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BAGNI GIUDITTA

Si ripongono gli ombrelloni
"Perché io sono questa Luca, io sono la spiaggia, il karaoke, la tequila e gli ombrelloni, faccio parte di questo contesto e senza di loro non esisto, non ho culo e tette, e neanche quest’anima che per un attimo si è illusa d’avere un senso e un’altra vita lontano dai Bagni Giuditta."







Photo Iraklis Makrigiannakis







 


Si ripongono gli ombrelloni ai Bagni Giuditta, si stipano le cabine per un’altra stagione che pare più lontana dei mesi che mancano. Chissà se sarò ancora qui a godermi questo sfondo di stelle? A pensare che l’inverno passato è stato più breve di quanto previsto, di quanto ora non immagini il mio stato d’animo, sfibrato e scompagnato da questo luogo inadatto a covarci dei sogni.
Come un uccello migratore potrei trasvolare in qualche paese più caldo, seguire la rotta delle cicogne al di là della Spagna e ritrovarmi in Marocco. Ma poi rido pensando che sono solo pretesti, che per fare il mestiere non servono il sole, la spiaggia, il karaoke.
Chissà quanti pezzi d’asfalto mi stanno aspettando, quanti marciapiedi sconnessi accoglierebbero volentieri i miei tacchi accecanti. Quanti fari rifletterebbero ai miei stivali di pelle, ai miei occhi che come neon di notte sono l’insegna di quello che offro.
Chissà quante macchine fanno già mulinello e creano risucchi e vuoti di aria, buchi di notte dove s’infilano voglie, dove s’accomodano uomini che mi hanno scelto per uno spicchio di pelle e mi hanno pagata perché gli è andato a genio il contorno.

Mi spaventa l’idea che fuori da qui io possa essere comunque puttana, che i Bagni Giuditta siano stata solo una scusa e ora sono pronta a battere altrove. Magari tra fuochi di notte che fanno tanto miseria, tra i viali al tramonto che ti fanno retorica, perché ad ogni mignotta s’abbinano alberi e fuochi, calore e riparo per uomini soli.
Se penso a quando all’inizio era solo un incolpevole gioco, quando tra coetanei ci si scambiava dei baci per una tequila. Mi sembra davvero d’aver vissuto una vita! Che pochi mesi passati m’abbiano cresciuto così in fretta come quando al mattino sali su un paio di tacchi per andare al lavoro.
È strano davvero sentirsi diversa, vedersi con gli occhi degli altri, perché quando non sono davanti ad uno specchio mi sembra d’essere sempre la stessa, uguale a quella che mi riflette di dentro. Mi sembra d’avere gli stessi pensieri che girano contorti e diventano dubbi, le stesse parole che cambio solo di posto. M’illudo che il mio seno possa stare tranquillo dentro una seconda, che le mie labbra di carne non si siano scomposte ai tanti baci che m’hanno raschiato il palato e la gola.
Senza Fanny non mi era rimasta che questa spiaggia, queste sedie che affondano nella sabbia e mostrano imperterrite al vento le mie gambe di seta, i miei seni di carne, il mio di dietro rigonfio, così disponibile come se bastasse una mano, come se la distanza dal paradiso fosse un braccio proteso che ti offre da bere.

C’è un’ombra contro la luce di questa falce di luna che mi sorride. Chissà se sa che come i Bagni Giuditta anche io ho già chiuso i battenti, magari si chiede quanto possa costare la solitudine di una donna o la testardaggine di non essere sola a quest’ora di sera o forse non crede che io faccia il mestiere e sono qui perché cerco poesia. Lui mi guarda ed io avrei voglia di dirgli che quello che cerca è un buco soltanto, è un culo nella notte dove ci rimangono incastrate le voglie inespresse di sessi che non hanno trovato il loro contrario.
Ma lui s’avvicina senza essere scalfito dai miei pensieri, s’avvicina, lo guardo ed ha la faccia di Luca. Mi guarda come se avesse sempre saputo, come se i miei seni non fossero degni di mezza sorpresa. Eppure finora l’aveva solo immaginati, dentro le notti di poesia, toccati senza avvertirne il tatto e l’odore. Cerco di coprirmi, come se quell’inutile gesto mi desse contegno e rispetto, come se questa gonna al suo posto lo riportasse diritto ai tempi di scuola.

