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INTERVISTA IMPOSSIBILE
Quirina Mocenni
Magiotti
La Donna Gentile
Nobildonna
italiana, amante di Ugo Foscolo e curatrice
delle opere del poeta.
(Siena, 1781 –
Firenze, 3 luglio 1847)
«Nessuna donna comprese e amò
Foscolo più della nobildonna Quirina Magiotti;
dimenticata spesso da lui, non si sentì mai
offesa, perché il suo affetto era puro. Amò
senza pretese, senza esigenze; tollerante,
mite. Amò senza chiedere e pretendere amore; amò
confidente d’altri amori del poeta; amò
serena, costante, infaticabile nel temperare
all’ uomo amato le noie e i dolori della vita»
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Madame le sue origini?
Ero la seconda di sette figli di Ansano Mocenni, ricco mercante
di tessili senese, e di Teresa Regoli, l’animatrice di un
importante salotto frequentato da alcune figure di spicco di
Siena durante gli anni del granduca Pietro Leopoldo.
Suo padre non vedeva di buon occhio quel salotto
affollato di intellettuali…
Infatti lui non ne
prendeva mai parte, mio padre era un tipo alla buona e reagiva
nel peggiore dei modi mostrando il sui lato gretto e punendo la
mamma con gravidanze continue.
La sua adolescenza
madame?
Studiai al Conservatorio di Santa Maria
Maddalena a Siena, poi nel 1801 sposai Ferdinando Magiotti di
Montevarchi, nobile di provincia. Fu un matrimonio combinato e
per interesse. Mia madre al tempo era molto malata e mio padre,
ai miei diciotto anni, volle a tutto i costi accasarmi.
Suo marito era molto ricco…
Ricco ma
infelice, scemo dalla nascita. La Natura gli aveva negato il
sacro lume dell’intelletto. Il padre volle affidarlo alle mie
cure, in modo che dopo la sua morte lo custodissi con pari
affetto e ne temperassi la sventura, almeno col mantenergli
quegli agi, cui il largo censo consentiva.
Dove
viveste?
Vivemmo tra Firenze e Montevarchi e furono
i miei amici Leopoldo e Massimiliana Cicognara, frequentatori
del mio salotto fiorentino, che nell’autunno del 1812 mi
presentarono Ugo Foscolo.
Dove lo conobbe?
L’avevo intravisto di sfuggita qualche giorno prima passeggiare
tra Ponte Vecchio e il Mercato Nuovo. Fu quasi una folgorazione
per me tanto che quell’incontro mi fece battere il cuore con
veemenza. Poi l’incontro vero e proprio avvenne a Firenze presso
l’albergo delle Quattro nazioni, dove il poeta e i Cicognara
alloggiavano. Avevo trentuno anni e non ero più giovanissima,
purtroppo.
Tra di voi nacque immediatamente una
profonda simpatia…
La scintilla scoccò presto. Nei
primi giorni ci fu solo uno scambio di parole galanti e di libri
e proprio grazie a questo scambio che Ugo trovò il pretesto per
dichiararmi il suo amore.
Lei come si sentì…
Con il cuore in tumulto, fui presa dal fascino potente che il
poeta emanava. La relazione andò avanti senza intoppi fino a
quando Ugo Foscolo non lasciò Firenze nell’autunno del 1813.
Dopo quei primi incontri, diciamo formali, cosa
successe?
Lui chiese di vedermi a quattr’occhi, ma
era costume al tempo che la donna rifiutasse ed io ovviamente
risposi con un rifiuto. Mi costò molto, ma quella era la prassi.
E la prassi era anche quella che lui continuasse
ad insistere…
Ovvio sì, giorno dopo giorno la mia la
resistenza si sciolse finché iniziammo a vederci nel suo
appartamento ammobiliato in Borgo d’Ognissanti. La casa aveva un
giardino indipendente e abbastanza isolato per cui era facile
per me entrare senza essere vista.
Nonostante
gli incontri c’era anche una fitta corrispondenza tra di voi.
Cosa le scriveva?
All’inizio frasi d’amore e di
passione: “Signorina mia, stasera io sarò da Lei. S’ella non
va al Teatro, starò lungamente con lei. – S’ella ci va, starò
poco. – S’ella non sarà in casa, bacierò l’uscio.” Poi solo
scuse: “Sono malato, mia cara amica, questa sera, Donna
gentile, e con mio sommo dispiacere, non potrò venire a
vedervi…” Oppure: “Mia cara amica Quirina, stasera non
venite ; perchè il sabbato sogliono venire alcune persone a
desinare, e non vorrei che vedendovi si scandalizzassero.”
