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AMORE IN CHAT

Il tassista
"Mio caro, lei esiste perché leggo le sue parole, perché disinvolto ammicca ma non dice. Lei ha un senso dentro questa scatola magica, come un bambino che rifiuta il cielo e concentra il suo occhio dentro i colori di un caleidoscopio."







Photo Tancrède Szekely







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Luisa,
mai avrei creduto che i suoi timori la facessero così bella, mai e poi mai avrei pensato di vederla fiorire dentro una vestaglia da casa. Ok, so che non ha potuto essere come avrebbe voluto, ma so anche che ogni parola di strada stasera striderebbe con il suo vestito candido. Suo marito sospetta? I poveri di spirito non dovrebbe aver timore se dentro un computer ci sono solo parole anche se sanno di sesso. Lei ha acconsentito a spogliarsi di tutto ed ora si sente in difetto. Non tema, mia cara.
Mi dispiace molto non sentirla del tutto a suo agio, percepisco il suo rammarico che sale fino alla punta di quelle unghie che hanno perso colore. Ma domani rimedierà, non é vero? Dovrà essere la mia stupenda femmina, so che mi capirà se non uso quella parole che lei ama tanto, dicevo femmina più di quanto lo sia stata finora.

L'insolenza dimostrata da suo marito, merita una punizione vera. Lui deve rendersene conto che mai potrà offrirle ciò che le offro io, non perché io sia migliore, ma solo perché io sono in grado di darle quel pizzico di trasgressione che il suo ruolo di marito non potrà mai donarle.
Si osservi allo specchio Luisa e aggiunga un suono a quella parola mentre ammira il suo riflesso. La dica... “Voglio esserla davvero!" E non tema che il suono della suo voce strida e non sia consono all’effetto che le procura. Io la penserò come sempre.
Porti quella vestaglia con sé. Prenda un taxi direzione centro. Se incontrerà di nuovo il suo tassista allora non sarà un caso, sarà il destino che la guiderà nei meandri del suo piacere. Allora mostri al tassista la sua eleganza nella penombra dell’auto, faccia in modo che lui fermi l’auto, lo inviti a proseguire da solo e al culmine di quell’oblio gli porga la vestaglia alla sola condizione che lui la onori ben bene. Sa quello che intendo vero? Quando tornerà a casa la indossi, vedrà che quel feticcio non saprà più di casa e non sarà solo un pezzo di stoffa penosamente ordinario! Si faccia vedere da suo marito, e sono certo che potrà farlo con meno disgusto sapendo che gli aloni che lui vede, ma solo lei ne conosce il significato, sono il piacere di un uomo per caso.
Le mando un bacio. Il suo Angelo Nero.




*****



Mio caro,
lei esiste perché leggo le sue parole, perché disinvolto ammicca ma non dice la parola. Lei ha un senso dentro questa scatola magica, come un bambino che rifiuta il cielo e concentra il suo occhio dentro i colori di un caleidoscopio.
Sento nelle sue parole un leggero fastidio. La prego non faccia che questo desiderio svanisca per uno stupido e banale cruccio di mio marito. Mi lasci sognare, comunque, anche in vestaglia. Aggiunga a quelle parole che domani mi vorrebbe in una stanza d’albergo, ma non mi dica né il nome, né l’ora perché dev’essere un sogno, una meta poco distante dal paradiso che vale solo per quanto la bramo. Mi vorrebbe tra tende che immagino verdi, con uno scrittorio di noce ai piedi del letto, con il soffitto ingiallito e la poltroncina di pelle scurita da infiniti bisogni a pagamento, di istinti di fretta per un treno che parte ed un misero bagno con la vasca scrostata. Trattenga il suo ardore, quei rozzi pensieri che trovano luce esclusivamente dal ribollir del sangue, che ora mi vorrebbero preda di un tassista o chiunque a caso sentisse i miei odori percependo quella resina calda e mielosa che sgorga dal ramo al sorgere della bella stagione.

No mio Angelo Nero, la prego, faccia che io immagini una finestra aperta al fragore del mare, ad un silenzio assordante di una notte di luna. Faccia, davvero, che il mio sesso sia un fiore, una tinta di rosso di papavero in una distesa di grano.
Si, davvero faccia che sia passato marzo e che sia giugno, che il mio vestito di bianco sia colorato dalla mia pelle che traspare. Quel numero di telefono io l’ho cancellato, come se lei non l’avesse mai scritto, come se queste parole fossero sbocciate dal nulla, dalla sola occorrenza di rientrare nel sogno e vedere stasera le sue parole soltanto, che non sono poche, non sono nulla.
Non intitoli i messaggi, Luca o Luisa, lasci da parte queste parole banali. Mi faccia un favore scriva diretto il primo pensiero, la prima cosa che immagina quando mi pensa, sono sicura che non può essere altro che dirmi quella parola, la sola che ci unisce, perché le giuro non c’è sesso che mi penetri più a fondo, che si muova nel mio spirito come padrone, che mi dia la misura di quanto può contenere un’anima bucata, di quanti respiri è lungo il mio piacere in questa insubordinata malattia d’essere femmina.

