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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
“Chissà cosa ne penserebbe mio marito?”
 "Le cose vanno come vanno e ad un certo punto della mia vita mi sono ritrovata a contare i centesimi di euro. Del resto due figli da crescere non sono uno scherzo per cui all’età di 37 anni decisi di andare a servizio…"
 

 


   


Nella vita non sono stata fortunata. Da ragazza ero una persona molto semplice e timida e forse per questo, rispetto alle mie compagne di scuola, non ho avuto successo. Comunque mi sono sposata, ho avuto due figli e un marito che ancora oggi mi porta sul palmo di una mano, ma ahimè non è ricco anche se è volenteroso e si guadagna da vivere facendo lavori umili. Poi le cose vanno come vanno e per farla breve ad un certo punto della mia vita mi sono ritrovata a contare i centesimi di euro e lui a raccomandarsi ad ogni santo disponibile per trovare un lavoro.

Dicevo, due figli da crescere non sono certamente uno scherzo per cui all’età di 37 anni decisi di andare a servizio e l’unica via di uscita fu quella di chiedere aiuto al parroco della chiesa del mio quartiere. Lui fu immediatamente disponibile e dopo qualche giorno mi trovò un posto a ore in una casa privata.

Accettai con entusiasmo quella proposta, tanto che il giorno stesso contattai il numero telefonico che mi aveva procurato il parroco. Chiamai e mi rispose la voce di un signore molto gentile. Durante la chiamata per sommi capi mi disse che in quanto vedovo aveva urgente bisogno di una domestica per almeno quattro ore al giorno e che, se fossi stata disponibile, avrei potuto andare a casa sua il giorno stesso e rendermi conto del lavoro da fare.

Dopo aver riattaccato chiamai subito mio marito comunicandogli la buona novella, poi senza perdere tempo mi precipitai al colloquio. Quando aprì la porta notai sul viso di quell’anziano signore un’espressione di stupore. Esordì facendomi i complimenti confessandomi però che aveva immaginato una signora anziana e non di sicuro una donna che, grazie a Dio, dimostrava, secondo lui, meno di trenta anni. A dire il vero lo vidi assai titubante, insomma diffidava delle giovani domestiche a causa di una precedente esperienza, ma quando gli rivelai la mia età e che ero sposata con due figli si rassicurò cambiando subito atteggiamento.

Cordialissimo mi fece entrare e mentre gustavamo un ottimo caffè, il discorso cadde sulla sua povera moglie, persa anni prima in un incidente aereo, e su il suo unico figlio, a New York per lavoro. Immediatamente pensai che fosse un tipo solo e che da giovane doveva essere stato di sicuro un bel ragazzo, ammettendo comunque che tuttora aveva un bell’aspetto di anziano dai modi gentili ed estremamente elegante. Lui poi chiese di me ed io nella mia atavica timidezza gli risposi che ero sposata, che avevo due figli e che poi nella vita non ero stata molto fortunata.
“Lucia.” Mi disse. “Da oggi in poi si consideri fortunata!”

Non risposi ma incrociai le dita sperando davvero nella buona stella. In breve poi ci accordammo sul lavoro compresi orari, compenso e contributi. Quando ci salutammo mi diede l’appuntamento per la mattina seguente.
“Se non le dispiace vorrei che iniziasse subito!” Ero felice. Sulle scale saltellai come una ragazzina: “Il mio primo giorno di lavoro!” A casa mio marito volle festeggiare con una bottiglia di ottimo vino, in fin dei conti avevamo un bisogno estremo di soldi: la retta di scuola di mio figlio più grande, gli interessi del mutuo che la banca aveva accantonato e ultima, ma non ultima, la rata della macchina già scaduta.

Il giorno dopo alle ore 9 in punto mi presentai all’appuntamento. Dentro di me sentivo un entusiasmo nuovo e soprattutto la volontà di non fallire. La casa era molto grande, certo, ma col mio senso innato dell’organizzazione avrei potuto farcela senza problemi. Lui aprì la porta con la sua solita gentilezza dicendomi che mi dovevo considerare la padrona di casa, che non mi avrebbe disturbata nel lavoro e che si sarebbe rinchiuso nel suo studio a scrivere ed a leggere. La casa era abbastanza ordinata, ma io non persi tempo dandomi subito da fare. Verso le 11 lui preparò il caffè imponendomi gentilmente di staccare un attimo, anzi carinissimo volle che mi sedessi e facessi una piccola pausa. Ero felicissima: avevo trovato un lavoro tranquillo e allo stesso tempo una persona cortese e rispettosa!

