Madame le sue origini?
Sono la figlia primogenita di una famiglia di commercianti
lombardi: Pompeo Abba e Giuseppina Trabucchi.
Come inizia la sua carriera nello spettacolo.
Studiai recitazione all’Accademia dei Filodrammatici ed esordii
nel 1922 nel dramma Il gabbiano di Anton Čechov diretta da
Virgilio Talli.
Dicono che si fece immediatamente
notare…
Beh ero un’attrice impetuosa e passionale.
Nel 1925 avvenne la svolta decisiva della sua
carriera…
Oh sì Luigi Pirandello, dopo avere letto
una critica di Marco Praga che esaltava le mie qualità sceniche,
mi volle incontrare a Roma. Era il febbraio del 1925, lui aveva
57 anni mentre io solo 24.
Come avvenne
l’incontro?
Arrivai a Roma accompagnata da mia
madre. Era il mio primo viaggio. Sul palcoscenico semibuio c’era
un signore coi capelli d’argento e il pizzetto bianco, piuttosto
curvo. Qualcuno disse: “È Marta Abba”. Allora quel signore
scattò dalla poltrona e mi venne incontro con quella sua
stupenda vitalità: non pareva vecchio! Poi mi strinse
ripetutamente la mano e mi disse: “Benvenuta signorina, siamo
contenti che sia arrivata!”. Ecco tra noi ci fu subito un certo
feeling tanto che Luigi mi scritturò immediatamente come prima
attrice del suo Teatro d'Arte di Roma.
Non era
solo una collaborazione artistica…
No, no, da parte
mia c’era un affetto profondo. Io comunque l’ho sempre
considerato un maestro e lui gioiva di essere considerato tale.
Per lui era amore vero…
Il nostro è
stato sempre un rapporto vissuto sul filo dell’agonia. Lui era
sposato e viveva quel rapporto come una sorta di passione
incompiuta. Per lui non ero solo la musa ispiratrice e l’attrice
alla quale affidare le parti importanti dei suoi capolavori, ma
anche il male necessario della sua vita, quello che dalla gioia
si trasforma inevitabilmente in angoscia.
Quando
la conobbe la sua esistenza era già passata attraverso vicende
difficili e dolorose...
Da giovane aveva sposato
Maria Antonietta Portolano, agrigentina come lui; era stato un
matrimonio un po’ combinato e un po’ d’amore: Maria Antonietta
era, rispetto a lui, una donna semplice cresciuta in Sicilia in
un ambiente chiuso. Quando si trasferirono a Roma, sua moglie
non riuscì ad integrarsi, si chiuse sempre più in se stessa.
Ebbero tre figli, ma lei sentendo il marito distante, cominciò
ad essere ossessivamente gelosa fino ad accusarlo di incesto con
la loro figlia Lietta. Nel 1919 sua moglie verrà ricoverata in
una casa di cura romana per malattie mentali.
Quando Pirandello la incontrò era profondamente segnato da
queste terribili esperienze, forse si illuse che lei potesse
corrispondere quel bisogno di amore, ma non fu così vero?
Beh io sono stata sempre rispettosa del maestro e gentile e
affettuosa nei suoi riguardi. Ero attratta dal suo pensiero, ma
questo ovviamente non significa che ne fossi innamorata e di
questo Luigi ne è era stato sempre consapevole anche se, nei
momenti di lontananza, tendeva a dimenticarlo. Il 28 marzo del
1929 quando il Maestro si trovava a Berlino mi scrisse: “Marta
mia… Se Tu potessi sentire quanto soffro, son sicuro che avresti
un po’ di pietà per me.”
Ovvio che Pirandello
confuse la sua devozione artistica per qualcos’altro...
Forse sì, la mia devozione nei suoi riguardi fu illimitata tanto
che ben presto divenni l'interprete fedele e la sua musa
ispiratrice, interpretando esclusivamente i suoi lavori
drammatici, come Diana e la Tuda, L'amica delle mogli, Trovarsi
e Come tu mi vuoi.
Siamo agli antipodi rispetto
a D’Annunzio...
D’Annunzio ha fatto della donna una
costante nell’intreccio tra l’estasi e il sublime, mentre
Pirandello mi chiedeva semplicemente di essere consolato. Del
resto Luigi era un autentico gentiluomo siciliano, un uomo
correttissimo e all’antica. Aveva un profondo pudore a esternare
i proprio sentimenti che pur esplodevano nel suo cuore.
Si parla anche di un famoso epistolario…
Ci
scambiammo oltre 800 lettere. Lui me ne scrisse oltre 500. Ci
scrivemmo sino ad una settima prima della morte di Luigi, nel
1936. Purtroppo quell’ultima lettera la ricevetti quattro giorni
dopo la sua morte, mi trovavo a Broadway.
Cosa le
scriveva Pirandello?
Erano sfoghi di un uomo
dall’animo solitario. Mi chiedeva fedeltà platonica e
letteraria. Mi sollecitava a scrivergli quando eravamo distanti:
“Scrivimi, fatti viva, ho tutta la mia vita in Te, la mia arte
sei Tu; senza il Tuo respiro muore”
Il vostro
sodalizio artistico durò fino all'estate del 1928... Poi?
Dalla stagione 1928-1929 formai una mia compagnia, con un
repertorio allargato anche a George Bernard Shaw, Gabriele
d'Annunzio e Carlo Goldoni, comunque la critica mi definì sempre
la massima interprete del teatro pirandelliano.
Il cinema?
Col grande schermo non ebbi una
frequentazione altrettanto importante; fui protagonista in due
soli film diretti da Alessandro Blasetti e Guido Brignone. Il
caso Haller, del 1933 nel quale recitai insieme a mia sorella
Cele e Teresa Confalonieri, regia di Guido Brignone del 1934.
La sua vita sentimentale, madame?
Due
anni dopo la morte di Luigi, nel gennaio del 1938, sposai negli
Stati Uniti un industriale miliardario della potente famiglia
Millikin e mi stabilii a Cleveland. Nel 1952 divorziai da mio
marito e tornai in Italia. Ripresi a calcare i palcoscenici, ma
solo saltuariamente.
Già nella metà degli anni
cinquanta la sua carriera sul palcoscenico poteva considerarsi
finita. Pubblicò una sua autobiografia dal titolo La mia vita di
attrice. Si ammalò gravemente di paresi e ridotta sulla sedia a
rotelle, Marta Abba passò gran parte del suo ultimo tempo a San
Pellegrino Terme per curarsi, completamente lontana dal mondo
dello spettacolo. Si spense a Milano il giorno prima di compiere
88 anni.