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Adamo Bencivenga
Adesso glielo dico
Adesso
glielo dico, mi faccio coraggio e comincio a parlare...
Adesso glielo dico, mi
faccio coraggio e comincio a parlare, a sgranargli
quello che non s’aspetta. Mi dà fastidio vederlo che mi
guarda e mi scruta, odio sentirmi trasparente, come se
il mio viso, le mani, fossero più esplicite di mille
parole. Sono io che devo dire e non lui che deve
leggere.
Allora adesso glielo dico, prima che i
suoi dubbi diventino certezze, prima che i respiri
divengano rantoli d’un cuore che soffre. Eccolo
s’avvicina e m’accarezza, indugia, come se già sapesse
che sotto la gonna c’è solo rifiuto, sulla mia pelle
quel livido che è l’evidenza del giorno trascorso in un
posto che lui ignora! Lo vedo che si ritrae, le
dita sudate si fermano sull’orlo dei miei pizzi, che
altre mani oggi hanno toccato, ma non per il motivo che
lui pensa! Lo vedo che pensa e pensa, che si immagina
una stanza immersa nel verde, un hotel dove si sentono
uccelli cantare e gli alberi silenti sfiorano la vista
al secondo piano di una coppia di amanti.
Lo vedo
che vorrebbe almeno un’improbabile scusa, mia madre, la
coda, la pioggia o il lavoro. Rimane muto. I dubbi
salgono e si fanno certezze. Cerca da qualche parte
parole, domande, un modo qualunque per non sembrare
ridicolo. Ora cerca una scusa alla mia camicetta
stropicciata e insolente fuori la gonna, al mio viso
senza un filo di trucco, le labbra sbiadite per chissà
quale uso. E se fossero segni evidenti che nessuno a
questo mondo potrebbe sorvolare? Mi chiama per nome, per
sentire se il vapore arriccia ancora la mia pelle
dorata, per sentire il sapore che sa di famiglia o il
seme di un maschio che non può essere che il suo.
Lo sento che cerca il contatto, che le mie gambe gli
producano l’effetto sperato come se mai mi avesse alzato
la gonna, come se le sue dita fossero ancora le stesse
dentro un cinema il primo sabato insieme, la prima volta
e dieci anni di meno, quando non seguivo la trama, ma
obbedivo ai suoi baci e alle sue mani. Certo sì, adesso glielo
dico, giuro che non passerà questa luna, forse adesso,
forse stanotte, ma di sicuro prima dell’alba, anche se mi
chiedo se esiste un momento per confessare e quale sia
quello più giusto, l’attimo in cui può accettare di
tutto.
I suoi dubbi non mi hanno dato il tempo
di spogliarmi, sono qui in piedi all’ingresso che cerco
una scusa. Non ho ancora poggiato la borsa sul mobile
finto antico di noce, così sudata dall’estate che
picchia, trafelata dal traffico in perenne ritardo e da
una improbabile pioggia inventata che mai è caduta.
Chissà se ci sono momenti più giusti dentro un giorno
che muore, dentro una sera che nasce ed io ci cullo
ostinata il segreto. E poi perché dirlo?
Eccolo
ora lo sento che cerca il contatto, mi abbraccia, mi
stringe per sentire il possesso, il rifugio che calma,
rassicura e diluisce nell’intimo i dubbi, ecco sì, un
nido per depormi le ansie, una tana per timori ed
affanni che lievitano a grumi nel suo cuore in delirio.
Ma adesso glielo dico, sarebbe immorale tenermi il
segreto e poi accoglierlo ora, sentirlo dentro proprio
oggi, proprio in questo momento. Mi bacia, sento il suo
vapore sul collo ed io appoggiata al muro mi sento alle
strette, adesso glielo dico, non ho scampo, non ho
tempo, non ho via di fuga.
Lui è ad un
respiro dai miei capelli, un niente dalle mie labbra,
chissà se s’accorge dell’odore? Chissà cosa dirà quando
vedrà che non porto le mutandine, che mai le metto
quando ho voglia solo di doccia. Adesso giuro che glielo
dico, non ho altre scuse. Cosa mai potrei inventarmi?
Quale pretesto potrà mai essere più giusto se da un mese
non facciamo l’amore, se da un mese continuo a
soffocargli il piacere non appena intuisco le sue
intenzioni. Eccolo lo sento mi devo decidere, non posso
guardarlo negli occhi, capire cosa pensa, carpire la
sorpresa mentre gli dico che queste pieghe che tocca ora
non sono disposte, perché la pelle che ora accarezza è
già sazia e piena d’amore, di un amore che mai potrebbe
immaginare!
Adesso gliela dico la ragione per la
quale da un mese lo tengo distante e che oggi mi ha
fatto tardare. È semplice no? Sto solo cercando le
parole! Vorrei soltanto una sedia, un bicchiere d’acqua
e un po’ di coraggio. Forse un po’ di penombra per
accarezzargli l’emozione e asciugargli le lacrime che
immagino saranno copiose. Ma lui insiste, ecco forse ora
sta davvero pensando all’hotel, ad uomo e una donna che
si offrono amore. Ecco lo vedo, indeciso se dirmi
puttana o amore stupendo, è ancora in dubbio, indeciso
se cercare con gli occhi la luna, quel fascio impreciso
che mi faceva più bella, quando ogni sera l’accoglievo
nel letto, e ad occhi chiusi mi piaceva ascoltare, i
passi d’amore che s’avvicinavano in fretta, le mani
tremanti che mi scostavano l’anima.
Ha capito che
ora non voglio, ma mi ama, mi ama davvero e mai mi
accuserebbe senza averne certezza. Mi spinge contro la
parete per farmi crollare, mi preme per schiacciarmi la
colpa, per dare un senso ai suoi dubbi. Eccolo, è a un
niente per sentirsi più uomo, ad un filo di pelle per
farmi più donna. Ora, ora glielo dico! Lo sento, sa di
uomo al culmine del desiderio, sa di sesso invasato di
gelosia ed astinenza. Mi chiama e mi reclama, ma lo
sento che sta cercando solo risposte. Forse anche lui
sta aspettando il momento più adatto, magari quando
facciamo l’amore, quando i fiati più grossi nascondono
il senso di colpa, certo nel farmi confessare quante
volte in questo mese l’ho fatto o se oggi è stata la
prima, preferendolo ad un altro, e poi quanto ho goduto
e quanto ho gridato e quanto il mio amante è stato bravo
in quella stanza immersa nel verde.
Ora glielo
dico! M’allontano d’un niente, schiacciata contro un
muro che non vuole crollare, cerco di fermarlo, di
riprendere fiato per avere almeno la forza di mettere in
fila solo due parole. Perché se ci penso, davvero ne
bastano due, sarebbero sufficienti per vederlo
ammansire, per recedere in fretta dalle mie gambe che
chiede. Ora glielo dico! Ma avevo pensato davvero ad un
contorno diverso da questo ingresso piccolo ed angusto,
magari alla luna, a quel fascio di luce che mi sfiora
più bella, alle sue mani di padre, alle carezze leggere,
che delicate mi sfiorano i capelli ed il ventre, ma
ormai non c’è più tempo. Credo che sia proprio questo il
momento, quello giusto, per dirgli che oggi non c’era
nessun amante, nessuna stanza d’albergo, ma davanti a me
solo un uomo con un camice bianco. Ecco sì, questo è
davvero il momento giusto per dirgli che da sole due
ore, finalmente dopo dieci anni, ho la certezza di essere
incinta.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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