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STORIE VERE
La
poesia di un gesto
Leggo qui tante storie di donne amanti, di relazioni segrete e
complicate, io invece non sono di nessuno, non sono un’amante e non
sono sposata! Unica al mondo vivo con me stessa e per l’amore mi
basto, alle volte lo faccio con me stessa e altre col destino...
Photo Tsahi Atias
Non vorrei
scandalizzare i vostri lettori, ma io non ho storie di
uomini e donne intrecciate e morbose da raccontare, di
relazioni che hanno perso un senso semmai lo abbiano
avuto. Sono una donna slegata e senza vincoli, cerco il
benessere dove gli altri ci vedono un’anima informe e
alle volte trovo la mia bellezza negli occhi del
destino, per sentirmi meglio, per sentirmi libera…
Allora vado in bagno e mi preparo, mi trucco, mi
vesto per modo di dire indossando le mie trasparenze e
poi esco di casa con il solo soprabito che copre le mie
nudità. Si esatto sono un po’ esibizionista, mi piace
andare oltre la regola, ma non oltrepassarla del tutto.
Allora dicevo prendo l’auto, faccio un giro senza una
meta precisa ascoltando una stazione radio che manda
musica anni sessanta. Mi sento sicura ma mi piace
pensare agli imprevisti di qualsiasi genere, non so se
bucassi la ruota, se mi fermasse una pattuglia dei
carabinieri o comunque se fossi costretta ad uscire
dall’auto. Poi girovagando, ad un tratto, sento
chiaro un richiamo simile ad un sussurro, una vocina
lontana che istiga le mie fantasie, e allora cerco una
strada deserta, una qualunque, l’importante che sia in
penombra e poco frequentata dove io possa rimanere
indisturbata nell’auto con il mio soprabito slacciato e
sfidare il destino. Sono solo cinque minuti, non di più,
cinque minuti per sentirmi preda negli occhi di qualche
curioso che passa. Ecco è quello il momento durante il
quale mi domando se il curioso abbia visto e cosa abbia
visto. Insomma è un gioco banale e per nulla peccaminoso
se non fosse per il fatto che nel mio intimo non
avvenisse qualcosa di strano ed io non mi sentissi
sciogliere come in un atto d’amore.
L’altra
sera, durante il mio solito giro, mi sono ritrovata
dietro un centro commerciale, in una stradina di alberi
frondosi, credo di tigli, in auto l’ho percorsa
lentamente finché mi sono accorta che era senza uscita e
moriva dentro un parco con accanto una cancellata di una
villa stile ottocento. Mi sono guardata intorno curiosa,
in lontananza vedevo le luci della città e vicino a me
due cani che abbaiavano ed un vecchio inserviente che
non si curava del mondo, estirpava erbacce e emetteva
dei suoni comprensibili soltanto ai due grossi animali.
Ho fermato la macchina di traverso sopra un
marciapiede di foglie secche. Sentivo una leggera
apprensione e per sentirmi leggera mi sono guardata
nello specchietto ed ho riallineato le mie labbra, nella
certezza d’essere degna al sussurro ossessivo che mi
aveva invitata in quel posto. Mi sono accesa una
sigaretta e come al solito ho sorriso al pensiero che
avrei potuto essere scambiata per una signora in cerca
di altro. Ma quel gesto era spontaneo e istintivo, come
se la mia strada interiore passasse per una banale
sigaretta.
Ho preso un libro comprato a caso e ho
iniziato a leggere per non destare sospetti, l’ho
sfogliato distrattamente, ma in realtà guardavo il mio
soprabito aprirsi magicamente. Non c’era nessuno, ma mi
piaceva l’idea di essere sola al mondo, mi piaceva lo
strofinio delle mie gambe nude, insomma mi avvolgeva i
sensi e ne ero estasiata. Fuori c’era penombra e c’era
freddo, c’era tramontana che tirava e che soffiava
attraverso le maglie di quel silenzio.
Dentro
quella magia sono rimasta immobile nella stessa
posizione per alcuni minuti, ma tutto ad un tratto ho
visto dallo specchietto un ragazzo con una tuta da
operaio che si avvicinava a passi svelti. Non mi ha dato
tempo di allacciare il soprabito, ma chissà se davvero
lo avrei fatto… Lui è passato vicino all’auto e mi ha
guardata. Poi si è fermato quel tanto per rivolgermi una
sola parola, ma volgare. Ha sorriso ed io senza guardalo
ho sentito un brivido correre lungo la schiena, ma ho
continuato a leggere il mio libro senza cedere
all’istinto di coprirmi. Poi quando il ragazzo si è
allontanato ho alzato lo sguardo ed ho cominciato a
sperare che invertisse il suo passo e che magari ci
ripensasse. Ovvio avrei acceso il motore e sarei andata
via, ma il suo desiderio avrebbe saziato la mia
intimità. Ho continuato a leggere, ma quella parola mi
rimbombava nel cervello, sapeva di amore orale, di
labbra che si schiudono e trattengono sapori, sapeva di
donna usata per l’esclusivo piacere dell’uomo eccitato.
