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Adamo Bencivenga
Una donna alle prese
col suo primo tradimento
Il sapore dolciastro del tradimento
Amore? Ma che stronza parola che ho
detto! La sensazione che la notte ha
lasciato è simile allo strascico impolverato
di un vestito da sposa. E mi affido al tempo
perché l’odore di sporco passi veloce e
non rimanga che niente
Photo Remy
Perthuisot
Sono qui su questa metro affollata
che trasuda d’odori,
mi chiedo cosa ci faccio dentro questo budello che mi sta portando al
lavoro, confusa tra le mani e le braccia di gente che ieri è rimasta in
famiglia, cena e tv e poi è andata a dormire. Mi guardano, sento i loro
occhi ovunque, chissà se intuiscono cosa sia successo davvero stanotte?
Non c’è altro posto al mondo dove si concentrano sguardi, attenti ad
ogni dettaglio, ogni piccola mossa come bocche da fuoco, o cecchini che ti
seguono pronti allo scoppio. Se solo sapessero che per la prima volta
stanotte, ho assaggiato un sapore diverso, ho fatto l’amore con un uomo
che non era mio marito.
Difficile pensare tutto questo
dentro una metro, che mi porta diritta al lavoro, dalla mia amica
e collega Cecilia che la vedo già ansiosa che vuole sapere. Ma io non ho
voglia di parlare, sento solo imbarazzo di ieri e di quest’uomo seduto di
fronte a me che possa aver carpito i miei pensieri e davvero crede che i
miei seni abbiano appagato ieri due occhi diversi. Vorrei dirgli che di
niente dovrebbe essere certo, ma che se davvero lo pensa non sbaglia poi
tanto, perché poi non è la fine del mondo, e chissà quante donne ieri sera
hanno detto ai propri mariti di andare ad una festa, con la loro amica
migliore, che poi non era un’amica e tanto meno una festa, ma un motel
sull’Aurelia a pochi passi da casa.
Ho la sensazione di
essere preda e chiunque in questo momento possa alzarmi la gonna
senza chiedermi nemmeno il permesso. Stamattina i pensieri girano
anarchici e liberi, chissà se hanno una logica tra la paura mai doma di
rimanere attaccata alle cose di sempre e il desiderio infinito di avere
nuove sensazioni, per la stessa ragione che ieri ho accettato
quell’invito, ed ora vado riflettendo sul mondo e l’amore nel segreto
d’una metro bollente, al riparo d’un paio d’occhiali da sole.
Amore? Ma che stronza parola che ho detto! La sensazione
che la notte ha lasciato è simile allo strascico impolverato di un vestito
da sposa. E mi affido al tempo perché l’odore di sporco passi veloce e non
rimanga che niente, non rimanga che una donna che sta andando al lavoro,
una moglie che si culla al pensiero che ieri è solo acqua passata.
Sapesse quest’uomo quanto è complicato essere amanti,
quanto sentirsi padrona del proprio bisogno, perché il giorno dopo tutto
diventa sporcizia, come carne che ti scordi nel frigo, e ti lascia per
giorni l’odore, nonostante l’aceto, il detersivo e il limone. E se cedessi
al richiamo di questi occhi insistenti? Magari accettando l’invito di
scendere adesso, forse laverei con una spugna la colpa e smetterei di
pensare che ieri è stata la notte che m’ha cambiato la vita. Vorrei
chiamare Cecilia e dirle che ho le mie cose, che avvertisse che oggi non
vado ed andare a passeggio per il Pincio e Villa Borghese tanto per quel
che mi serve, quest’uomo o un altro non fa differenza.
Lui
insiste forse ha intuito qualcosa, mi chiama signora, ma io non
lo ascolto. Chissà se anche lui fa l’amore dentro un motel sull’Aurelia
con una donna che non è sua moglie, o preferisce il bagno di una stazione
di metro, tra il via vai di gente che bussa, e il ghigno di una donna in
grembiule che pretende la mancia. Ho deciso affronto Cecilia e le racconto
tutto, come mi sono sentita in quel motel di notte, e come mi sento ora
tradita dal desiderio, dall’impeto di sentirmi diversa, nuova, viva anche
se poi il mio bell’amante lo conoscevo appena, solo una stretta di mano il
giorno prima in ufficio e poi quell’invito a cui non ho detto di no.