Passarono così alcune settimane, al primo stipendio con sorpresa notai che l’importo scritto sull’assegno era di gran lunga maggiore rispetto a quello pattuito. Allora chiesi spiegazioni e lui alquanto imbarazzato e con gli occhi bassi rispose: “Signora Lucia, per il lavoro che ha svolto e come lo ha svolto mi sembra una cifra più che equa.” Non stavo nella pelle, anzi per le scale chiamai mio marito, poi felice feci un salto al centro commerciale per comprare dei regalini ai miei figli.


*****

Lui non usciva spesso, diceva che la sua vita, da quando era morta sua moglie, la viveva esclusivamente attraverso i suoi libri di geografia. Nello studio aveva un bellissimo e antico mappamondo di legno e nelle poche volte in cui rimanevo sola mi piaceva fantasticare su cosa lui ci trovasse in quei viaggi immaginari e soprattutto quali fossero i suoi itinerari preferiti.

Comunque non saltava mai l’appuntamento delle 11, anche se a volte capitava di essere fuori casa, faceva in modo di tornare in tempo per il solito caffè seduti nella sala da pranzo. Erano solo dieci minuti, ma ormai erano diventati un rito. E durante una di quelle pause con sorpresa notai che il suo sguardo sfuggente indugiava spesso sulle mie gambe. Di solito, come vestito da lavoro, portavo un grembiule di poche pretese, ma quella volta, come cambio, avevo indossato una gonna corta, ma comunque comoda per sbrigare le faccende.

È stato lì che ho cominciato a pensare che quel rito forse non fosse del tutto innocente, che altre volte magari non avevo fatto caso al suo sguardo interessato e che comunque, per via della sua timidezza, finora quell’interesse non aveva avuto conseguenze. Ovviamente non dissi nulla, mi alzai sorridendo, ma la cosa mi fece pensare e non poco. In fin dei conti finora si era comportato da autentico gentiluomo per cui quello sguardo lo giudicai alquanto incolpevole o quanto meno l’innocente fantasia erotica di una persona anziana.

Mi chiesi tornando a casa se a quell’età si provasse ancora desiderio e come sarebbe stato l’amore con una persona anziana. Osservando i suoi occhi optai per un sì e un tipo d’amore pieno di saggezza e dolcezza, insomma come farlo distesi sopra una nuvola. Poi mi domandai maliziosamente se nell’ipotesi più remota avessi accettato le sue avances, ma a questa domanda per pudore non risposi.

La sera ne parlai con mio marito, lui prontamente mi rispose che la soluzione era a portata di mano ovvero di non indossare più quella gonna per non dare adito ad equivoci. Si illudeva che il problema fosse la gonna e qualche centimetro in più o in meno della coscia scoperta, ma ovviamente sapevo benissimo dentro di me che quella, seppur molto pratica, non fosse la soluzione.

Il giorno dopo, forse per scoprire davvero cosa ci fosse in fondo a quello sguardo, o forse, lo confesso, perché tenevo molto al mio stipendio, indossai la stessa gonna. All’ora del caffè, seduta sulla solita poltrona, con una punta di divertita malizia femminile, mentre tenevo d’occhio il suo sguardo, accavallai le gambe permettendo ovviamente a quel pezzo di stoffa di salire senza che io lo facessi di proposito. Beh a quel punto i suoi occhi sornioni divennero di colpo eloquenti, per tutti quei dieci minuti, pur parlando dei suoi viaggi fantastici, non staccò per un attimo lo sguardo dalle mie gambe. Più fissavo quello sguardo e più sentivo la sua approvazione sentendo lievitare dentro di me la parte di femmina, che mio marito, per i nostri perenni problemi economici, non aveva più saziato da tempo.

Quel giorno cambiò qualcosa. Sempre comportandosi da vero gentiluomo mi chiese se per caso avessi avuto piacere a fare non una, ma due pause durante la mattina alternando thè, caffè e succo di frutta varia. Ovviamente accettai con un sorriso pieno di intesa, in fin dei conti era un gioco innocente e tutto sommato mi divertiva. Ormai quella gonna era diventata ufficialmente il mia abito da lavoro, il mio feticcio e il mio stipendio, il mese dopo, incredibilmente raddoppiato, per cui quando mi chiese, sempre imbarazzatissimo, di sostituire la mia maglietta rossa di Snoopy con una camicetta trasparente e scollata non ebbi alcuna remora ad accettare. Il pomeriggio andai al centro commerciale e ne comprai due molto trasparenti, non conoscendo il suo colore preferito ne presi una bianca e l'altra nera.

