Luisa,
mai avrei creduto che i suoi timori la facessero così
bella, mai e poi mai avrei pensato di vederla fiorire dentro una vestaglia
da casa. Ok, so che non ha potuto essere come avrebbe voluto, ma so anche
che ogni parola di strada stasera striderebbe con il suo vestito candido.
Suo marito sospetta? I poveri di spirito non dovrebbe aver timore se
dentro un computer ci sono solo parole anche se sanno di sesso. Lei ha
acconsentito a spogliarsi di tutto ed ora si sente in difetto. Non tema,
mia cara.
Mi dispiace molto non sentirla del tutto a suo agio,
percepisco il suo rammarico che sale fino alla punta di quelle unghie che
hanno perso colore. Ma domani rimedierà, non é vero? Dovrà essere la mia
stupenda femmina, so che mi capirà se non uso quella parole che lei ama
tanto, dicevo femmina più di quanto lo sia stata finora.
L'insolenza dimostrata da suo marito, merita una punizione vera. Lui deve
rendersene conto che mai potrà offrirle ciò che le offro io, non perché io
sia migliore, ma solo perché io sono in grado di darle quel pizzico di
trasgressione che il suo ruolo di marito non potrà mai donarle.
Si
osservi allo specchio Luisa e aggiunga un suono a quella parola mentre
ammira il suo riflesso. La dica... “Voglio esserla davvero!" E non tema
che il suono della suo voce strida e non sia consono all’effetto che le
procura. Io la penserò come sempre.
Porti quella vestaglia con sé.
Prenda un taxi direzione centro. Se incontrerà di nuovo il suo tassista
allora non sarà un caso, sarà il destino che la guiderà nei meandri del
suo piacere. Allora mostri al tassista la sua eleganza nella penombra
dell’auto, faccia in modo che lui fermi l’auto, lo inviti a proseguire da
solo e al culmine di quell’oblio gli porga la vestaglia alla sola
condizione che lui la onori ben bene. Sa quello che intendo vero? Quando
tornerà a casa la indossi, vedrà che quel feticcio non saprà più di casa e
non sarà solo un pezzo di stoffa penosamente ordinario! Si faccia vedere
da suo marito, e sono certo che potrà farlo con meno disgusto sapendo che
gli aloni che lui vede, ma solo lei ne conosce il significato, sono il
piacere di un uomo per caso.
Le mando un bacio. Il suo Angelo Nero.
*****
Mio caro,
lei esiste perché
leggo le sue parole, perché disinvolto ammicca ma non dice la parola. Lei
ha un senso dentro questa scatola magica, come un bambino che rifiuta il
cielo e concentra il suo occhio dentro i colori di un caleidoscopio.
Sento nelle sue parole un leggero fastidio. La prego non faccia che questo
desiderio svanisca per uno stupido e banale cruccio di mio marito. Mi
lasci sognare, comunque, anche in vestaglia. Aggiunga a quelle parole che
domani mi vorrebbe in una stanza d’albergo, ma non mi dica né il nome, né
l’ora perché dev’essere un sogno, una meta poco distante dal paradiso che
vale solo per quanto la bramo. Mi vorrebbe tra tende che immagino verdi,
con uno scrittorio di noce ai piedi del letto, con il soffitto ingiallito
e la poltroncina di pelle scurita da infiniti bisogni a pagamento, di
istinti di fretta per un treno che parte ed un misero bagno con la vasca
scrostata. Trattenga il suo ardore, quei rozzi pensieri che trovano luce
esclusivamente dal ribollir del sangue, che ora mi vorrebbero preda di un
tassista o chiunque a caso sentisse i miei odori percependo quella resina
calda e mielosa che sgorga dal ramo al sorgere della bella stagione.
No mio Angelo Nero, la prego, faccia che io immagini una
finestra aperta al fragore del mare, ad un silenzio assordante di una
notte di luna. Faccia, davvero, che il mio sesso sia un fiore, una tinta
di rosso di papavero in una distesa di grano.
Si, davvero faccia che
sia passato marzo e che sia giugno, che il mio vestito di bianco sia
colorato dalla mia pelle che traspare. Quel numero di telefono io l’ho
cancellato, come se lei non l’avesse mai scritto, come se queste parole
fossero sbocciate dal nulla, dalla sola occorrenza di rientrare nel sogno
e vedere stasera le sue parole soltanto, che non sono poche, non sono
nulla.
Non intitoli i messaggi, Luca o Luisa, lasci da parte queste
parole banali. Mi faccia un favore scriva diretto il primo pensiero, la
prima cosa che immagina quando mi pensa, sono sicura che non può essere
altro che dirmi quella parola, la sola che ci unisce, perché le giuro non
c’è sesso che mi penetri più a fondo, che si muova nel mio spirito come
padrone, che mi dia la misura di quanto può contenere un’anima bucata, di
quanti respiri è lungo il mio piacere in questa insubordinata malattia
d’essere femmina.
Come potrei concederle altro? Non riesco ad
immaginare come stasera potrei farla esplodere, invaghirla al punto di
desiderarmi vera. Sono come lei mi vuole, come lei mi dice o come si dice
nei tanti dialetti. Ma sono comunque mani, gambe, seno, sono labbra che si
schiudono quel tanto che basta per assaporarne saliva, sono tutto ciò che
qualsiasi donna potrebbe offrirle stasera. Basterebbe un altro nick dove
addormentarci la sera, riprovare l’ebbrezza di ricominciare daccapo, di
conquistarne un’altra. Femmine insoddisfatte che non hanno il coraggio
d’uscire alla luce del giorno e s’accontentano di farsi scopare da poesie
e parole che leggono in silenzio la notte.
