere e il gioco è fatto.

Lei mi parla in uno stentato inglese, imparato durante il suo soggiorno per alcuni mesi in Europa, ma la loro lingua, mi dice, conserva molti prestiti dal sanscrito, possiede una sonorità atipica e visto l’esiguo numero di persone che ne fanno uso, è purtroppo destinata a scomparire. I giovani convertiti all’Islam sono dovuti emigrare in altre città e qui sono rimasti solo i veri pagani. Del resto la separazione religiosa è molto netta e regna una sola legge tra i Kalash: “Chi diventa musulmano deve andarsene!” Nelle tre valli di Bumburet, Birir e Rumbur i kalash si contrappongono al resto islamico bevendo alcol, assumendo sostanze stupefacenti e abbandonandosi ai divertimenti proibiti. Il vino kalash ha un sapore strano tra l'aceto e lo sherry, e il tara è un distillato locale. Le droghe più consumate invece sono l’oppio e, in misura maggiore, il nazar, un tabacco da masticare derivato dall’oppio che provoca stordimento e nausea.

Safiya mi racconta che l’isolamento dal resto delle popolazioni afgane era tale che ancora alla fine dell’ottocento i Kalash non conoscevano la bevanda del thè. Solo una strada sterrata, impervia anche per gli asini, raggiunge ancora oggi quelle terre. La loro economia è basata sulla agricoltura e pastorizia in un sistema economico che ignora la moneta per cui gli scambi avvengono prevalentemente secondo il sistema del baratto. Il sistema è basato sul valore della capra, una mucca può valere dieci capre e una casa sei mucche quindi sessanta capre. Non esistendo commercio, nulla è prodotto per la vendita e l’eccedenza non ha scopo i lucro, ma un fine sociale, infatti viene redistribuita tra la popolazione secondo quanto stabilito dagli anziani. Gli invasori russi e successivamente gli americani non sono mai arrivati da questa parti ed il popolo conserva fieramente la sua etnia greca.

*****

Finalmente arriviamo in un piccolissimo villaggio, una ragazza kalash fuori dalla sua abitazione indossa un copricapo vistoso e collane tradizionali. E' bella sì ma Safiya mi avverte che da queste parti la poca acqua non si usa per lavarsi. Ci fermiamo, lei parla con alcuni uomini e poi mi dice che questa gente non vede uno straniero da oltre sei mesi. Per segno di benvenuto la sera stessa siamo invitati ad un festa di proprietà dell’anziano del villaggio, che è anche insegnante e allevatore di capre. Ovviamente non possiamo rifiutare. Durante la festa alcuni uomini iniziano a suonare il flauto e le percussioni e tra i partecipanti qualcuno fa passare di mano in mano qualche coscio di capretto, accompagnato da una specie di distillato denso in bottiglie di plastica e subito dopo del tabacco oppiato. Alla festa di benvenuto sono presenti una ventina di uomini e solo tre donne, di cui due sposate e tutte senza velo. Gli uomini vestono con i chitrali, un lungo e largo camicione di cotone con pantaloni larghi e comodi. Le donne invece indossano il kafiro, una specie di saio di stoffa grezza nera.

Quando si aprono le danze alcuni uomini iniziano a ballare tra loro. Sono in apprensione e guardo Safiya, non vorrei che qualcuno mi invitasse. Qui l’omosessualità non è vietata perché gli omosessuali non esistono, qui esistono solo effusioni tra uomini, ma sono considerati atti privati che non interessano la società e il capo del villaggio. Le donne non ballano, ma bevono vino insieme a noi. Dopo circa due ore, improvvisamente, due uomini iniziano a litigare, ovviamente non capisco il vero motivo, forse qualcuno ubriaco ha allungato le mani su una delle donne, Safiya comunque si alza, mi si avvicina e mi prega di andare.
Il cielo è uno spettacolo mai visto, le stelle enormi e lucenti sembrano vicinissime, mi fermo ad ammirare questo incanto quando Safiya mi chiede se ho bisogno di amore a pagamento. Mi dice che sulla strada principale, a due miglia dal villaggio, in una casa dai mattoncini rossi, vive una donna piuttosto giovane che offre questi servizi.
“Sai qui l’amore non si offre ad ore come in Europa, l’amore qui si conta a giorni o addirittura a settimane e il compenso avviene col sistema del baratto. Sono graditi thè, bottiglie di vino e tabacco.” Ovviamente, pensando allo scarso uso dell'acqua per lavarsi, ringrazio Safiya, ma rifiuto deciso l’invito. Poi ci salutiamo, lei mi dice che andrà a dormire da una famiglia, amici dei suoi da vecchia data, mentre io sono destinato in una stanza chiamata generosamente pensione.

*****

La mattina seguente mi sveglio prestissimo e sotto la finestra del tugurio dove ho dormito fervono i preparativi della cerimonia del Chaumos, una festa che celebra l’inizio della stagione fredda. Safiya mi dice che la festa dura circa due settimane durante le quali si accendono fuochi con la legna di ginepro, si bruciano vecchie ceste, le donne si lavano i capelli (finalmente!) e adornano le loro teste con le kupas, ricche di conchiglie e di perline colorate. Nelle case si cuoce il pane e decine di caproni vengono macellati davanti all’altare del Grande Dio. È una festa che ribadisce la propria diversità dall’Islam in cui l’ebbrezza viene ricercata nell’oppio, nel vino, nel loro politeismo animato da fate con tre seni, ma anche nella salvaguardia dei costumi sessuali sinonimo di gioia e libertà.

E' ancora l'alba e insieme a Safiya salutiamo i nostri amici e scendiamo a valle. Il tempo è rigido, ma il sole all’orizzonte sembra una tela dipinta. È davvero uno spettacolo suggestivo e unico. Alla prima sosta prendo i miei appunti di viaggio e qualcosa mi sembra di aver capito di queste terre, la loro filosofia di vita é estremamente semplice come del resto lo sono i loro bisogni. Credono negli spiriti maligni e nelle fate benevoli, come del resto al vento, al sole, alla luna e al tempo che cambia, e le stagioni sono un motivo di festa e quindi di danza, di vino e di divertimento. Mi è parso un popolo molto tollerante in fatto di religione e le loro credenze pagane convivono tranquillamente con l'Islam, semmai il problema, scrivo, è che l’Islam non convive con loro.



FINE






L'ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
E' STATO REALIZZATO
 GRAZIE A:
http://digilander.libero.it/kisp/focus/storiaanmita.htm
http://www.vice.com/it/read/far-festa-con-i-kalash-a9n3
https://it.wikipedia.org/wiki/Kalash
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=28691
http://www.luomoconlavaligia.it/pakistan-etnie-kalash-hunza.html


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