Sì vabbè lo so che mi illudo, lo so che sono balle,
che la colpa è di mio marito, del nostro rapporto ormai agli sgoccioli,
che è finita la passione, che non facciamo l’amore da secoli! Tutte balle
lo so, me ne rendo conto. Sono voluta uscire e l’ho fatto, neanche un
ristorante per pretesto, neanche una passeggiata per sentirmi l’anima
romantica, niente, nulla, solo quell’albergo con le luci viola, solo
quella stanza squallida e il suo fiato e le sue mani, la sua bocca e la
nostra passione.
Salgo in superficie e il telefono
squilla, è Cecilia impaziente che vuole sapere, la vedo
dall’altra parte del marciapiede, fa avanti ed indietro e non sta nella
pelle. E’ bella Cecilia, i suoi capelli sono una cascata di biondo sopra
le spalle, i suoi occhi due pennellate di cielo in un campo di grano.
Alta, magra, single e l’anima giusta sa sempre quello che vuole, e se
qualcosa non torna se lo lascia alle spalle, senza scavare ogni minima
inezia, senza sezionare un dettaglio, e dargli per forza un odore, proprio
come ora io sto facendo, ingrandendo ciò che è successo, caricando la
notte di mille significati. Ma che vuoi che sia successo? Chissà quante
donne ieri hanno passato la notte fuori casa e non per questo oggi sentono
in bocca il sapore dolciastro del tradimento.
Adesso m’ha
visto, si sbraccia e mi chiama.
“Claudia, sono qui!”
Mi
corre incontro: “Dai dimmi.”
Come se io potessi raccontare ogni cosa,
tra macchine e gente in mezzo la strada.
“Allora, non ti vedo felice!
Scommetto che è stato una frana.”
Sorrido. “Forse perché non lo è
stato, ma non ho voglia di raccontare, ti prego.”
Mi prende per un
braccio e mi trascina. Ci sediamo in una saletta davanti ad un caffè. In
cinque minuti non tralascio un dettaglio, fedele riassumo ogni momento
compreso il colore delle pareti e quello delle sue mutande. Cecilia mi
ascolta a bocca aperta non crede alle sue orecchie. Eh già una notte di
fuoco, iniziata alle nove di sera e finita con la luna già alta alle due e
mezza senza interruzioni.
Mi guarda, m’ammira e mi bacia. “Capitasse a
me un uomo così! Ma posso capire come ti senti, è solo una questione di
ore, vedrai come il mondo cambierà ogni aspetto, ed i colori non saranno
né 10 né 100, ma milioni e milioni ed ognuno diverso.”
È felice per me
e parte a ruota libera cintando Wilde, Flaubert e l’Allende.
“Tu
stanotte non hai tradito nessuno, credimi, ti sei ripresa solo la tua
vita! Se ti convincessi che anche le rose profumano per mestiere non
cercheresti la colpa dentro ogni cosa. Credo che sia questo il punto, ma a
me basta pensare che tu abbia avuto la forza di uscire di casa, il resto
sono solo momenti che non possono annacquare i motivi. Mia cara, non si
combatte il male di vivere indossando ogni sera la stessa vestaglia,
pensando a cosa fare per cena, che cosa dirà tua suocera se quando chiama
non rispondi. L’evasione è la terapia giusta, forse lui non sarà la
persona più adatta, forse hai bisogno di altro.”
La interrompo. “Ma
no, no, lui non c’entra nulla, sono io che mi metto in discussione ogni
volta che cambio percorso. E poi non mi era mai successo! Mi sento
devastata nell’intimo!”
“Lo credo! Da quello che mi hai raccontato!”
Ride. Faccio per andare e lei mi rincorre. “Ma dai era una battuta!”
“Hai ragione, scusami, sono io che non accetto nulla in questo
momento. Senti ti dispiace se non vengo a lavoro? Ho bisogno di stare un
po’ sola, di fare una passeggiata tra il verde.”
“Non ti preoccupare.”
