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Adamo Bencivenga
L'attesa
L’attesa è una gemma di pesco a natale, un
ritardo di giorni, una luna di miele, un
tramonto che filtra dai vetri appannati, è
terra arida, grano per chi ha fame, un treno che
parte, un romanzo mai letto.
Photo Adam Rowell
L’attesa è una gemma di pesco a natale, un ritardo di giorni, una luna
di miele, un tramonto che filtra dai vetri appannati, è terra arida, grano
per chi ha fame, un treno che parte, un romanzo mai letto.
L’attesa è
una lettera spedita da tempo, un rumore di tacchi sull’asfalto di sera, un
temporale d’agosto, un Bolero che avanza, è un rossetto spalmato davanti
allo specchio, una parola non detta, una panchina all’aperto.
L’attesa
è un vestito bianco da sposa, una rabbia che cova, un sorriso che smuore,
una valigia stipata, un cuore che batte, il fruscio della seta che cala in
penombra, un telefono muto, un capello mai messo.
L’attesa è una donna
che fuma in finestra, un mosto di vino non ancora novello, un sentiero che
curva tra i lamponi e le more, un reggiseno lasciato al bordo del letto,
una camicia slacciata, un velo sul letto, un tatuaggio nascosto che grida
il tuo nome.
*****
Com’era previsto rientrò
presto all’alba, tra il velo di luci che rievocavano note, di un’orchestra
lontana che suonava leggera, florilegi e violini di onde di seta, d’un
volteggio di ali, d’un fruscio di stoffe, e le belle signore che
lasciavano agli occhi, il velluto del seno tra collane di perle, tra le
luci del Lido che facevano ombre, sulle facce assonnate, sulle cravatte
snodate, d’un’ora imprecisa sfilacciata dal dubbio, se fosse la fine o
l’inizio di un giorno.
Com’era previsto durante l’ultimo ballo,
aveva accettato quell’invito ammiccante, di proseguire la notte tra le
pareti segrete, di una casa a Venezia poco distante, e vedere poi l’alba
nel segreto di un letto, e sentire il calore di quei baci promessi, e poi
mani e carezze e l’orchestra lontana, il fruscio del vestito che scivolava
in penombra, lungo la pelle profumata di rose, e il suo corpo impaziente
trasportato dal suono, guidato da calde parole di sesso, da baci spaiati
che arrivavano al cuore.
Poi di colpo un trambusto, una voce di
moglie, rientrata da un viaggio senza per altro avvertire, e lei che ha
raccolto le pieghe e il vestito, le onde nell’ombra sparse per terra, ed
ha preso il cappello, le tracce di seta, e per le scale di fretta con in
mano i suoi tacchi, quando sorpresa ha sentito l’abbraccio, di una voce da
dietro, di un “Ti amo” non chiesto, senza per questo ci fosse stata
un’intesa, senza per questo una promessa d’amore, durante quel ballo o
sopra quel letto.
Com’era previsto lei portava un cappello, per
nascondere il viso, per la notte interrotta, anche se fuori le nuvole a
stracci, incupivano intorno l’acqua e le barche. Aveva preso il traghetto
seduta davanti, un tizio assonnato le guardava le gambe, e lei s’era
chiesta se la coda dell’alba, fosse impressa evidente sulla calza velata,
nonostante San Marco, nonostante Rialto, la pioggia d’estate e l’aria
pungente, che intensa l’aveva destata dai dubbi, fino al Des Bains dove
alloggiava.
Com’era previsto per scendere a terra, si era fatta
aiutare da un addetto in divisa, per via della gonna stretta sui fianchi,
per via di quei tacchi, che neri, che alti, aveva portato per tutta la
notte, ma in quel momento la facevano preda, un rischio, un azzardo, per
ponti e per calli, e l’avevano vista correre all’alba, in quell’antico
palazzo, in quella corte nascosta, per poi fermarsi in una nicchia di
muro, calmando i suoi fiati ed il cuore impazzito, ripassando il rossetto,
aggiustando la calza, mentre il riflesso dell’acqua increspata, specchiava
il rimbombo di quelle parole.
Com’era previsto ora è seduta che
aspetta, un segnale, uno squillo, nel bar dell’albergo, tra i silenzi
dell’anima, i vuoti d’assenza, sospesi nei fasci sfilacciati dai dubbi.
Sono immagini torbide dentro un bicchiere, che passano all’ombra quasi
irreali, di un orologio che segna le ore più lente, d’una Venezia
sensuale, d’un uomo elegante, che sfida la sorte ma l’aiuta ad andare, e
una voce bollente l’abbraccia e la sfiora, e ripete “A tra poco” e lei
dice “A più tardi”, per quella fuga d’amore, tra calli e canali, per
quella chiave che ha in mano, la trecentodiciotto, per quel sogno di notte
che non conosce la fine, e solo l’attesa può rendere vero.
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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