“Luca ma che ci fai qui?” Mi accorgo immediatamente che non dovrei essere io a fare questa domanda, ma almeno per questa volta non mi chiederà di fare l’amore, non mi farà domande di come passo la sera e la notte. Sorride senza rispondermi. Dal suo sguardo m’accorgo che non m’avrebbe più scritto poesie, che questa cosa che stringo preziosa al massimo potrebbe destargli una voglia troppo identica a quelle di tanti clienti che accolgo di notte.
“Luca, ti prego, rispondimi! Che ci fai qui? Come fai a conoscere i Bagni Giuditta?” Poi sottovoce: “Qui non c’è posto per chi conosce il latino.”

Tento di abbracciarlo, di toccarlo, magari è venuto soltanto per umiliarmi, per misurare quanto è profondo il mio sesso rispetto all’anima piatta. Magari è da tempo che mi segue. Sprofondo nella sabbia pensando davvero che è proprio finita, che nella mia vita non ci sarà posto per altro, che i Bagni Giuditta saranno la mia casa, saranno mia madre, i miei affetti, il mio nome, Fanny che è scomparsa da giorni, Marta che m’aspetta ogni sera come un marito in pena.
Luca continua a fissarmi, come se la mia anima fosse davvero piatta e non avesse un contorno di carne, un corpo che per mesi e mesi qualcuno ha anche apprezzato.
Oddio come vorrei aver mangiato da poco, per vomitare tutta la rabbia di cui ho bisogno, perché sono sicura che ora stia guardando la parte più scura dell’anima dove immagina un buco, chiedendosi quanto piacere s’annida tra l’intimo e il sogno di prendermi nuda.

M’avvicino e m’accorgo che è soltanto un riflesso di luce e di ombre, che la mia anima non è bucata e nessuno al momento è ancora in grado di farlo. Chissà davvero dove sarà Luca in questo momento? Magari a recitare le mie poesie in un letto qualunque di chi ha accettato la noia e ora non deve difendere la propria faccia. Di chi non immagina quanto può essere umida una notte, di quanto possano far male le ossa anche a vent’anni, senza neanche una parola che ti possa scaldare almeno le labbra.
Sapessi Luca da quanto tempo t’aspetto, quanto tra le mie gambe ci sia il desiderio d’un seme d’amore che finora non m’ha mai bagnata, d’amarti per tutte le ore che si consuma un amore senza la paura che qualcuno se ne approfitti o mi faccia del male.
Ho paura che questo mestiere oltre che puttana m’abbia reso diffidente, mi faccia scattare la molla ogni volta che un uomo abbassa la lampo.
E se davvero non riuscissi più a guardare un uomo negli occhi? A non vederci più questo mare che nonostante tutto porta musica e clima di spiagge lontane? E se davvero giudicassi gli uomini soltanto dal pene che mostrano? Sapendo benissimo che in amore grande o piccolo non fa differenza. Luca lo so che sei un’ombra ed è per questo che parlo, perché se tu spuntassi davvero mentirei a me stessa, negherei orgogliosa, senza pena nel cuore, d’aver detto almeno una parte di questi pensieri.
Perché io sono questa Luca, io sono la spiaggia, il karaoke, la tequila e gli ombrelloni, faccio parte di questo contesto e senza di loro non esisto, non ho culo e tette, e neanche quest’anima che per un attimo si è illusa d’avere un senso e un’altra vita lontano dai Bagni Giuditta.






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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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