Sì lo ammetto, per chissà quale gusto perverso ho
continuato a ripetere sottovoce quella parola e ogni
volta ascoltandola faceva tremare le mie viscere perché
brutale, perché diretta, volgare al punto giusto, perché
forse, nel mio intimo più remoto, era quello che volevo
sentirmi dire. Poi guardandomi nello specchietto ho
ripassato di rosso le mie labbra per sentirmi ancora più
nella parte e lasciasse i segni d’un proibito sopra il
mio rossetto.
Saranno passati altri cinque
minuti, pensavo ancora a quel ragazzo e cosa sarebbe
accaduto se ci avesse ripensato, ma ad un tratto ho
sentito una voce morbida e discreta spuntata da chissà
dove: “Buonasera signora!” Mi sono voltata di scatto,
era un uomo molto anziano con il cane a passeggio, ad
occhio e croce avrà avuto settant’anni. Senza mezze
parole mi ha chiesto se avessi avuto tempo da
dedicargli. Senza aspettare risposta ha subito aggiunto
che per una vita aveva lavorato al cinema facendo
l’attrezzista e in vecchiaia qualche particina di
secondo ordine: “Sa perché le dico questo? Perché in
quarant’anni di cinema non ho mai visto gambe più belle
delle sue!”
Solo a quel punto ho pensato che
quell’uomo meritava la mia attenzione e poggiando il
libro sul sedile l’ho guardato senza fissarlo negli
occhi. Pensando che avrebbe potuto essere mio padre l’ho
guardato con una certa soggezione, ma lui ha continuato
a parlare dicendomi che aveva una figlia che, nella sua
breve vita, si era già persa per strada. Tra un misto di
compassione e rispetto, cosa che non avevo mai fatto
finora, ho aperto lo sportello pregandolo di salire
nella mia auto. Avevo voglia di farmi raccontare la sua
vita e lui sorridendomi ha legato il cane al palo più
vicino ed è salito.
Beh sì lo confesso, ero in
imbarazzo, in quel momento avrei voluto essere vestita o
quanto meno coperta, ma lui, intuendo il mio imbarazzo
mi ha detto: “No, signora, non ci pensi la prego, lei è
un’opera d’arte!” In quell’istante ha poggiato con
delicatezza la sua mano sulla mia gamba chiedendomi se
fossi in cerca d’amore. “Sto cercando soltanto me
stessa.” Ho risposto. Ecco la frase è uscita proprio
in questi termini e con questa enfasi, ma lui dubbioso,
credendo che fosse una frase fatta preparata in
anticipo, mi ha chiesto dubbioso se avessi parcheggiato
altre volte lungo quella stradina: “Sa, faccio spesso
questa strada con il cane, ma non l’avevo mai vista.” E
subito dopo, convinto dei suoi pensieri, si è scusato
dicendomi che non avrebbe potuto darmi nulla e che la
sua pensione gli bastava appena per vivere.
“Non
sono qui per soldi!” Ho subito precisato mentre sentivo
la sua mano salire lentamente verso le mie intimità. “Mi
creda, se lei mi offrisse qualcosa per me sarebbe la
prima volta.” Ho precisato ancora. Lui ha sorriso:
“Lei ha delle bellissime gambe.” “Oh grazie, lei è
molto cortese, ma lei mie gambe hanno un solo difetto e
cioè il timore d’essere considerate più di quanto sanno
fare.” “Non credo ci sia molta differenza, tra
l’aspettativa e la bellezza.”
Erano piccoli segni
del mio percorso, erano grandi passi che mi portavano
dove da sola mi stavo portando, ma in quel momento mi
sono resa conto di non essere nella condizione di
scegliere. Il destino aveva voluto quest’uomo, che per
quanto anziano mi sembrava affidabile e non era poco per
una donna che mostrava le sue gambe lungo una stradina
buia. Poi ha iniziato a parlare della sua vita
raccontandomi che aveva perso la moglie da sei mesi, che
gli mancava tanto, che non sentiva i suoi figli da più
di tre mesi e l’unico suo affetto era quel cane che
docile attendeva paziente il suo padrone.
“Sa
signora, io non desidero fare l’amore con lei, non avrei
neanche il diritto di chiederglielo, ma vorrei solo
guardarla, ammirare le sue fattezze.” “Per me è
importante essere desiderata e come vede non ho detto
nulla quando mi ha toccato la gamba.” “Oh sì, me ne
sono accorto e la ringrazio, ma mi farebbe un piacere
immenso se ora lei scendesse dalla macchina e camminasse
lungo il marciapiede con quell’atteggiamento tipico
delle signore di notte.”
