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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
L'Angelo





Photo Piotr Stach




 


 
 


Senti, io non so se tu sei un angelo, di quelli che da bambina mi vegliavano il sonno, e placida dormivo perché mi sentivo protetta, ed avrei giurato che anche di giorno, m’avrebbe seguita ovunque io andassi.
Senti, io non so se sei tu quell’angelo, quando tra le coperte mi rannicchiavo al calore, e mia madre metteva uno scialle a velare, la piccola luce e scappava di fretta, senza lasciarmi una carezza gentile o lo strascico caldo di due labbra accennate.
Senti, io non so se sei tu quell’angelo, che rimaneva accanto finché non dormissi, ma nel dormiveglia sentivo ancora la voce, di mia madre in sala da pranzo, e quella di un uomo che non conoscevo, e poi gemiti, sussurri e sorrisi, di cui ne ignoravo il motivo, ma continuavo comunque a tapparmi le orecchie.

Senti, io non so se tu sei un angelo, ma so che senti la mia stessa paura, per quelle ombre che la luce creava, che diventavano forme fantastiche e vere, e ombre di mostri e diavoli neri, sul muro e la volta di canna e di gesso, sulle pareti e i comò, sui mobili antichi.
Senti, io non so se sei tu quell'angelo, ma come me della casa ricordi l’inverno, le trine sgualcite e le crepe sui muri, i ferri sul fuoco e la lana a cardare, le corse intorno al tavolo ovale, con mia madre e mia zia a rincorrermi dietro, a prendermi sempre per via delle trecce, troppo lunghe e grosse di nero carbone.
Senti, io non so se tu sei un angelo, se ricordi la finestra che dava sulla valle, che poi era solo un intreccio di colli, dove il sole tramonta e l’orizzonte si chiude, tra le colline turrite a rincorrere valli, ed il mare distante che intuivo soltanto, perché una mammella più grigia me ne impediva la vista.

Senti, io non so se davvero esistono gli angeli, se hanno i capelli come i tuoi castani, se quando ridono gli si forma una ruga, sotto l’occhio sinistro per farsi baciare, ma stasera vorrei che tu lo fossi davvero, perché faccio fatica a vederti da uomo, davanti al camino e le castagne a tostare.
Senti, dimmi davvero che sei diverso dagli altri, da tutti quelli che ho incontrato di notte, ed anche di giorno perché non cambia poi molto, sapere che in fondo mi stavano a sentire solo perché il mio spicchio di pelle, poteva d’incanto prendere la forma, del mio seno nudo poco cresciuto e dei miei capezzoli acerbi non ancora di donna.

Senti, sarà pure vero che il letto è importante, che un uomo e una donna ci finiscono spesso, come ora che basterebbe poi niente, mentre scruti i miei occhi e ci leggi i ricordi, di quando bambina pensavo che un letto, servisse soltanto a provare paura.
Senti, dimmi che sei davvero diverso dagli altri, che stasera rimani a guardarmi negli occhi, che sono rossi soltanto perché il fuoco li scalda, ma ti prego rimani a sfiorarmi il profilo, come un sole al tramonto che sfuma la cresta, dei colli e dei tetti che finiscono al mare.
Senti, io non lo so se davvero lo sei, se devo credere a quello che dici, se sei tu quello che mi veniva a trovare, ed ora m’adagio sopra questi ricordi, ma dimmelo dai non fermar le parole, fammi credere che ti conosco da sempre, che vegliavi il mio sonno e mi baciavi la fronte, come ora m’abbracci e mi stringi la mano, perché non costa poi niente tornare bambina, e stasera è bello sentirselo dire.
 


 







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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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