Lei era sposata da dieci anni madame. Qualche
difficoltà per la sua condizione?
Tutti sapevano, di
me, di lui e di mio marito. Sentimentalmente ne ero
profondamente coinvolta, ma non so se fosse lo stesso per lui.
Forse fu solo il capriccio di un momento oppure un mero
interesse visto che per salvarlo dagli strozzini gli feci un
prestito piuttosto consistente di 80 zecchini, che ovviamente
non vidi mai restituiti.
Lei ne fu consapevole
immediatamente?
Oh no, quando Foscolo lasciò
Firenze, nell'autunno del 1813, continuò a scrivermi per un po'
fingendo amore romantico, ma impossibile, poi tenera amicizia e
infine solo per questioni relative al suo debito. Fu così che
capii di essere stata sedotta e abbandonata, e pure truffata.
Dopo la partenza di Foscolo da Firenze, cosa
accadde?
Semplicemente non ci incontrammo più, ma
tra noi nacque una fitta relazione epistolare, nel 1816 ci fu un
ritorno di fiamma. Mi chiese addirittura in moglie, ma anche in
quel caso non so quanto fossero vere le sue intenzioni. Comunque
risposi: “L’offrirmi te stesso in compenso della mia
costante amicizia è un atto troppo generoso, né devo accettarlo;
tu perderesti il solo bene che ti resta, la libertà e
l’indipendenza assoluta; io non potrei offrirti quel che vorrei
di cui la Madre natura mi fu avara, e che l’età mi toglie.
Vorrei piuttosto morire che essere cagione del tuo malcontento.
Tu puoi trovare una compagnia che sia degna di te, nobile,
giovane, ricca, avvenente, amabile… io non avendo nessuna di
queste doti, ti sarei a carico come moglie; inoltre ancorché
fosse facilissima cosa sciogliermi da quel legame cui non restò
avvinta che la mia mano, pure non avrei cuore di abbandonare mio
marito alla poca discrezione dé suoi parenti!”
Lei non tentò più alcun approccio?
Oh sì, lo
invitai più volte nelle mie proprietà terriere e nella mia villa
nei pressi di Montevarchi, ma lui con una scusa o l’altra
declinò sempre i miei inviti. Pensi che intrattenni anche
amicizie, tra gli altri con Giuseppe Mazzini e Silvio Pellico,
con l’illusione di arrivare in qualche modo a Foscolo.
Era innamorata o si sentiva solo sedotta e abbandonata?
Le ripeto, vivevo una vita matrimoniale abbastanza complessa,
con mio marito non c’erano rapporti e per giunta dovevo badare
ai beni di famiglia come amministratrice delle sostanze del mio
consorte.
Per tenerlo a sé, nonostante si
sentisse truffata, continuò ad offrirgli aiuti finanziari…
Più volte continuai a offrirgli il mio aiuto al punto che
confusi il suo interesse materiale con quello sentimentale.
Continuò a scriverle…
Mi scriveva parole
struggenti: “Dilettissima amica, ti dico che se esulto
d’avere sì prezioso orologio, esulto più ancora di vedermi così
amato, così onorato da te, che tu abbia voluto darmene così
squisita testimonianza. Mia gloria è d’esserti amico; mia gloria
è di aver capito da gran tempo l’eccellenza dell’anima tua”.
Vi scriveste per quasi dodici lunghi anni…
Non persi mai la speranza di rivederlo.
Poi
apprese la notizia della sua morte avvenuta a Londra…
Fu un dolore straziante, da quel preciso istante mi prefissi un
obbiettivo impegnativo: erigere un monumento al poeta,
utilizzando l’abbondante materiale in mio possesso, in buona
parte autografo.
Verso i sessant’anni Quirina Mocenni
Magiotti iniziò a soffrire di gravi problemi all’apparato
digerente con forti dolori allo stomaco. Terminò la vita la
mattina del 3 di luglio 1847. I suoi resti riposano nel chiostro
di Santa Maria Novella a Firenze. Ed è proprio lì, sulla sua
tomba che sono incise queste bellissime parole che il poeta
dedicò alla sua amata: “Dolcissima amica, e sacra quanto
Madre, e pia meco come se fossi sorella, e cara come moglie ed
innamorata -“ O s’altro v’è in amor nome più caro”-.
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