L’ho guardato sorpresa,
era decisamente una richiesta insolita ed io non ero mai
uscita dalla mia auto, ma lui aveva capito esattamente
quello che volevo. “Non sono pazzo mi creda, è solo
il desiderio di ammirare una donna consapevole della sua
bellezza che offre la sua merce più rara.” Credendo
di aver esagerato, è rimasto per qualche secondo in
silenzio, ma poi senza arretrare dal suo desiderio mi ha
chiesto se me la sentissi. “Vorrei che lei mostrasse
al mondo tutta la femmina che c’è sotto il suo soprabito
e provare a misurare quanto questo gioco possa diventare
così intimo da immedesimarsi nel ruolo fino al punto di
credere di essere ciò che non sarà mai.” “Forse lei
non mi crederà, anzi forse mi crederà pazza o che sto
solo alzando il prezzo che lei non può darmi, ma davvero
sono inesperta e non mi verrebbe poi tanto bene!”
“Sei lei fosse una professionista non glielo avrei
chiesto. Lei capirà che il gusto sottile è proprio nella
disubbidienza del proprio essere, ciò che una donna di
mestiere non potrà mai avere.”
A quel punto ho
cercato di essere disinvolta, di calarmi nella parte.
Lui ha continuato a sorridermi sicuro che la sua
richiesta combaciava in tutto e per tutto al mio
desiderio. Allora mi ha aperto lo sportello ed io sono
scesa. Mi sono accesa un’altra sigaretta allacciandomi
il soprabito e ho iniziato a camminare lungo il
marciapiede. Sentivo il rumore dei miei tacchi e mi
faceva piacere mostrarmi a quell’uomo come se lui fosse
un’immensa platea ed io una diva. Ero sola con i suoi
occhi che non perdevano il minimo dettaglio e allora
senza pensarci due volte ho aperto il soprabito per
fargli e farmi piacere. Ero nuda! In quell’istante
ho pensato a cosa avrebbe detto la portiera del mio
stabile se mi avesse vista così, ho pensato ai miei
colleghi di lavoro che non avrebbero desiderato altro
che portarmi a letto con il pretesto di una cena
romantica. Ho pensato a me stessa, a quanto l’amore
carnale non avesse mai toccato le mie corde più intime.
Ho pensato a quella strada sulla quale non passava
un’anima viva e allora sono tornata vicino all’auto e
appoggiandomi sul cofano ho accavallato le gambe, ben in
vista, in modo che lui non perdesse alcun particolare
del mio sesso nudo.
Sentivo la sua voce che mi
diceva: “Brava!” E mi sussurrava che davvero avrei
potuto fare invidia a chi lo faceva per mestiere. Mi ha
invitata a togliermi completamente il soprabito ed io ho
obbedito con tutta la poesia che sentivo. Stavo bene,
non sentivo freddo e mai nessuno era riuscito a farmi
sentire così bene. Da dentro l’auto sentivo i suoi
gemiti, respiri strozzati che mi davano la forza di
aspettare il destino, di essere cosciente che quello che
cercavo non era altro che la bellezza, l’ammirazione di
due occhi, la poesia di un gesto, la stessa che ora mi
faceva respirare intensamente la serata, i suoi colori
in chiaroscuro, i suoi vapori umidi, le sue luci in
lontananza, i rumori ovattati di quella vita frenetica e
falsa da cui fuggivo anzi, da cui in quel momento stavo
fuggendo pur rimanendo ferma seduta sul cofano della mia
auto mentre quell’uomo qualunque consumava il suo
piacere.
Avrei voluto dirgli di aspettare, che
quella serata sarebbe potuta finire in modo diverso, non
so, se mi avesse invitata nella sua casa, avrei potuto
preparargli la cena, rimanere con lui anche per tutta la
notte, ma sapevo benissimo che due solitudini non
avrebbero mai fatto una compagnia e che per entrambi
l’amore non sarebbe potuto andare mai oltre quella
strada e quella distanza. Per cui sono rimasta lì,
estasiata da quella voce che mi invitava a non smettere,
che mi incitava ad aprire le gambe ed appagarmi del solo
pensiero di essere guardata ed ammirata e mi spingeva a
toccare e vibrare le corde della mia fica vogliosa. È
stato un attimo, ma immediatamente ho sentito uscire da
quell’anima di carne un canto melodioso simile ad un
coro accompagnato da un’overture di violini. Ero in
estasi. Bella e desiderata ansimavo respirando la magia
di quel gesto, finché un brivido più forte ha diluito il
mio desiderio, proprio nel momento in cui ho guardato
quell’uomo che ormai altrettanto soddisfatto richiudeva
compiaciuto la sua lampo.
LETTERA FIRMATA
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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