Chissà quante in questo
momento dicono di accavallare le gambe fasciate di stupendi merletti e
scoperchiano gonne e scoperchiano seni, chissà quante ne delineano le
forme d’un seno voglioso ed abbondante che adattano e ingrandiscono alla
voglia di un uomo o solo delle parole che chiedono e pretendono e passano
come titoli di coda attraverso lo schermo.
M’illudo di
essere unica, sola ad aver bisogno di parole che si fanno racconto, si
fanno stanza dove io mi siedo, discrezione di un uomo che per cortesia
neanche mi guarda. Sensualità raffinata che sale partendo dalla punta del
tacco. Ma io sono davvero così? Io mi sento reale, la sola come dentro uno
specchio. E lei ne è certo che quello che dico è quello che sono. Parole
di carne, virgole di respiri, punti d’inquietudine e timori nelle frasi
che prendono forme di culo e di tette, nell’infinita illusione di essere
reale nei suoi occhi che guardano lettere.
Sa che le dico? Domani le
mando una mia foto, ma devo prima scurirla, voglio che mi veda in penombra
attraverso il buio e il mistero, perché i suoi sogni non diventino banali,
perché la sua emozione non si limiti a quello che vede. Sono in una
stanza, dietro una finestra ed una lampada accesa, ma voglio che la mia
figura rimanga in quella penombra perché questo seno scoperto non le dia
la misura dove il suo piacere potrebbe arrivare. La prego, non mi chieda
altro, è già pazzia quello che faccio, è già fiatone e paura di credere
che sia solo l’inizio di una storia infinita nella consapevolezza invece
che possa finire con un click.
Come posso farle capire che
sono una donna sposata, che mio marito ora sta dormendo e ne sento i
respiri, mentre io sono qui che mi faccio chiamare come a lei piace e le
permetto di chiamare fica, passera, il mio sesso pulito, come ascolto il
suo piacere che sale attraverso parole crude e secche che neanche conosco.
Come posso farle capire che alle mie amiche di canasta do l’idea di essere
suora. Lo so non ci crede ma non rida la prego, prima d’incontrarla ero
davvero quello che ho detto, non avrei mai pensato che quella parola detta
improvvisa mi procurasse un buco nel cuore, una bolla schiacciata dove
esce materia, come nero di seppia che ti tinge le mani.
Mi
chiede del mio passato, ma a parte il tassista c’è poco da dire. O forse
si ma spero d’avere tempo per dirlo ai suoi occhi. Del tassista ne cullo
il ricordo perché è successo da poco, dentro una macchina che mi riportava
a casa. Sbadatamente ho alzato la gonna e lui, chiaro come un sole al
mattino, ha notato le mie calze appese a dei ganci. Mi ha detto che era un
intenditore di seta e che mai aveva ed avrebbe fatto l’amore con una donna
senza quel feticcio così femminile.
Avevo voglia di scendere, ma lui
aveva colpito le mie emozioni più basse e per gioco e per davvero ho
lasciato alzata la gonna. Si è fermato un attimo dopo in una rientranza di
un viale di macchine. Lo vedevo di spalle e lui mi guardava dallo
specchietto retrovisore. Mi batteva il cuore, ma ero contenta che almeno
qualcuno potesse ammirare le mie bellezze nascoste, i miei segreti più
intimi coperti sempre da gonne e vestiti. Nel buio ho visto l’umidità dei
suoi occhi, il tremore della sua mano che stringeva in un pugno per non
abbandonarsi all’istinto. Mi ha detto che lo stavo facendo impazzire, ma
senza volgarità.I suoi desideri erano evidenti, avrebbe voluto scendere e
salire accanto a me, toccare la trama, sentire la leggerezza del nylon
nero che si faceva voglia, donna e pelle chiara. Ma l’ho pregato di non
farlo, di rimanere al posto di guida e guardarmi. Lui ha insistito e l’ho
minacciato che se mi avesse solo sfiorata avrei interrotto il gioco e
sarei scesa dall’auto... Mi ha pregato di non farlo e nel contempo di non
abbassare la gonna e che si sarebbe limitato a guardare, guardare. L’ho
accontentato, sono rimasta in quella posizione. Nel buio della macchina i
miei gancetti luccicavano, il mio odore riempiva i miei ed i suoi
imbarazzi. Non so quale sia stato il suo pensiero, forse scorrazzare per
la città una donna di classe conciata in quel modo, forse l’occasione che
non aveva mai avuto nella sua vita, forse sentirsi autista di una
perversione, ma dopo poco ho visto nitido il suo piacere nello specchietto
retrovisore e la sua voce cambiare completamente timbro e i suoi gemiti
accompagnare l’istinto di avermi oltre quella distanza siderale. Non avevo
la vestaglia purtroppo ed ora non conservo altro ricordo. Siamo arrivati
sotto casa e mi ha detto soltanto buonanotte senza farmi pagare la
tariffa.
La sua ………….
CONTINUA...
ELENCO DEI RACCONTI