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RACCONTI
 



 

 

Adamo Bencivenga
L'Amante di mia madre
 
"Sapevo che esisteva, l’avevo sempre intuito sin da piccola. Poi crescendo ne ebbi la certezza quando vedevo rientrare mia madre con una luce diversa negli occhi, stanca, ma felice e disponibile. "



 


Photo Andreas Wensauer  
 


Sapevo che esisteva, l’avevo sempre intuito sin da piccola. Poi crescendo, da grande, ne ebbi la certezza quando vedevo rientrare mia madre con una luce diversa negli occhi, stanca, ma felice e disponibile. Mio padre non si era mai accorto di nulla, ma io da donna sapevo, lo sapevo quando prima di uscire si curava minuziosamente davanti allo specchio, quando il suo trucco abbondava su quel viso ancora giovane, quando a mio padre inventava le scuse più improbabili. Spesso diceva che usciva con le amiche, ma io sapevo che non era vero, osservando le sue calze velate, le sue scarpe col tacco, le sue labbra rosso fuoco, la sua gonna appena stirata ed annusando il suo odore fresco di doccia e il suo profumo rigorosamente Chanel n. 5.

Lo sapevo perché un giorno per sbaglio, sola in casa, rovistai dentro un suo cassetto in cerca di un paio di orecchini e per caso mi capitò in mano una piccola chiave dorata che immediatamente associai ad un album di foto legato da una cinta di cuoio e da un lucchetto. Con il fiato in gola inserii la chiave e magicamente l’album si aprì. Dentro trovai una serie di foto, alcune in bianco e nero e altre più recenti, di due persone felici e rapite dalla stessa passione. Una era mia madre e l’altro invece un bellissimo uomo forse più giovane di lei, ma sicuramente tonico e prestante. In alcune di quelle foto erano al mare sorridenti, in altre seduti in un ristorante all’aperto e poi altre ancora, a Venezia sul ponte di Rialto, a Firenze in Santa Croce, a Pisa davanti alla Torre, altre invece in una casa che non conoscevo.
Tra tutte quelle foto ne scorsi una in bianco e nero: lui disteso su un letto posava sorridente completamente nudo come lo aveva fatto sua mamma. Indugiai su quella foto, la guardai più volte finché dedussi maliziosamente che il suo sesso, viste le dimensioni, non era completamente a riposo. Mi chiesi se a scattare quella foto fosse stata mia madre e se fosse stata scattata prima o dopo l’amore.
Richiusi il lucchetto e rimisi ordinatamente l’album al proprio posto e seppur sconvolta da quella foto, non rimasi per nulla sorpresa, perché io l’avevo sempre saputo che mia madre aveva un amante come conoscevo da sempre i problemi con mio padre, distratto da sempre da altre donne.

Per anni avevano condotto vite diverse senza mai però arrivare al dunque e senza mai dirsi cosa ancora li legasse o peggio cosa li portasse fuori da quella casa. Ci pensò mio padre un giorno di settembre a mettere fine a quella sceneggiata, mi prese da una parte e mi disse che ormai ero grande e la nostra famiglia non aveva più ragione di esistere. Se ne andò come il suo solito, lentamente e in silenzio senza sbattere la porta con i suoi segreti ben nascosti dalla sua granitica ritrosia. A mia madre non disse nulla, in fin dei conti non c’era davvero nulla da dire.

Passarono all’incirca due mesi, mia madre nel frattempo, passava più tempo fuori che in casa. Avevo da poco compiuto venti anni e il mio impegno principale era badare al mio fratellino di otto anni più piccolo. Al tempo uscivo da una storia durata cinque anni con un mio ex compagno di liceo. Ero depressa, evitavo gli specchi perché mi vedevo orrenda, evitavo le amiche sempre piene di domande e quando ero sola in casa più volte in quel periodo tornavo in quel cassetto e sfogliavo quell’album di foto. Mi consolava vedere quelle foto di due persone serene, ma soprattutto, osservavo principalmente lui, l’amante di mia madre, contavo le sue rughe, osservavo per ore il suo volto abbronzato, i suoi denti bianchi, i suoi occhi chiari estasiandomi davanti a quel sorriso e soprattutto, lo confesso, rimanevo affascinata da quella foto in cui era ritratto nudo. Alla fine quell’uomo divenne così familiare che, pur non conoscendo il suo nome e non avendolo mai visto di persona, lo chiamavo con i nomignoli più affettuosi.

Mi sentivo strana, sballottata e coinvolta da quella storia romantica e allo stesso tempo trasgressiva, mi chiedevo come avessero fatto per molti anni a vivere così lontani e allo stesso tempo così insieme e felici. Ripensavo spesso alla mia storia infelice e la sera nel letto invidiavo mia madre, la quale per fortuna o per bravura aveva avuto l’occasione di incontrare un uomo bello e soprattutto costante nel mantenere per anni, pur nelle difficoltà della clandestinità, quel rapporto. Beh sì lo confesso non erano solo pensieri, ma durante quelle notti provavo anche delle sensazioni calde e maliziose tanto che una mattina a tavola mentre facevamo colazione ed eravamo sole pensai di dire a mia madre che avrei avuto il desiderio di conoscerlo, ma non ebbi il coraggio, finché un giorno d’estate rientrando dall’università per la prima volta lo vidi, vidi lui in carne ed ossa, insomma lui, l’amante di mia madre.