Come potrei concederle altro? Non riesco ad immaginare come stasera potrei farla esplodere, invaghirla al punto di desiderarmi vera. Sono come lei mi vuole, come lei mi dice o come si dice nei tanti dialetti. Ma sono comunque mani, gambe, seno, sono labbra che si schiudono quel tanto che basta per assaporarne saliva, sono tutto ciò che qualsiasi donna potrebbe offrirle stasera. Basterebbe un altro nick dove addormentarci la sera, riprovare l’ebbrezza di ricominciare daccapo, di conquistarne un’altra. Femmine insoddisfatte che non hanno il coraggio d’uscire alla luce del giorno e s’accontentano di farsi scopare da poesie e parole che leggono in silenzio la notte.
Chissà quante in questo momento dicono di accavallare le gambe fasciate di stupendi merletti e scoperchiano gonne e scoperchiano seni, chissà quante ne delineano le forme d’un seno voglioso ed abbondante che adattano e ingrandiscono alla voglia di un uomo o solo delle parole che chiedono e pretendono e passano come titoli di coda attraverso lo schermo.

M’illudo di essere unica, sola ad aver bisogno di parole che si fanno racconto, si fanno stanza dove io mi siedo, discrezione di un uomo che per cortesia neanche mi guarda. Sensualità raffinata che sale partendo dalla punta del tacco. Ma io sono davvero così? Io mi sento reale, la sola come dentro uno specchio. E lei ne è certo che quello che dico è quello che sono. Parole di carne, virgole di respiri, punti d’inquietudine e timori nelle frasi che prendono forme di culo e di tette, nell’infinita illusione di essere reale nei suoi occhi che guardano lettere.
Sa che le dico? Domani le mando una mia foto, ma devo prima scurirla, voglio che mi veda in penombra attraverso il buio e il mistero, perché i suoi sogni non diventino banali, perché la sua emozione non si limiti a quello che vede. Sono in una stanza, dietro una finestra ed una lampada accesa, ma voglio che la mia figura rimanga in quella penombra perché questo seno scoperto non le dia la misura dove il suo piacere potrebbe arrivare. La prego, non mi chieda altro, è già pazzia quello che faccio, è già fiatone e paura di credere che sia solo l’inizio di una storia infinita nella consapevolezza invece che possa finire con un click.

Come posso farle capire che sono una donna sposata, che mio marito ora sta dormendo e ne sento i respiri, mentre io sono qui che mi faccio chiamare come a lei piace e le permetto di chiamare fica, passera, il mio sesso pulito, come ascolto il suo piacere che sale attraverso parole crude e secche che neanche conosco.
Come posso farle capire che alle mie amiche di canasta do l’idea di essere suora. Lo so non ci crede ma non rida la prego, prima d’incontrarla ero davvero quello che ho detto, non avrei mai pensato che quella parola detta improvvisa mi procurasse un buco nel cuore, una bolla schiacciata dove esce materia, come nero di seppia che ti tinge le mani.

Mi chiede del mio passato, ma a parte il tassista c’è poco da dire. O forse si ma spero d’avere tempo per dirlo ai suoi occhi. Del tassista ne cullo il ricordo perché è successo da poco, dentro una macchina che mi riportava a casa. Sbadatamente ho alzato la gonna e lui, chiaro come un sole al mattino, ha notato le mie calze appese a dei ganci. Mi ha detto che era un intenditore di seta e che mai aveva ed avrebbe fatto l’amore con una donna senza quel feticcio così femminile.
Avevo voglia di scendere, ma lui aveva colpito le mie emozioni più basse e per gioco e per davvero ho lasciato alzata la gonna. Si è fermato un attimo dopo in una rientranza di un viale di macchine. Lo vedevo di spalle e lui mi guardava dallo specchietto retrovisore. Mi batteva il cuore, ma ero contenta che almeno qualcuno potesse ammirare le mie bellezze nascoste, i miei segreti più intimi coperti sempre da gonne e vestiti. Nel buio ho visto l’umidità dei suoi occhi, il tremore della sua mano che stringeva in un pugno per non abbandonarsi all’istinto. Mi ha detto che lo stavo facendo impazzire, ma senza volgarità.I suoi desideri erano evidenti, avrebbe voluto scendere e salire accanto a me, toccare la trama, sentire la leggerezza del nylon nero che si faceva voglia, donna e pelle chiara. Ma l’ho pregato di non farlo, di rimanere al posto di guida e guardarmi. Lui ha insistito e l’ho minacciato che se mi avesse solo sfiorata avrei interrotto il gioco e sarei scesa dall’auto... Mi ha pregato di non farlo e nel contempo di non abbassare la gonna e che si sarebbe limitato a guardare, guardare. L’ho accontentato, sono rimasta in quella posizione. Nel buio della macchina i miei gancetti luccicavano, il mio odore riempiva i miei ed i suoi imbarazzi. Non so quale sia stato il suo pensiero, forse scorrazzare per la città una donna di classe conciata in quel modo, forse l’occasione che non aveva mai avuto nella sua vita, forse sentirsi autista di una perversione, ma dopo poco ho visto nitido il suo piacere nello specchietto retrovisore e la sua voce cambiare completamente timbro e i suoi gemiti accompagnare l’istinto di avermi oltre quella distanza siderale. Non avevo la vestaglia purtroppo ed ora non conservo altro ricordo. Siamo arrivati sotto casa e mi ha detto soltanto buonanotte senza farmi pagare la tariffa.
La sua ………….
 








 
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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