Mi bacia e mi abbraccia più forte.
Lei è solo buona sono io
che sono complicata! Percorro in salita la strada fino a Villa
Borghese, penso a cosa dirà il Preside, la mia prima assenza per malattia!
Mi preoccupo per i ragazzi, chi sarà la supplente? Mi faccio forza e mi
impongo che non devo pensarci, oggi mi sembra davvero tutto diverso, ha
ragione Cecilia quando dice che vedo più colori, anche se al momento
distinguo solo sfumature più chiare e più scure. Ha ragione quando dice
che della vita va vissuto ogni risvolto, e non è un momento che può
svalutare la ragione. Il mio tradimento non è slegato dal resto o che so
io dal vivere una sera diversa, il mio tradimento nasce dalla notte dei
tempi.
Passeggio lungo l’ombra dei pini e mi sorprendo a
pensare, che ieri durante l’amore, come stanotte come oggi fino a
questo momento, non ho avvertito un accenno del mio malessere, dell’ansia
che mi blocca le gambe e mi chiude la gola, dell cuore che batte e perde
dei colpi e la notte nel letto fa cigolare la rete. Ha ragione lei,
l’importante è essere uscita, essermi scrollata la cappa, quel vuoto
appiccicoso che non ti incatena e non lega, ma è più forte di qualsiasi
corda che ti fa sanguinare i polsi. Che bello sentire il rumore calmo del
vento, il fruscio delle foglie perché il silenzio non è mai muto, se lo
fosse sarebbe solo angoscia che grida. Mi rilassa come mi rilassa il
pensiero che è stata solo una sera, che il tempo guarirà e non lascerà
strascichi. In fin dei conti è stato bello, ne avevamo bisogno entrambi,
ma ora è finita, finita in quel parcheggio del motel quando ci siamo
salutati. Sì, ovvio, non lo vedrò più perché il sapore di casa mi
commuove, come la mia vestaglia appesa sul retro della porta del bagno,
come le dodici rose rosse che mio marito puntualmente mi regala ad ogni
anniversario del nostro matrimonio.
Ora leggera cammino,
poi mi siedo sulla terza panchina di fronte al laghetto. Il
telefono squilla. Ma davvero non l’avevo previsto? Esito poi alla fine
rispondo. Davvero pensavo che non mi chiamasse? Nel fondo del fondo c’è
sempre l’orgoglio di sapere che qualcuno nel mondo ti pensa. Nel fondo del
fondo c’è una donna malata che fa l’amore e si culla e si lascia rapire
dai propri bisogni, a torto e a ragione che fremono dentro. E’ lui che mi
chiama e mi accorgo solo in questo momento, guardando il display, che ha
lo stesso mio nome al maschile! Mi dice che non ha dormito stanotte, che
all’alba mi ha scritto, ma poi ha cancellato il messaggio. Mi dice che mi
ama, oddio, si mi ama, e fitto mi parla come se fossi una Venere uscita
dall’acqua e fitto mi dice che sono un sogno. È disinvolto, semplice,
diretto, mi tratta come se fossi già la sua amante!
Non fa
cenno per nulla alla notte trascorsa, al sesso, alla carne,
all’odore che soltanto io ricordo. Come è possibile, che in questa notte
lui ci veda solo poesia? Ci veda l’amore e il suo lato romantico, mentre
io sono qui che ingrandisco i dettagli, di una lampo che scende, di una
gonna che s’alza, dell’odore acre di due corpi impazienti che si cercano.
Mi dice che ha voglia di vedermi, che senza meta sta girando per Roma,
in cerca di due occhi dove ci si vede il tramonto. Se fossi io la sola che
vede il mondo distorto? Che non crede a niente perché non crede a se
stessa, ma allora perché mi ha cercata stamattina? Non credo che abbia
bisogno di sesso, penso, mentre con una flebile voce gli dico che come lui
sto passeggiando, dentro una Roma che ammazza la notte, come due caffè
presi prima dell’alba, e seduta ora lo aspetto, sì che lo aspetto, alla
terza panchina in faccia al laghetto, dove in lontananza si sente il
rumore ovattato del mondo..
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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