Madame le sue origini?
Il mio nome completo è Isabella Teresa Roncioni Bartolommei,
sono nata a Pisa nel 1781 da Angiolo Roncioni, Balì dell’Ordine
di Santo Stefano, e dalla Contessa Dorotea Agostini Venerosi.
La sua infanzia madame?
Trascorsi i miei
primi anni di vita tra Pisa, in un grande palazzo sul Lungarno,
e la villa di Pugnano nelle vicinanze della città. Avevo una
sorella maggiore, Maddalena, una minore, Fanny Teresa, e un
fratello più giovane, Francesco, chiamato “Cecchino”.
A diciotto anni si traferì con la famiglia a Firenze.
Con il ritorno dei francesi in Italia Pisa era diventata per noi
pericolosa. Mio padre, durante la prima occupazione aveva
mostrato apertamente i suoi sentimenti democratici quindi pensò
che fosse opportuno allontanarsi dalla città e trasferirsi a
Firenze.
A Firenze conobbe Ugo Foscolo…
Ugo nonostante la fama di grandissimo poeta e letterato, era uno
squattrinato e soprattutto un donnaiolo. Per questi motivi la
nostra storia d’amore fu purtroppo contrastata dai miei parenti.
Quando incontrò il poeta?
Lui era in
Toscana per incarichi militari e ci incontrammo nel 1800,
durante un viaggio in diligenza da Firenze a Pisa. Avevamo degli
amici in comune come ad esempio Eleonora Nencini, ultima della
famiglia Pandolfini, e non fu difficile per lui avvicinarmi.
Lei era già destinata ad un altro uomo…
Ero stata destinata dalla mia famiglia a sposare il marchese
Bartolommei il che avvenne regolarmente nell’agosto del 1801.
L’amore col grande poeta era a tutto gli effetti di un amore
impossibile.
… Ma fu comunque un amore ardente e
passionale.
Purtroppo breve, ma abbastanza intenso
da essere considerato uno degli amori più fervidi del poeta e
soprattutto di essere stata la sua musa ispiratrice nel
personaggio di “Teresa” nell’opera Ultime lettere di Jacopo
Ortis.
Fu proprio la Nencini a comunicare per
lettera a Foscolo la vostra separazione…
Era il
gennaio del 1801, lei gli scrisse che mio padre mi aveva
destinata ad un uomo noioso. In tutto cinque righe anche se in
calce aggiunsi di mio pugno la frase: «Siate persuaso che
non siete solo infelice.»
Le stesse parole
che troviamo nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis…
Esatto, scrissi quella frase piangendo tanto che le parole “solo
e infelice” furono macchiate dalle mie lacrime cadute sopra
ognuna delle due parole quando l’inchiostro era ancora fresco.
Poi cosa accadde?
Foscolo mi rispose
annunciandomi che stava per partire e che probabilmente non
sarebbe più tornato a Firenze. Mi chiese in quella lettera un
mio ritratto in modo da ricordarmi e nel contempo portarmi via
con lui.
Quando Foscolo partì immagino la
contentezza dei suoi…
Il 12 agosto 1801 Ugo partì e
qualche mese dopo sposai il marchese Bartolommei con la felicità
e la benedizione dei miei. Da quel matrimonio nacquero i miei
due figli: Enrichetta e Lorenzino.
Nel 1812
Foscolo tornò a Firenze…
Lo rividi nel salotto della
contessa Luisa d’Albany. Poi mi fece numerose visite, ma da
amico, poiché già in precedenza, tramite corrispondenza, avevo
messo in chiaro i miei sentimenti per lui per cui volevo che
mantenessimo quel bene comune chiamato amicizia: “Vi
assicuro di una vera stima ed amicizia: questi due sentimenti
più durevoli d’ogni altro…” Durante quelle visite conobbe
mio figlio Lorenzino.
Nonostante il matrimonio
le cronache del tempo riferiscono che lei abbia avuto numerosi
amanti.
Nel 1812 soffrii la perdita di mio padre a
cui ero molto legata. Mi lasciò un vuoto immenso che sopperii
con diverse relazioni. In ognuno di quei uomini rivedevo mio
padre come il ritrattista Giuseppe Bezzuoli e il prefetto di
Firenze Giuseppe Stiozzi Ridolfi, che amai per sei anni e di cui
divenni amica fraterna durante la malattia che lo condusse poi
alla morte. Poi fu la volta del letterato Michele Leoni.
Perché nel 1823 si recò a Roma?
Ero andata a
Roma con mio figlio Lorenzino “per motivi spiacevolissimi” e vi
ero rimasta cinque mesi durante i quali avevo tentato
inutilmente di contrastare il matrimonio di mio figlio con una
donna inglese. In seguito mi figlio si sposò anche senza il mio
consenso e soprattutto senza quello paterno.
Ma
a Firenze arrivò l’eco di grandi ricevimenti e feste a cui lei
prese parte…
Non potevo certo rimanere in casa!
Durante il soggiorno venni invitata più volte da Paolina
Borghese, da Girolamo Bonaparte e dagli ambasciatori di Francia
e d’Austria.
Cosa le scrisse suo marito?
Durante gli ultimi giorni romani ricevetti da parte sua una
lettera, nella quale c’era scritto che il mio ritorno non era
assai gradito, perciò decisi di non tornare a Firenze, ma a Pisa
dalla mia famiglia di origine. Dopo numerosi litigi decidemmo
con mio marito di separarci definitivamente e di comune accordo.
Si parla di altri amanti. Suo padre ormai era morto
da tempo!
Dopo la separazione cercai comprensione
nel giurista Vincenzo Salvagnoli con il quale ebbi una breve, ma
intensa e passionale relazione iniziata nel 1824, quando avevo
già compiuto quarantadue anni. Una volta le scrissi: «Mi ami
tu veramente Amico caro? Ripetimelo, sì, per sollievo dell’animo
mio; ami tu una creatura che gli anni e le sventure gli ànno a
gara tolto e fisicamente e moralmente quelle attrattive che
potevano un tempo giustificare gli omaggi che gli erano resi?»
Rivide più Foscolo?
No, mi scrisse una
lettera da Londa il 10 settembre 1819. Poi nient’altro…
Isabella morì a Firenze il 26 aprile 1849. La figlia la fece
seppellire nel Chiostro di Santo Spirito, dove sulla sua lapide
si può leggere, sotto lo stemma col cavallo inalberato della
famiglia d’origine e lo stemma con i gigli e gli scacchi della
famiglia del marito: “Qui giace Isabella Roncioni di Pisa vedova
del marchese Leopoldo Bartolommei morta in Firenze il 26 aprile
1849. Enrichetta moglie del C. Gio. Tommaso Passerini di Cortona
alla madre carissima pose”. A Isabella sono ispirati alcuni
sonetti di argomento amoroso, scritti nella primavera del 1801:
“Perché taccia il rumor di mia catena, e tu ne’ carmi avrai
perenne vita”, nei quali la fanciulla è celebrata come una
creatura divina.