Da quel giorno quel gioco diventò un vero e proprio rituale con le proprie regole e le sue timide, ma ferme istruzioni. Mentre sorseggiavamo il nostro solito caffè lui, seduto sulla sedia, ostentava il suo piacere nel guardarmi mentre io, adagiata in poltrona, a richiesta accavallavo le gambe e assumevo pose maliziose tanto da giocare col vedo e non vedo della gonna e della camicetta trasparente.

Non ci vedevo nulla di male, ma una sera tornando a casa, lontano dalle orecchie dei miei figli, raccontai per filo e per segno a mio marito cosa stesse succedendo in quella casa. Prima di tutto gli dissi delle camicette e poi, dopo avergli giurato che l’anziano signore non si era mai spinto oltre, né toccandosi, né allungando le mani, entrambi prendemmo la sana decisione di non rompere quell’equilibrio, ovviamente rassicurandolo che se fossero subentrate altre cose strane avrei interrotto immediatamente quel rapporto di lavoro.

Il giorno dopo invece, durante la prima pausa caffè, che nel frattempo erano diventate ben tre, lui senza alcun imbarazzo mi chiese di togliermi la camicetta e nella seconda addirittura la gonna. Eh già ero completamente nuda, ma lui non si scompose. Di fatto quel gioco stava diventanto molto pericoloso e quando ripresi a fare le faccende pensai che avrei dovuto assolutamente decidere se rimanere in quella casa e continuare quel gioco oppure, come avevo promesso a mio marito, di interrompere quel rapporto. Mentre stavo dando la cera ai pavimenti mi sentii completamente nel panico, dovevo decidermi e intanto contavo i minuti che mancavano alla terza pausa di caffè. Più volte stetti sul punto di aprire la porta e salutarlo, oppure di fingere un malessere, ma pensavo ai miei figli, a mio marito, alla rata della macchina e al mutuo.

Ormai sapevo benissimo dove sarebbe arrivato, era un gioco lento, ma inesorabile, per la mia timidezza avevo sempre rifiutato determinate avances rimpiangendo però subito dopo il fatto di non aver sfruttato le occasioni che mi erano capitate durante tutti quegli anni. Ero lì e dovevo decidere. Cosa mi avrebbe chiesto? Il tempo degli sguardi si era inesorabilmente concluso, ora il gioco richiedeva ben altro. Ma cosa? Dovevo solo andare a vedere oppure aprire quella porta, fuggire e rinunciare allo stipendio. Non c’erano altre soluzioni.

Come un giocatore di poker decisi di andare a vedere. A mezzogiorno esatto entrai nuda nella sala curiosa di conoscere cosa ci sarebbe stato alla fine di quel rito. La stanza era in penombra ed io constatai stupefatta che non c’era alcuna tazzina fumante di caffè sul vassoio. Lui non mi chiese di sedermi, non mi chiese di accavallare le gambe o, che so io, giocare col vedo e non vedo del mio seno, mi sorrise soltanto dicendomi che tutto ciò era stato previsto, anche il fatto che io fossi già nuda e che inesorabilmente avessi accettato. A quel punto si alzò e prendendomi per mano mi condusse lungo il corridoio per poi adagiarmi sul letto della sua camera che avevo appena sistemato.

Ero sua, sua al punto di convincermi quanto un uomo anziano possa appagare una donna. Fu altruista, generoso e passionale, incredibilmente, nonostante l’età, un ottimo amante. Dopo il primo impaccio mi lasciai andare e lui saziò tutte le mie astinenze. Durante l’amore mi confessò che mai aveva pensato ad un finale diverso sin dalla prima volta quando ero entrata in quella casa. Ero bella, giovane, timida, sposata, madre e senza soldi, tutti elementi che avevano rafforzato le sue convinzioni. Insomma era tutto previsto, come la sua finta timidezza o quel lento e inesorabile percorso che mi aveva portato tra le sue braccia. Ero sua sì, lo sarei stata per tanto tempo ed ancora oggi lo sono.

Grazie a lui la mia timidezza gradualmente è svanita e mio marito, dopo l’episodio della gonna, non mi ha chiesto più nulla, salvo aspettare con impazienza lo stipendio a fine mese. Grazie al mio lavoro abbiamo finito di pagare le rate dell'auto e paghiamo regolarmente il mutuo. I miei figli continuando ad andare a scuola privata e mio marito non ha più l'ansia di perdere il lavoro. Insomma quelle pause giornaliere sono diventate parte integrante della mia vita e del mio lavoro ed io cerco di svolgere quel compito diligentemente come per le altre faccende domestiche, del resto, mi ripeto, mi occupo di curare la casa e il piacere di chi ci abita. Non ci vedo nulla di male anche se a volte tornando a casa mi domando: “Chissà cosa ne penserebbe mio marito?”


 





Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo Yulia Sklyadneva

 







 
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