Noi vivevamo in una bella villa alle porte di Roma in un quartiere residenziale. Quella casa era fatta davvero strana, forse per il capriccio di mia madre o per la stravaganza della sua amica architetto, in quella casa non c’era alcun corridoio, per cui per attraversarla occorreva passare dentro altre stanze. Insomma quel giorno prima di pranzo lo vidi. Non so perché fosse lì e non so perché non ci fosse mia madre, ma so che dopo aver attraversato la sala da pranzo e il soggiorno diretta verso la mia camera, accaldata e sudata, pensai bene di spogliarmi e rimanere nuda durante quel tragitto finché sentii dei rumori nella camera da letto di mia madre, per cui senza pormi tante domande, visto che credevo che in casa non ci fosse nessuno, aprii quella porta e rimasi letteralmente paralizzata.

Era lui, lo riconobbi immediatamente, perché era uguale a quella foto in bianco e nero e mi parve, ma non posso giurarci, che fosse nella stessa posizione. Comunque era lui, col suo fisico statuario e le gambe grosse e muscolose. Non mi domandai perché fosse nudo, ma lui appena mi vide mi sorrise, io invece per vergogna cercai di chiudere immediatamente la porta, ma qualcosa mi diceva che dovevo proseguire ed andare verso la mia stanza senza curarmi che fossi nuda e che anche lui lo fosse. In fin dei conti ero in casa mia e lui, chiunque fosse, soltanto un ospite.

Lui vedendomi non mostrò alcun imbarazzo e non tentò minimamente di coprirsi o meglio fuggire, ma era ovvio che avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni che non vennero né in quel momento né dopo. Lui continuava a sorridermi ed io, rapita dal suo corpo perfetto, come avevo fatto per giorni con quella foto, concentrai tutta la mia attenzione sul suo sesso. Mi sembrava di conoscerlo, ed in effetti ci avevo già fatto l’amore nelle mie notti insonni. Anche il suo stato non del tutto a riposo mi era familiare salvo poi, dopo alcuni istanti, convincermi che nonostante la grandezza, il suo sesso era davvero a riposo.

Comunque lui non parlava ed io non potevo non chiedermi come quell’uomo così possente e vigoroso potesse fare l’amore con mia madre, gracile e minuta. Pensai tecnicamente come fosse possibile l’amore tra i due, e nonostante la mia atavica timidezza non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue parti intime. Sentivo la bocca asciutta senza saliva, le gambe tremanti e rimasi così per un tempo interminabile finché mi resi conto che lui per tutto quel tempo mi aveva guardato dritto negli occhi senza minimamente interessarsi al mio corpo nudo. Beh in effetti era lui l’opera d’arte, il quadro da ammirare e così in un istante compresi mia madre e la sua luce negli occhi quando rientrava in casa oppure quando passava le ore in bagno a curarsi e farsi bella prima di uscire.

La compresi al punto che una forza interna ingrandì smisuratamente il mio desiderio fino a sentire il bisogno di emularla. Sì lo confesso, non fu lui a farsi avanti, anzi lui rimase lì per tutto il tempo e non accennò alla minima reazione quando mi avvicinai e inginocchiandomi sentii la voglia impellente di dargli piacere. Anzi luì continuò a sorridermi, come fosse lì apposta per soddisfare la mia curiosità, rimanendo immobile e senza il minimo gemito, salvo poi sentirlo ingrandirsi spaventosamente nella mia bocca. Mi chiesi quante volte in tutti quegli anni mia madre avesse obbedito allo stesso richiamo e quante volte si fosse avvicinata e inginocchiata gli avesse dato piacere senza che lui lo avesse chiesto direttamente.

Dopo qualche minuto finalmente reagì, mi spettinò i capelli, mi sussurrò che ero bella come mia madre e che le somigliavo così tanto da ricordargli la loro prima volta insieme. Io di rimando gli confessai di averlo già visto nudo in quella foto e di averci fatto così tante volte l’amore che il suo sesso mi era più familiare di quanto lo fosse per mia madre.
Lui sorrise, ma non commentò, anzi con una mano mi chiuse la bocca e con l’altra mi sollevò senza alcuno sforzo e mi adagiò delicatamente contro spalliera del letto afferrandomi per le gambe. Chiusi gli occhi convinta di sentirlo un attimo dopo dentro di me, aspettai trattenendo il fiato e pensando già alla miriade di sensazioni che avrei avuto sentendolo entrare così possente, ma con mia sorpresa lui avvicinò il suo sesso senza però farsi largo. Rimase lì ad aspettare che fossi io a fare la prima mossa e così avvenne. Fui io a reclamarlo, fui io a spingerlo dentro di me, fui io a sentirlo scivolare dentro, fui sempre io a muovermi e facilitare quell’amplesso, mentre lui immobile e rigido mi forniva soltanto lo strumento del piacere e fui ancora io a godere senza che lui si degnasse minimamente di agevolare in qualche modo il mio desiderio. Non mi strinse, non mi baciò, non disse nulla di nulla, ma rimase fermo ad aspettare l’esplosione del mio piacere. Non durò molto, ma furono attimi interminabili fino a quando, attraverso le mie palpebre chiuse, vidi una luce intesa bianca e gialla.

In quel momento credevo davvero di essere giunta in paradiso o di aver raggiunto per la prima volta nella mia vita il confine remoto dell’oblio, mai avevo provato un orgasmo così intenso, tanto che nell’estasi più assoluta gli dissi che sarei stata sua tutte le volte che avrebbe voluto e che mi sarei accontentata dei ritagli di tempo come rimedio e come avanzo.
Lui continuò a non parlare e quel silenzio mi diede una carica in più tanto che poco dopo venni ancora, ma ahimè, proprio in quel momento, sentii distintamente la voce di mio fratello che accendendo la luce della mia stanza mi stava dicendo: “Serena è tardi, sono quasi le otto, svegliati dai, alzati, mi devi accompagnare a scuola!”

P...

 








Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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